L’invenzione della prospettiva centrale

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L'invenzione della prospettiva centrale

Una delle novità forse più interessanti del Rinascimento è l’invenzione della prospettiva centrale o lineare, un sistema per la restituzione dello spazio e della terza dimensione sul piano, cioè sulla superficie bidimensionale di un foglio di carta, di una tavola, di una tela o di un muro. Con il termine "finestra prospettica" s’intende una veduta dominata da un punto di fuga centrale che si trova posto sulla linea dell’orizzonte. Verso di esso convergono tutte le linee tangenti agli spigoli orizzontali di oggetti e architetture. Infatti, mentre le linee verticali restano parallele ai lati della "finestra", quelle orizzontali e i relativi piani "degradano", ossia si deformano, secondo le leggi della prospettiva, andando a confluire verso un unico punto. In questo modo tutti gli elementi della rappresentazione, le architetture, le figure e gli oggetti sono osservati da un unico punto di vista, quello dello spettatore: la prospettiva centrale non è quindi solo uno strumento geometrico e matematico, ma diventa una modalità di conoscere, indagare e riprodurre la realtà secondo princìpi razionali e universali.

Gli esperimenti di Brunelleschi

Già i contemporanei consideravano l’architetto Filippo Brunelleschi, uno dei padri fondatori del Rinascimento fiorentino, l’inventore della prospettiva centrale o lineare, «giusta e perfetta». Il suo biografo Antonio Manetti e poi l’architetto Leon Battista Alberti, che darà veste teorica al procedimento, raccontano che attraverso studi ed esperienze condotte con l’aiuto di strumenti ottici, l’architetto giunse a un procedimento metodologico per rappresentare gli edifici in prospettiva, che illustrò graficamente in due tavolette andate purtroppo perdute (2).
Intorno al 1413 Brunelleschi disegnò il Battistero di Firenze (1-3) in maniera tale da destare l’ammirazione di tutti. L’artista prese una tavoletta di legno di formato quadrato, larga mezzo braccio, ossia circa 29 cm, e vi praticò un foro all’altezza dell’orizzonte (il cosiddetto punto di fuga). Attraverso il foro, egli osservava il Battistero riflesso in uno specchio in modo da rendere la visione la più oggettiva possibile. Quando era sicuro d’aver compreso l’andamento della linea presa in esame, la tracciava sulla tavoletta e poi passava a un’altra linea, allontanando da sé la tavoletta sempre della stessa misura, ossia di un braccio, per controllare. Così facendo arrivò a ritrarre tutto l’edificio e, quando ebbe finito, si rese conto che il suo disegno era identico a quanto poteva osservare nello specchio. Per renderlo ancor più verosimile applicò una foglia d’argento nella parte superiore perché potesse riflettere la luminosità del cielo e perfino il passaggio delle nuvole. La tavoletta doveva essere osservata da dietro, avendo cura di farla riflettere nello specchio così da compensare l’inversione fra destra e sinistra determinata dalla procedura descritta. Brunelleschi ripeté poi l’esperimento con altri due famosi edifici fiorentini, Palazzo Vecchio e la Loggia della Signoria, osservati da via de’ Calzaiuoli. Dall’invenzione di Brunelleschi, perfezionata da altri maestri nel corso del Quattrocento, la scienza prospettica non avrà più ostacoli e tutti i pittori occidentali, non solo italiani, per essere aggiornati, dovranno dimostrare di conoscere quella che fu definita "la prospettiva" per antonomasia.

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La prospettiva come "forma simbolica"

Pur essendo il modo più convincente di rappresentare la tridimensionalità, la prospettiva lineare è comunque un’astrazione: con essa infatti si creano composizioni organizzate intorno a un punto di fuga centrale, senza tenere conto del fatto che la visione umana è leggermente diversa, perché nasce dalla combinazione di ciò che si vede con due occhi. In un libro ancor oggi fondamentale (La prospettiva come forma simbolica, 1927), lo storico dell’arte tedesco Erwin Panofsky (1892-1968) dichiara che la prospettiva e la rappresentazione dello spazio, in ogni epoca, sono la spia di un modo di pensare e concepire il mondo: ossia, per usare le sue parole, la "forma simbolica" di un’epoca, poiché in ogni tempo gli uomini hanno rappresentato lo spazio secondo le convenzioni più adatte al loro modo di pensare. Esempi di convincenti costruzioni tridimensionali si trovano già nell’arte classica, ma fu il Medioevo a dimenticare questi insegnamenti e trovarli poco conformi alle sue necessità espressive, e a ritornare a scompaginare, soprattutto con intenti simbolici, la visione unitaria dello spazio che l’antichità greco-romana aveva raggiunto: nei mosaici bizantini, per esempio, compaiono stratagemmi utili a far vedere ogni lato di un tavolo o dell’interno di un ambiente. È solo verso il XIV secolo che si sentirà la necessità di recuperare una visione unitaria dello spazio, ottenuta in maniera intuitiva, con regole empiriche ma efficaci, come per esempio nei famosi Coretti di Giotto nella Cappella degli Scrovegni (4). Si parla in questo caso di prospettiva empirica: una rappresentazione della realtà tridimensionale, ottenuta non grazie a studi geometrico-lineari ma attraverso l’osservazione diretta della realtà.
Nel Rinascimento, come si è visto, l’uomo torna al centro del dibattito filosofico e culturale, e così la nuova modalità inventata per rappresentare lo spazio, osservato da un unico punto di vista, quello dello spettatore, dà sostanza geometrica a una nuova concezione filosofica del mondo, basata su un ordine razionale che vede l’uomo al centro del creato e ha piena fiducia nelle sue capacità di osservare e riprodurre la realtà.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò