Dossier Arte - volume 2

   4.  IL SETTECENTO >> Il Rococò e il vedutismo

Francesco Guardi

Considerate sotto l’aspetto esecutivo, le vedute di Francesco Guardi (Venezia 1712-1793) sono assai distanti da quelle di Canaletto. Se quest’ultimo predilige composizioni luminose e panoramiche, caratterizzate da una prospettiva rigorosa, Guardi sceglie giorni brumosi e foschi, scorci inconsueti, evocati con piccoli e frequenti colpi di pennello. All’orientamento tecnico e documentario di Canaletto si contrappongono dimensioni fantastiche, inquiete e mutevoli. Formatosi come pittore di figure, Guardi è cognato di Tiepolo (Cecilia Guardi, sorella del pittore, è moglie di Tiepolo e madre di Giandomenico e Lorenzo): per più versi ne eredita il talento nell’improvvisazione e la propensione alla rapidità, congeniale peraltro all’attività di pittore-imprenditore.
Guardi non dipinge solo vedute con elementi architettonici effettivamente esistenti, ma pure vedute d’invenzione, con ruderi antichi e monumenti fantastici, i cosiddetti "capricci", caratterizzati da convenzioni iconografiche e narrative loro specifiche.

La torre dell'orologio in piazza San Marco

Una veduta con elementi architettonici estremamente significativa è La torre dell’orologio in piazza San Marco (20) dove Venezia, o meglio il luogo forse centrale della città, viene colta in una mattina di primo autunno o primavera, dalle incerte condizioni atmosferiche. Nuvole sfrangiate si alzano all’orizzonte, il cielo va rasserenandosi o più verosimilmente annuncia tempesta, panni e tende sono agitati dal vento. L’esecuzione è veloce e sommaria, mutevole come il tempo scelto dall’artista. Toni chiari e toni scuri si avvicendano drammaticamente, secondo un ritmo oppositivo e binario. Stracci e mantelli, evocati con un solo colpo di pennello, disseminano la superficie di fuggevoli annotazioni di colore. Il punto di vista è frontale e ad altezza d’uomo, ma l’immagine, dal curioso formato oblungo, appare singolarmente decentrata. L’enfasi compositiva cade sull’edificio civile posto sulla sinistra, sbalzato dalla piena luce, mentre la metà destra invece, con San Marco, appare ritrarsi nell’ombra.

  › pagina 460   

Capriccio architettonico con rovine romane

I capricci sono tradizionalmente caratterizzati dal contrasto tra architettura e natura, grandiosità delle epoche passate e misera umanità presente: costituiscono variazioni figurative sui temi della fugace gloria terrena e della decadenza degli imperi. Il capriccio di Guardi non costituisce eccezione sotto il profilo delle scelte iconografiche e dei propositi moraleggianti e allegorici: potremmo bene interpretarlo come vanitas. Osservando Capriccio architettonico con rovine romane (21), oggi non sappiamo bene dove ci troviamo: certo non a Venezia, forse in un punto della costa adriatica orientale al tempo appartenente ai territori della Repubblica e recante rovine romane. La vaghezza dell’ubicazione è parte dell’effetto ricercato. Vestigia di un colonnato antico sono coperte di vegetazione. Ai piedi dell’antico arco e di colonne tuttora imponenti vediamo contadini penosamente intenti a dissodare il terreno, pescatori dalle vesti lacere che rammendano reti, riparano vele, saggiano le condizioni della barca prima di prendere il mare. Perdigiorno e "lazzaroni" (così indicavano al tempo le figure di sfaccendati che popolano convenzionalmente i quadri di paesaggio) giocano tra le rovine o sostano nei paraggi. In lontananza ancora imbarcazioni di pescatori. I propositi di dominio e l’orgogliosa affermazione della propria civiltà, sembra affermare Guardi, non sono che illusione: nessuno splendore terreno è perenne. A distanza di secoli nessuno ricorda: le occupazioni quotidiane, necessità o svaghi, assorbono interamente chi sopravviene e conduce un’esistenza faticosa. Attorno alle rovine l’aria è per di più grave e cupa, densa di umidità estiva. I tronchi in primo piano sono abbattuti e spezzati, quasi ad attestare metaforicamente la collera della divinità: è evidente che il declino di Venezia offre spunti di riflessione e si presta a pessimistici commenti da parte del pittore. Le figure sono ridotte a uno o due tocchi di colore: si chiamano "macchiette" nel gergo storico-artistico. Le architetture si dissolvono bruno-argentee nel crepuscolo lagunare, perdono saldezza e fissità: tutto quanto esiste sembra smarrire contorni e svanire, quasi per un presagio di disfacimento e sventurata fatalità. Dunque non è sbagliato considerare il capriccio anche come una vanitas, cioè come una meditazione affascinante e sottintesa sulla vanità delle opere dell’uomo, la frugalità della vita e l’usura distruttiva del tempo.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò