Sandro Botticelli

   1.  IL QUATTROCENTO >> La diffusione del linguaggio rinascimentale

Sandro Botticelli

Sandro Botticelli (Firenze 1445-1510) è uno degli artisti del Rinascimento fiorentino che oggi gode di maggiore popolarità: è curioso quindi ricordare che, pur se si conoscevano le opere, la sua figura fu avvolta nell’oblio fino al XIX secolo, quando il critico inglese John Ruskin (1819-1900) lo riscoprì e il movimento artistico dei preraffaelliti lo elesse tra i suoi ispiratori, nel contesto più generale del recupero dell’arte del Trecento e del Quattrocento fiorentino.

La bellezza del disegno

La formazione artistica di Botticelli si svolge a Firenze presso Filippo Lippi e, dopo la morte di quest’ultimo, per un breve periodo, nella bottega del pittore e scultore Andrea del Verrocchio (► p. 148).

Madonna di Ajaccio

La sua opera autonoma più antica arrivata fino a noi è forse la tavola raffigurante la Madonna col Bambino e un angelo (143), detta anche Madonna di Ajaccio. Il dipinto non è in buone condizioni di conservazione, ma è di grande importanza storico-critica poiché documenta che già intorno al 1465, Botticelli, appena ventenne, aveva messo a punto un linguaggio inconfondibile, fondato su un disegno incisivo e strutturale, che definisce ed esalta le forme, ma anche su una soave leggerezza e una peculiare grazia di modi figurativi. Tale linguaggio segna tutta la prima stagione della sua ampia produzione, che si può dividere nettamente a metà: nel 1498, infatti, alla morte del visionario predicatore domenicano Girolamo Savonarola, bruciato come eretico per le sue posizioni di violento attacco al potere e per i suoi strali diretti contro la corruzione della Chiesa, Botticelli è colpito da una profonda crisi spirituale, che indirizzerà in senso nuovo la sua arte. 

Allegoria della Fortezza

Nel 1470 il pittore è già titolare di una propria bottega a Firenze e si dimostra in grado di produrre opere di rilievo: a questi anni si data l’Allegoria della Fortezza (144), appartenente a una serie di sette figure di Virtù commissionate a pittori fiorentini dal Tribunale della Mercanzia. Qui il disegno è il mezzo per definire in modo esatto la realtà: le mani sono eleganti e nervose, e il volto, come si conviene alla Virtù della Fortezza, intesa come determinazione, è energico ma l’espressione è leggermente malinconica, secondo una tipologia che caratterizza tutte le figure femminili del pittore.
Proprio la continua ricerca di una bellezza assoluta, al di là del tempo e dello spazio, porterà Botticelli a staccarsi progressivamente dai modelli iniziali e a elaborare uno stile sostanzialmente diverso da quello dei suoi contemporanei, che lo rese un caso praticamente unico nel panorama artistico fiorentino dell’epoca. 

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I capolavori per la famiglia Medici

Nel corso degli anni Settanta Botticelli dipinge una ricca serie di ritratti a testimonianza del suo interesse per questo genere, che sembra interpretare, tuttavia, più in termini di rassomiglianza celebrativa che d’introspezione e indagine psicologica.

Ritratto di Giuliano de' Medici

Rifacendosi a uno schema già sperimentato da Filippo Lippi nella sua celebre Lippina, nel Ritratto di Giuliano de’ Medici (145) Botticelli raffigura il fratello di Lorenzo il Magnifico all’interno di una cornice di pietra che corre parallela ai margini del dipinto, quasi fosse una finestra. Subito alle spalle del personaggio è dipinta invece una finestra vera e propria, con l’imposta sinistra aperta, dalla quale filtra una luce chiara che illumina lo spazio angusto, creando effetti di controluce. L’ambiente viene così definito dall’individuazione di vari piani che si aprono in progressiva lontananza, dando l’idea della profondità dello spazio; a questa sensazione contribuisce anche la disposizione della figura di tre quarti, secondo un modello fiammingo che Botticelli poteva conoscere dai dipinti presenti nelle collezioni fiorentine. Giuliano ha gli occhi semichiusi, e in primo piano, quasi nello spazio dell’osservatore si vede una tortora: questi dettagli potrebbero alludere alla malinconia dell’uomo per la morte prematura di Simonetta Vespucci, sposa dell’amico Marco Vespucci e a lui particolarmente cara, oppure, più probabilmente, a una celebrazione postuma di Giuliano, ucciso nel 1478 nel corso della tragica Congiura dei Pazzi, dalla quale invece si era salvato il fratello Lorenzo il Magnifico. Il ritratto sarebbe stato così realizzato, usanza comune, attraverso l’impiego di una maschera funebre, a cui sembra rimandare la carnagione di cera di Giuliano.
Attorno agli anni Ottanta Botticelli raggiunge l’apice della fama, anche per la sua vicinanza con gli esponenti di spicco della famiglia Medici, soprattutto Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici e suo fratello Lorenzo, appartenenti al ramo cadetto, e cugini di Lorenzo il Magnifico. Per i due l’artista dipinse alcuni capolavori.

Pallade e il centauro

Come spesso accade per le opere di Botticelli, anche della Pallade e il centauro (146) non si conosce il significato preciso, legato forse a un testo oggi perduto. Il senso della composizione però doveva essere immediatamente chiaro per il ristretto circolo del committente e di coloro che potevano vedere l’opera: attorno al 1498, anno della morte di Giovanni di Pierfrancesco, la tela si trovava sopra la porta di accesso all’anticamera nella sua casa di via Larga a Firenze, a pochi passi dal palazzo di Lorenzo il Magnifico. Il dipinto raffigura, sullo sfondo di una veduta marina con una nave, Pallade, ossia la dea latina Minerva , simbolo di saggezza e misura, che afferra un ricciolo del centauro, creatura mitologica metà uomo e metà cavallo, che si distingue per la forza bruta e gli istinti incontrollabili. La figura del mostro deriva da un sarcofago antico che Botticelli aveva visto sicuramente a Roma, dove aveva soggiornato a partire dal 1480, chiamato da papa Sisto IV, insieme a un gruppo di affermati pittori fiorentini dell’epoca, ad affrescare le pareti della Cappella Sistina (► pp. 208-211).

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò