il Punto su... Masaccio

   1.  IL QUATTROCENTO >> Il primo Rinascimento

La cappella della famiglia Brancacci

La decorazione pittorica della Cappella Brancacci nella testata del braccio destro del transetto della Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, pur nello stato incompleto e frammentario nel quale è giunta fino ai giorni nostri, è alla base della cultura figurativa occidentale moderna (27-28).
Già in antico s’indicava come committente degli affreschi Antonio Brancacci (la cui famiglia tenne il patronato della cappella dalla seconda metà del XIV secolo fino al 1780), che tuttavia morì negli ultimi anni del Trecento. All’epoca era tutt’altro che rara l’eventualità che dalla volontà testamentaria con la quale era commissionata un’opera all’effettiva realizzazione della stessa trascorressero anche molti anni. Tuttavia, il committente degli affreschi è oggi generalmente identificato con Felice Brancacci, che nel suo primo testamento del 1422 si considerava a tutti gli effetti il titolare del patronato della cappella, pur senza far cenno ad alcuna disposizione relativa alla sua decorazione pittorica. La difficile identificazione del reale committente è aumentata dal fatto che nessuno dei membri della famiglia è ritratto nella cappella. Le loro effigi pare siano state eliminate e cancellate dagli affreschi in seguito alla caduta in disgrazia della famiglia per motivi politici ed economici. Sarebbe stato questo improvviso cambiamento nelle fortune della famiglia a far sì che gli affreschi, rimasti incompiuti attorno al 1428, fossero completati da Filippino Lippi solo negli anni Ottanta del Quattrocento, con un intervento sorretto da straordinaria intelligenza critica. Si tratta di una situazione di eccezionale interesse storico-culturale, un vero unicum nella storia dell’arte italiana: il protagonista assoluto del primo Rinascimento in pittura, Masaccio, visto con gli occhi di uno degli artisti più importanti attivi a Firenze tra XV e XVI secolo, Filippino Lippi, una delle figure-chiave della crisi della stessa pittura rinascimentale.

Masaccio e Masolino

A partire probabilmente dal 1424, dunque, Masaccio e Masolino lavorarono fianco a fianco in questo ambiente di sette metri scarsi di profondità per poco più di cinque metri e mezzo di altezza. L’impatto innovativo esercitato dall’opera comune dei due artisti - ma soprattutto, come si vedrà, di Masaccio - è paragonabile soltanto a quello dispiegatosi negli affreschi delle basiliche superiore e inferiore di San Francesco ad Assisi, dove in epoca gotica era stata all’opera una schiera di artisti eccezionali in uno spazio di svariate decine di metri quadrati.
Nonostante la vastissima letteratura critica disponibile, sia la cronologia sia le modalità esecutive da parte del binomio Masolino-Masaccio sono ancora oggi oggetto di dibattito e di ipotesi da parte degli studiosi, in assenza di elementi incontrovertibili. Secondo l'ipotesi oggi più accreditata, probabilmente i due pittori iniziarono insieme i lavori intorno al 1424 e si divisero lo spazio in modo sostanzialmente equo fino all'interruzione definitiva del rapporto di collaborazione verso la fine dell'estate del 1425, quando Masolino si trasferì in Ungheria, per rimanervi almeno fino alla fine di luglio del 1427. 
La mirabile unità iconografìco-compositiva e l'omogeneità stilistica di fondo che caratterizzano la decorazione della cappella suggeriscono d'immaginare che questo fortunatissimo connubio si sia realizzato, sin dalle prime battute, con i due artisti che lavoravano in maniera parallela e sostanzialmente in parti uguali. Tale ipotesi appare del resto concretamente verificabile nel registro superiore, il solo arrivato in maniera integrale fino ai giorni nostri e che può illustrare come Masaccio e Masolino procedettero affiancati. 
Il ciclo, introdotto da due scene della Genesi, raffigura le Storie di san Pietro  (29): è il più importante di questo soggetto fra quelli esistenti all'epoca in Italia e dimostra l'attenzione, tutta fiorentina, per la forte riaffermazione dell'autorità del Papato rievocato nella figura di san Pietro (primo pontefice della cristianità), un'autorità che in quegli anni era fortemente messa in discussione da più parti. 

