Pietro Perugino

   1.  IL QUATTROCENTO >> La diffusione del linguaggio rinascimentale

Pietro Perugino

Pietro di Cristoforo Vannucci (Città della Pieve, Perugia 1448 ca.-Fontignano 1523), detto il Perugino per ricordare le sue origini umbre, nasce da una ricca famiglia e si forma a Firenze, all’interno dell’affermata bottega del Verrocchio dove apprende i rudimenti del disegno. Nel 1472 si iscrive alla Compagnia di San Luca, l’associazione fiorentina dei pittori, dimostrando così di aver terminato l’apprendistato, che è tuttavia evidente nelle sue prime opere, in cui rielabora in piena autonomia l’insegnamento di Verrocchio e di Botticelli. Il suo stile si caratterizza per una grazia particolare ed elegante, che in seguito trasmetterà al suo allievo più celebre, l’urbinate Raffaello Sanzio (► p. 186).
Nel 1479 Perugino è chiamato a Roma da papa Sisto IV e s’impone immediatamente come l’artista più innovativo e brillante del momento, tanto che il papa lo affianca alla ristretta squadra di pittori cui affidare la decorazione della cappella per il conclave, chiamata in onore del pontefice Cappella Sistina. All’interno del cantiere per la decorazione delle pareti, tra il 1481 e il 1482, Pietro Perugino assume una posizione di preminenza anche nei riguardi degli altri artisti, come i fiorentini Botticelli e Ghirlandaio: si tratta di una vasta impresa decorativa, che pittori anche molto diversi tra loro affrontano collettivamente, utilizzando una stessa scala dimensionale, sfondi simili e analoghe gamme cromatiche, in modo che l’effetto finale non risulti troppo dissonante.

Consegna delle chiavi a san Pietro

Il grandioso affresco con la Consegna delle chiavi a san Pietro (161) ha un indubbio rilievo politico, poiché simboleggia il passaggio del potere spirituale da Cristo a san Pietro, giustificando il primato su cui si fonda tutta l’autorità papale. La scena è organizzata su due fasce orizzontali: una con le figure in primo piano e una con lo sfondo architettonico, popolato da piccoli personaggi. In primo piano Cristo consegna le chiavi d’oro e d’argento del Paradiso a san Pietro inginocchiato, circondato dagli altri apostoli e da ritratti di contemporanei. Le linee prospettiche del pavimento conducono a un edificio a pianta centrale con cupola, mentre ai lati si trovano due archi trionfali, ispirati all’Arco di Costantino, a creare un ritmo razionale e ordinato, che riesce a nascondere anche le strane sproporzioni tra le figure in primo piano, quelle in lontananza e i grandi quadrati del pavimento. La composizione si presenta come perfettamente classica, e avrà un valore fondamentale per i pittori del secolo successivo. Grandiosa è la concezione, così come il respiro spaziale fino ad allora senza precedenti: la scena, nella sua solenne eloquenza, riepiloga i valori fondamentali della tradizione figurativa toscana, da Masaccio ad Andrea del Verrocchio, con il disegno e la solida costruzione volumetrica e prospettica, e insieme quella urbinate di Piero della Francesca, con il suo ritmo classico e quasi astratto. 

San Sebastiano

Il classicismo simmetrico, misurato e arricchito dalla luce straordinariamente luminosa degli affreschi della Cappella Sistina, è ulteriormente sviluppato nella tavola raffigurante San Sebastiano (162). La simmetria rigorosa della composizione, la prospettiva del pavimento, il perfetto impianto disegnativo, che si riconosce anche nella fluida definizione ottica e spaziale del porticato di gusto classico in cui è ambientata la scena, ma soprattutto il paesaggio sullo sfondo conferiscono all’intera raffigurazione un senso di serenità assoluta, turbato soltanto dal pilastro spezzato e dall’arcata interrotta sulla sinistra, simboli dell’ineluttabile caducità del mondo antico.

Pala di Vallombrosa

Il successo dell’artista presso i contemporanei è tale che egli conduce contemporaneamente due botteghe ben avviate, una a Perugia e l’altra a Firenze, ed è richiesto in molte parti d’Italia: a Lucca e Venezia nel 1494, a Bologna nel 1497 e a Milano nel 1498. In ognuno di questi luoghi il maestro si serve di aiuti, sia di discepoli già presenti da tempo nelle sue botteghe, sia di nuovi pittori arruolati sul posto. Grazie anche a questo modo di procedere, Perugino contribuisce alla vastissima diffusione del suo linguaggio in molte aree della Penisola italiana, assai distanti tra loro non solo geograficamente, ma anche dal punto di vista della tradizione figurativa, dando luogo a un vero e proprio fenomeno di "peruginismo" nella pittura italiana fra Quattro e Cinquecento. È un chiaro esempio di questa produzione la Pala di Vallombrosa (163), per un’abbazia alle porte di Firenze: il dipinto è chiaro, diviso in due zone, una celeste, con l’assunzione della Vergine e una terrena con i santi; cifra stilistica del pittore e della sua fiorente bottega sono le figure pacate, dai colori brillanti e dalle posizioni eleganti.                     

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò