Jean-Baptiste-Siméon Chardin
In Jean-Baptiste-Siméon Chardin (Parigi 1699-1779) il distacco dai modi eroici e solenni della pittura di storia è altrettanto pronunciato che in Watteau, per di più in assenza di scene cortesi e figurine mitologiche. Figlio di un ebanista, il giovane Chardin prende parte al restauro degli affreschi manieristi della Reggia di Fontainebleau, quindi si assicura una prima notorietà come pittore di animali e frutta, temi considerati al tempo minori. Malgrado prediliga immagini che eludono le aspettative di sfarzo e sofisticazione del pubblico contemporaneo, Chardin ottiene ampi riconoscimenti già in vita, e nel 1728 è accolto dall’Accademia. Dedito alla propria attività, schivo e a proprio agio nella penombra dell’atelier, dal 1752 l’artista beneficia di una pensione concessagli dal re. Nel 1661 è nominato organizzatore dei Salons, carica di grande prestigio. Fin quasi dagli esordi Chardin punta su abilità tecnica e seduzioni pittoriche, connesse alla sottigliezza di sensazioni destate: rinuncia a motivi insigni, patetici o drammatici per rivolgersi all’osservazione del quotidiano. Scioltezza dell’esecuzione, delicatezza della pennellata, effetti di atmosfera distinguono le sue immagini da quelle di gran parte dei contemporanei.Chardin imita alla perfezione le superfici degli oggetti raffigurati, restituendo la grana morbida e levigata della buccia di una pesca, lo spesso e rugoso involucro di un melone, il manto lucido e brillante di un cane da caccia, la superficie trasparente di una bolla di sapone (3): ogni volta cattura immagini instabili nella loro perfezione, rese memorabili da un colpo di luce, uno scorcio particolare e fugace, un tono irripetibile. Affascinato dal caso, introduce vividi tocchi di colore puro in contesti bruni e ocra per creare maggiore vivacità e risalto e sottende ai propri dipinti, anche i più semplici, sottili propositi allegorici.