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Scene della Genesi

II racconto prende avvio con la raffigurazione della Tentazione di Adamo ed Eva (30), sul pilastro destro del registro superiore, squisita immagine di gusto tardogotico tradizionalmente riconosciuta a Masolino. In base alla sovrapposizione degli intonaci delle giornate di lavoro l’affresco risulta essere stato l’ultimo eseguito in questo registro. Nella seconda metà del XVII secolo le nudità delle due figure furono ricoperte da frasche, rimosse opportunamente nel corso del restauro condotto tra il 1984 e il 1990.
La cacciata dei progenitori dipinta da Masaccio sul pilastro della parete opposta marca in maniera quanto mai esemplare la profonda diversità di questi due artisti nell’esprimere la drammaticità dei sentimenti (31). I nudi dipinti da Masolino sono due personaggi fiabeschi e armoniosi, del tutto inconsapevoli del dramma che incombe sulle loro vite, i loro corpi sono classici e resi con attenzione quasi anatomica, ma i volti sono eleganti e inespressivi, lontani da qualsiasi vita. I corpi di Masaccio, al contrario, con un’inconfondibile concentrazione drammatica e narrativa, esprimono con chiarezza il pathos psicologico e spirituale del momento della cacciata dal Paradiso terrestre. In preda alla disperazione e alla vergogna, i corpi nudi, che a stento Adamo ed Eva riescono a coprire, proiettano sul terreno lunghe ombre: sono figure vere, dotate di peso e massa, che occupano un posto reale nello spazio.
Le storie dei progenitori sui pilastri, che danno inizio alla storia umana al di fuori del Paradiso terrestre, costituiscono un’ideale premessa alle vicende di san Pietro, narrate nella cappella.

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Il tributo 

L’episodio più celebre della decorazione è a buon diritto II tributo (32), concordemente attribuito a Masaccio. L’immagine, che ha scarsi precedenti nell’iconografia cristiana, illustra puntualmente il Vangelo di Matteo (XVII, 24-27) che narra di un gabelliere dell’Impero romano, che richiese a Gesù e agli apostoli un tributo per accedere alla città di Cafarnao. Dato che gli apostoli non possedevano denari, Gesù inviò Pietro sulle rive del lago di Tiberiade, dove un pesce serbava in bocca i denari necessari. Probabilmente l’episodio vuole alludere anche a una clamorosa vicenda della politica economica fiorentina di quegli anni: l’istituzione nel 1427, dopo un lungo dibattito, a cui prese parte anche Felice Brancacci, di una tassa sui beni dei cittadini denominata Catasto. Così come Cristo riconoscendo l’autorità del gabelliere accetta di pagare la gabella per entrare in città, i fiorentini sono idealmente invitati a pagare le tasse allo Stato.
Masaccio suddivide la narrazione in tre momenti ben distinti tra loro: al centro la richiesta del tributo e l’immediata indicazione di Gesù a Pietro su come procurarsi il denaro; sulla sinistra la scena indimenticabile di Pietro che, accovacciato sulla riva del lago, è occupato a estrarre la moneta dalla bocca del pesce; la consegna del denaro all’esattore sulla destra. La scena è impostata secondo una rigorosa prospettiva lineare (33) . Oltre che un’unificazione spaziale che fonde insieme i tre momenti della storia, è presente anche una precisa unificazione luminosa: la luce della scena proviene da destra (dove si trova effettivamente la finestra della cappella) e determina la coerente inclinazione delle ombre che si allungano sul terreno, con un effetto di grande realismo. I colori brillanti sono stati riscoperti grazie al restauro conclusosi nel 1990, che ha permesso di ripulire le pareti annerite da un incendio nel 1771.

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La guarigione dello storpio e La resurrezione di Tabita

Di fronte al Tributo si dispiega la vasta scena dipinta da Masolino con La guarigione dello storpio e La resurrezione di Tabita (34), due episodi distinti accaduti in luoghi diversi - a Gerusalemme il primo e a Joppe (l’odierna Giaffa) il secondo - riferiti negli Atti degli Apostoli, che il pittore ambienta sinteticamente in un unico luogo. Lo sfondo della raffigurazione coincide con una piazza fiorentina del tempo ed è ricchissimo di gustosi particolari descrittivi: i vasi sui davanzali delle finestre, il bucato steso, le due scimmie legate che si vedono sui cornicioni, i personaggi che rincasano o passeggiano tranquillamente.

La distribuzione dei beni e La morte di Anania 

La narrazione prosegue nel registro inferiore, sulla parete di fondo a destra della finestra, con La distribuzione dei beni e La morte di Anania (35). La composizione della scena, le larghe campiture cromatiche delle vesti e degli splendidi caseggiati, l’indimenticabile veduta di paesaggio in lontananza sono tra i capolavori di Masaccio. La storia sintetizza un brano di notevole drammaticità, cui allude il corpo di Anania ai piedi di san Pietro. Anania e la moglie Saffira vendettero un podere e offrirono agli apostoli parte del ricavato, dicendo però che si trattava dell’intera somma. San Pietro rimproverò il vecchio con parole terribili non tanto per aver mentito agli apostoli, bensì allo Spirito Santo, e quindi a Dio, che tramite loro parlava e operava. Subito dopo aver udito queste parole Anania cadde a terra morto. Accanto alla scena centrale, gli apostoli ridistribuiscono il denaro offerto dai primi membri della comunità cristiana.
Il restauro ha consentito di appurare che il rispettoso intervento "critico" condotto da Filippino Lippi ha riguardato anche questa scena; esso consistette nel rifacimento di tutta la figura di san Giovanni all’estrema destra con l’esclusione della testa, e le mani di Anania. Il particolare è interessante perché sembrerebbe indurre a credere che l’intervento di Filippino fosse, oltre che di completamento delle parti non dipinte, anche di ripristino di quelle danneggiate o scomparse per motivi a noi sconosciuti.

San Pietro che risana con la propria ombra 

Anche la scena con San Pietro che risana con la propria ombra, nello spazio a sinistra della finestra, è riconosciuta come masaccesca (36). Non si può fare a meno di definire come "moderna" la visione del paesaggio urbano delineata da Masaccio che, liberatosi per la prima volta da qualunque legame simbolico, traduce con identica chiarezza prospettica il palazzo gentilizio con i conci perfettamente squadrati, le case del popolo e la basilica in marmo bianco sullo sfondo, della cui facciata s’intravede una bellissima colonna con capitello corinzio. Non sono mancati i tentativi di identificare i personaggi presenti in questa scena, che al pari di tutti quelli raffigurati nei dipinti di Masaccio appaiono essere dei veri ritratti.

Le integrazioni di Filippino Lippi

La scena successiva, dipinta integralmente da Filippino Lippi, è San Paolo visita san Pietro in carcere (37), secondo quanto narrato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1228/1230-1298).

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La resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra 

Il vasto rettangolo che Include le due scene costituisce probabilmente al tempo stesso il brano più conosciuto e più problematico dell’intera decorazione (38). La raffigurazione è desunta dal testo della Legenda Aurea (XLIV, La cattedra di san Pietro) e narra la resurrezione miracolosa del figlio di Teofilo, prefetto di Antiochia, che era morto da quattordici anni, operata da san Pietro, liberato appositamente dal carcere su intercessione di san Paolo. L’episodio occupa due terzi della scena, mentre l’estremità destra accoglie la solenne e mistica raffigurazione di San Pietro in cattedra. Già i cronisti antichi attribuivano a Filippino Lippi il completamento della scena: l’ipotesi più probabile resta quella secondo cui la scena era rimasta incompiuta per la partenza di Masaccio alla volta di Roma nella primavera del 1428 circa, dove sarebbe morto precocemente di lì a poco.
Fra i molti personaggi ritratti nella scena è stata proposta l’identificazione di alcuni protagonisti della vita politico-religiosa del tempo, ma anche degli stessi artefici della decorazione . Il rigore prospettico della casa di Teofilo e della loggia sotto la quale è seduto san Pietro, le figure stupende dei carmelitani e molti altri particolari fanno di questo dipinto uno degli esemplari paradigmatici della pittura italiana del primo Rinascimento.
La narrazione si conclude con La liberazione di san Pietro dal carcere sul pilastro destro dell'arco d'ingresso e con la grande scena che riunisce i due episodi della Disputa di san Paolo con Simon Mago e La crocifissione di san Pietro, opera di Filippino Lippi. In realtà il ciclo originario terminava con la scena della Crocifissione di san Pietro affrescata sulla parete dell'altare, andata distrutta, ma della quale sono stati recuperati nel 1984 due piccoli, luminosissimi particolari, attribuiti plausibilmente a Masaccio. Due piccoli tondi con due teste di giovani (39-40), recuperati invece negli sguanci del finestrone gotico, sembrerebbero spettare a Masolino a ulteriore conferma del  rapporto collaborativo stretto e paritario che dovette caratterizzare il lavoro di Masolino e Masaccio all'interno della cappella. 

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MASACCIO

  • Masaccio (1401-1428) è l'iniziatore della pittura rinascimentale, grazie soprattutto alla volumetria delle figure e alla conoscenza della prospettiva. 
  • La concretezza delle sue figure è evidente anche dall'uso delle ombre proiettate dai corpi sul terreno. 
  • La forza rivoluzionaria della sua pittura emerge con chiarezza anche quando utilizza strutture e tecniche tradizionali, come nel Trittico di San Giovenale (1422) e nel Polittico di Pisa (1426). 
  • Nell'affresco con la Trinità (1426-1427 ca.) l'applicazione rigorosa delle regole prospettiche crea l'illusione di una cappella in stile brunelleschiano.
  • Masaccio collabora con Masolino (1383?-1440 ca.), pittore di cultura tardogotica, nella Sant'Anna Metterza (1424-1425 ca.) e nella Cappella Brancacci della Chiesa del Carmine di Firenze (1424-1428).  
  • Nella Sant'Anna Metterza sono di Masaccio la Madonna col Bambino e un angelo. 
  • L'espressività di molte scene di Masaccio, e in particolare della Crocifissione dal Polittico di Pisa, si riallaccia alla lezione di Giotto
  • Nella Cappella Brancacci sono raffigurate scene della Genesi e della vita di san Pietro; il programma iconografico vuole riaffermare l'autorità del Papato. 
  • Nelle parti dovute a Masaccio, tra cui spiccano il Tributo La cacciata dei progenitori, risalta la capacità narrativa e drammatica del pittore, insieme alla plasticità delle figure e un grande rigore prospettico. 
  • Masaccio riproduce in modo fedele gli ambienti cittadini e inserisce alcuni dettagli realistici. 
  • Gli affreschi della cappella furono completati dopo il 1480 da Filippino Lippi.  

 DOMANDE GUIDA
1. Qual è l'opera più antica riferita a Masaccio?
2. Masaccio può essere considerato un allievo di Masolino?
3. In quali opere di Masaccio sono particolarmente evidenti le ombre proiettate sul terreno?
4. Quali parti del Polittico di Pisa si sono conservate e quale era la sua struttura originaria?
5. Per quale motivo Masaccio fu definito "Giotto rinato"?
6. Che cosa raffigura l'affresco della Trinità?
7. Quali pittori operano nella Cappella Brancacci e in quali periodi?
8. In che modo il confronto tra La tentazione di Adamo ed Eva e La cacciata dei progenitori mette in risalto le differenze tra Masolino e Masaccio?
9. Quale episodio è narrato nel Tributo e a quale vicenda della politica fiorentina si riferisce?
10. Chi completò la decorazione della Cappella Brancacci?

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò