Dossier Arte - volume 2

   2.  IL CINQUECENTO >> I grandi maestri

Raffaello pittore "divino"

Negli anni in cui è impegnato nella decorazione delle Stanze Vaticane, l’attività di Raffaello si amplia e si diversifica: l’Urbinate, ormai trentenne, è titolare della più importante bottega di pittura di Roma e accanto a lui si forma un’intera generazione di artisti.

Trionfo di Galatea 

Entrato in contatto con il ricchissimo banchiere senese Agostino Chigi, è chiamato a decorare una parte della sua villa edificata da Peruzzi (► p. 264). Nella loggetta orientale al piano terreno, Raffaello dipinge un grande affresco dominato dalla figura della ninfa marina Galatea, personificazione del mare tranquillo e lucente, raffigurata in un corteo di divinità marine mentre sfugge ai dardi lanciati dagli amorini (34). La scelta del tema iconografico è probabilmente collegata al matrimonio fra Agostino Chigi e Margherita Gonzaga, figlia illegittima del marchese di Mantova: in alto a sinistra si nota, infatti, fra le nuvole un amorino con le frecce riunite - simbolo dell’amore platonico - verso il quale la ninfa volge lo sguardo. Quest’opera manifesta la scioltezza con cui l’artista compone la scena: una raffinata naturalezza caratterizza la composizione che comunica all’osservatore una dimensione di serena felicità e spensieratezza, resa con grazia e armonia. Vi si vede riflesso, infatti, lo splendore di quel mondo mitico e senza tempo raccontato dagli scrittori antichi come Teocrito e Ovidio e poi, nel Quattrocento, da Poliziano: è il sogno di una nuova età dell’oro, una stagione di ricchezza culturale e attualizzazione della classicità di cui anche Agostino Chigi si sentiva pienamente protagonista.

Madonna della seggiola 

Accanto alle opere di soggetto mitologico, Raffaello continua a produrre sia ritratti, sia tavole a soggetto religioso per committenti privati. L’opera, una Madonna con il Bambino (33) dal taglio particolare, è considerata uno snodo nella biografia dell’artista. La grazia e l’armonia con cui sono raffigurati i protagonisti si combinano a un rinnovato realismo nella resa dei corpi, delle vesti e dell’arredo: il drappo intorno alla testa o la sciarpa di seta di Maria sono oggetti di gran moda nel Cinquecento, mentre la sedia sulla sinistra è simile a quella degli alti dignitari della corte papale di Leone X. L'intento è comunicare emozioni e sentimenti che alludono all'umanizzazione del divino, reso tuttavia con una tale nobiltà e raffinatezza da non pregiudicarne o intaccarne la profonda dignità. La forma circolare del dipinto è sfruttata da Raffaello per combinare in modo originale le figure, attraversate da un sottile dinamismo: la Madonna spinge in avanti la testa e il busto si piega assecondando la geometria della tavola; la linea curva è a sua volta ribadita nella posa del braccio che avvolge teneramente un Gesù leggermente irrequieto, quasi trattenuto sulle ginocchia della madre, anch'esse delineate in modo da seguire la particolare morfologia della tavola. Un adorante e realistico san Giovannino, sulla destra, completa e quasi bilancia la composizione, caratterizzata dall'uso di toni caldi e dorati, con una particolare omogeneità cromatica che si riconosce nei volti di Maria e del Bambino, fusi in un'unità simbolica e religiosa ma anche molto intima e familiare. 

Ritratto di Leone X tra due cardinali 

Intorno al 1518 Raffaello completa il grande ritratto di Leone X (35), papa Medici, affiancato da due cugini cardinali, a sinistra Giulio de’ Medici - il futuro papa Clemente VII - e Luigi de’ Rossi, figlio di Maria de’ Medici, in piedi dietro la sedia. Leone X siede di tre quarti, appoggiandosi a un tavolino dove sono una Bibbia riccamente miniata, aperta all’inizio del Vangelo di Giovanni, per onorare il pontefice, al secolo Giovanni de’ Medici, e un campanello d’argento finemente cesellato, con i simboli araldici della famiglia. Per creare un sottile gioco di equilibri tra i personaggi, i cui sguardi sembrano non incrociarsi, l’artista sceglie diverse gradazioni del colore rosso, usato sia per le vesti dei cardinali, il mantello e il copricapo del papa, sia per la tovaglia del tavolino e il rivestimento della poltrona papale .

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Trasfigurazione

È proprio Giulio de’ Medici, la figura sulla sinistra nel ritratto precedente, a commissionare tra il 1516 e il 1517 la maestosa Trasfigurazione (36), ultima grande pala eseguita da Raffaello e considerata il suo testamento spirituale: l’opera, originariamente concepita per la Cattedrale di Narbonne, dove Giulio de’ Medici era titolare della cattedra episcopale, rimase a Roma e fu esposta accanto al letto di morte di Raffaello.
L’artista combina in una stessa tavola due differenti momenti della storia sacra, diversificandoli sia dal punto di vista stilistico, sia per quanto riguarda le fonti di illuminazione. L’invenzione raffaellesca avrà una straordinaria fortuna e farà scuola fino al Seicento avanzato, innovando profondamente il modello della pala d’altare. Nella parte superiore, sulla cima del monte Tabor, i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo assistono attoniti alla trasfigurazione vera e propria, con Cristo, vestito di bianco, tra Mosè ed Elia, sollevato in volo da un vento leggero che simboleggia la grazia divina e rende concreta e visibile l’azione trascendente e miracolosa
Nella parte inferiore, invece, in una scena pervasa da drammaticità, ma, come in un’antica tragedia, governata da un ferreo equilibrio, un fanciullo indemoniato sta per essere liberato dalla possessione. È circondato da una folla di personaggi, in cui spiccano gli apostoli che indicano il Cristo: le figure esprimono, con le loro differenti posizioni e le loro espressioni molteplici, tutta la gamma possibile dei sentimenti, dallo stupore alla paura, all’attesa, alla speranza e con i loro atteggiamenti coinvolgono emotivamente lo spettatore.

Dossier Arte - volume 2
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Dal Quattrocento al Rococò