La cena in casa di Levi
Nel 1573 Veronese è chiamato dall’Ordine domenicano a realizzare una tela di dimensioni grandiose per il refettorio del convento veneziano dei Santi Giovanni e Paolo, raffigurante l’Ultima cena, poi ribattezzato La cena in casa di Levi
(156). All’interno di una monumentale ambientazione scenografica d'
ispirazione palladiana, con una loggia tripartita dietro a cui s’intravedono le quinte architettoniche di un’immaginaria città, Cristo siede al centro, individuato dai colori della veste e da un leggero bagliore intorno alla testa, simile a un’aureola, ma gli apostoli si confondono tra una folla di personaggi totalmente disinteressati alla presenza del Salvatore, nessuno dei quali è citato nel racconto del Nuovo Testamento. I servitori e i soldati armati si muovono tra ricchi patrizi veneziani, i bambini giocano sulle scale, un cane siede davanti alla tavola e alcuni giullari allietano la cena. Il tema religioso diventa per il pittore solo un pretesto e a dominare l’immensa tela sono gli infiniti
dettagli mondani: gli abiti sfarzosi e le apparecchiature della tavola trasformano la rappresentazione in un’elegantissima e lussuosa cena veneziana del Cinquecento. La rappresentazione rompe con i canoni di semplicità e chiarezza dei Cenacoli e non passò inosservata: Veronese fu chiamato a giustificare le sue scelte iconografiche e stilistiche di fronte al Tribunale della Santa Inquisizione, l’organo ecclesiastico che giudicava le persone sospettate di eresia e di dottrine non conformi alla fede cattolica.
Nel corso del processo, al pittore fu chiesto perché avesse scelto di raffigurare «buffoni imbriachi thodeschi nani et simili scurrilità», ossia i numerosissimi personaggi secondari, dai giullari, da chi è troppo dedito al vino, ai soldati tedeschi armati: Veronese rispose che «se nel quadro li avanza spacio, io l’adorno di figure secondo le invenzioni», rivendicando la «licenza che si pigliano i poeti e i matti», ossia una fantasiosa libertà di espressione. Al termine del processo, il pittore non fu condannato, ma fu costretto dal Tribunale a cambiare alcuni dettagli, come il servo che perde il sangue dal naso citato nei documenti, ma assente nella versione finale. Fu soprattutto imposto un nuovo titolo: da Ultima cena, l’istituzione del sacramento dell’Eucarestia, la tela fu ribattezzata Cena in casa di Levi, con riferimento all’episodio in cui il ricco Levi, il futuro apostolo Matteo, offrì a Cristo un lussuoso banchetto, un soggetto che si adattava meglio alle scelte e alle licenze dell’artista.