Masaccio

   1.  IL QUATTROCENTO >> Il primo Rinascimento

Masaccio

Masaccio (Tommaso di ser Giovanni, San Giovanni Valdarno, Arezzo 1401-Roma 1428) ha una posizione di preminenza nel contesto dei padri fondatori del Rinascimento fiorentino e italiano: già i maggiori artisti della sua epoca gli riconoscevano il grande talento di aver rinnovato la pittura con la vivacità dei colori, la perfezione del disegno, la volumetria delle figure, la correttezza delle vedute in scorcio. Alcuni decenni dopo la scomparsa dell’artista, nel 1481, l’umanista Cristoforo Landino ne sancisce l’importanza, descrivendo la sua attitudine alla pittura che imita il vero: «Fu Masaccio optimo imitatore di natura».
Dal paese d’origine nel Valdarno, Masaccio giunge giovanissimo - forse appena sedicenne - a Firenze, dove si appoggia alla bottega di Niccolò di ser Lapo, un artista noto solo attraverso i documenti d’archivio. In città dominano lo stile tardogotico e le raffinate creazioni di Gentile da Fabriano. Poche sono le notizie sulla formazione del giovane e non sappiamo quali siano stati i suoi maestri. La tradizione lo voleva apprendista del conterraneo di formazione tardogotica Masolino da Panicale (Panicale in Valdarno 1383?-1440 ca.): una tesi superata, come vedremo, dalla critica recente, secondo cui il giovane Masaccio si avvicina a Masolino non in qualità di aiuto ma come collaboratore alla pari, capace di avviare il più anziano maestro ai nuovi princìpi prospettici e naturalistici dell’arte rinascimentale.
La sua rivoluzionaria produzione si svolge in una brevissima stagione: le sue opere documentate coprono l’arco di sette anni, fino al 1428, anno in cui Masaccio, da poco trasferitosi a Roma, muore in circostanze misteriose.

Gli esordi

Trittico di San Giovenale 

L’opera chiave dei suoi esordi e il punto di snodo fondamentale per la pittura del primo Rinascimento italiano è il Trittico di San Giovenale (22), scoperto nel 1961 in una pieve vicino a San Giovanni Valdarno. Quest’opera, ignota alle fonti antiche, protetta e conservata nella sua sede d’origine, può essere considerata un vero e proprio manifesto in pittura di questa "arte nuova"; ha infatti prodotto un cambiamento radicale negli studi sulle origini della pittura rinascimentale, gettando luce sulla prima produzione dell’artista.
Nello scomparto centrale è raffigurata la Madonna col Bambino in trono che ha ai suoi piedi due angeli genuflessi visti di spalle. Nello scomparto laterale sinistro sono dipinti i santi Bartolomeo e Biagio, mentre nello scomparto laterale destro i santi Giovenale e Antonio abate. Sulla cornice di base, molto frammentaria, la scritta preziosa con la data del dipinto: [ANNO DO] MINI MCCCCXXII A DI VENTITRE D'AP[RILE], ANNO DEL SIGNORE 1422, A DÌ 23 APRILE
Se l'iconografia, la composizione e la struttura della carpenteria lignea, nonché la stessa tecnica pittorica, appaiono quelle tradizionali gotiche, in voga da oltre un secolo, la  restituzione naturalistica delle masse corporee e, soprattutto, la visione prospettica dello spazio sono di portata rivoluzionaria e non trovano confronti nella pittura precedente. Tutte le linee ortogonali al piano del dipinto, che nella realtà sono immaginate parallele, qui convergono verso un unico punto di fuga, che è insieme geometrico e simbolico perché situato nel volto della Vergine. In questo modo la prospettiva, da mero artificio visivo e lineare, diventa il modo con cui guidare lo sguardo dell'osservatore verso il centro spirituale della composizione. Tutti gli elementi si accordano a questa struttura compositiva: il trono occupa lo spazio in maniera convincente, riuscendo a trasmettere uno stupefacente senso della profondità, sia al suo interno, con lo schienale ricurvo, sia all'esterno, con i braccioli laterali, annullando del tutto il contrastante senso di appiattimento provocato dal fondo dorato, retaggio ancora della tradizione gotica. 
Lo spazio è reso vero anche dall'ineguagliabile presenza fisica dei corpi, che consente alla pittura di Masaccio di gareggiare con contemporanee sculture di Ghiberti e di Donatello. Dal gruppo divino centrale traspare un impressionante senso plastico: il Bambino che si porta la mano destra alla bocca, oppure la mano destra di Maria che funge da base d'appoggio per i piedini del piccolo Gesù sono gesti di vera e strabiliante umanità. 

La collaborazione con Masolino

Sant'Anna Metterza 

La Sant’Anna con la Madonna e il Bambino (23) composta probabilmente intorno al 1424 per un altare della chiesa fiorentina di Sant’Ambrogio, è comunemente chiamata Sant’Anna Metterza, vale a dire collocata in terza posizione dopo il Bambino e la Vergine. Attribuita in passato solo a Masaccio, la tavola fu magistralmente studiata dallo storico dell’arte Roberto Longhi nel 1940, che vi riconobbe la collaborazione con Masolino. Fu probabilmente Masolino, il più anziano, a ottenere la commissione dell’opera e a realizzare la figura principale, sant’Anna, mentre si devono a Masaccio il gruppo centrale "statuario" della Madonna col Bambino e l’angelo reggicortina di destra (24). Il corpo della Vergine, che ha in braccio un muscoloso Bambino, è costruito combinando tra loro solidi geometrici: le due piramidi rovesciate di busto e gambe e l’ovale del volto. Il forte plasticismo delle masse corporee e la densità materica dei panneggi di Masaccio, illuminati da una luce nitidissima, risaltano sul fondo appiattito di sant’Anna, degli angeli e del trono.
La tavola costituisce un affascinante capitolo della collaborazione tra questi due artisti così diversi tra loro, che tuttavia, al pari di quanto avviene, come vedremo, sulle pareti della Cappella Brancacci, produce risultati che appaiono sostanzialmente compatibili e non eccessivamente dissonanti sul piano stilistico. Qui, come anche accadeva nel Trittico di San Giovenale, la struttura esteriore dell'incorniciatura doveva essere di gusto tardogotico, per quanto si può dedurre dalle tracce superstiti della cornice. Il contrasto tra questa struttura ancora arcaica e le novità dello stile doveva risultare assai evidente. 

La scienza prospettica in pittura

Trinità di Santa Maria Novella 

Da quando fu riportato in luce nel 1857, l'affresco della Trinità (25) è stato assunto nella letteratura critica come esempio dell' abilità di Masaccio di costruire un perfetto spazio prospettico in senso rinascimentale. L'affresco, realizzato nel 1427, è collocato oggi, dopo alterne vicende, sulla parete sinistra della navata della chiesa fiorentina domenicana di Santa Maria Novella: nel Cinquecento fu smontato il tramezzo della chiesa e il dipinto, che si trovava in prossimità della struttura, fu coperto da un nuovo altare, tornando a essere visibile solo dopo la metà del XIX secolo.
L'affresco rappresenta la Trinità con lo Spirito Santo sotto forma di colomba, Dio Padre che sorregge il Crocifisso e ai lati la Madonna, san Giovanni evangelista e i due committenti inginocchiati, mentre nella zona inferiore, un altare, sempre dipinto, ospita un sarcofago con uno scheletro e un'iscrizione in volgare. Questa doveva servire da  memento mori, ossia da ricordo del destino mortale degli uomini: «Io - dice in prima persona lo scheletro - fui già quel che voi siete e quel che io son [ossia, un morto] voi ancor sarete». 
I due ritratti dei committenti sarebbero da identificare con quelli di Berto di Bartolomeo della famiglia Del Banderaio (1378-1443 ca.) e di sua moglie Sandra, sepolti in prossimità della composizione
L'aspetto più interessante di questa recente proposta sta nel fatto che il personaggio in questione era un architetto, importante e stimato membro dell'Arte dei Maestri di Pietra e di Legname, della quale fu chiamato più volte a ricoprire la carica di Console. Egli fu inoltre ammesso nel gruppo ristretto di "maestri di murare" incaricati dall'Opera del Duomo nel 1420 per lavorare alla costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore progettata da Brunelleschi. Se forse quest'ultimo non intervenne direttamente nell'impianto disegnativo della Trinità, come si pensava in passato, è comunque interessante la proposta che il committente dell'opera, così moderna e rivoluzionaria, sia un architetto, aggiornato sulle novità rinascimentali. 
Con l'inserimento dei ritratti dei committenti, i protagonisti della società civile fiorentina del tempo sono proiettati nella storia sacra e diventano, secondo un concetto modernissimo e davvero rinascimentale, misura di tutte le cose, al centro del mondo. 
Del tutto innovativa è anche la costruzione dello spazio: l'architettura dipinta crea l'illusione perfetta di una cappella con volta a botte e lacunari classici, inquadrata da un arco a tutto sesto e da lesene profondamente scanalate. La perfetta prospettiva lineare "sfonda" l'architettura reale della navata. L'invenzione geometrica e tecnica della prospettiva è applicata non solo per costruire uno spazio che dia l'illusione della realtà, ma è anche sfruttata dal punto di vista simbolico per istruire e guidare l'osservatore  (26)

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò