Giovanni Bellini

   1.  IL QUATTROCENTO >> La diffusione del linguaggio rinascimentale

Giovanni Bellini

La formazione nella bottega del padre

Figlio del pittore Jacopo (1400 ca.-1470/1471), Giovanni Bellini (Venezia 1431/1436 ca.-1516) si forma nella bottega paterna. La bottega dei Bellini era una delle più importanti nella Venezia del Quattrocento e le opere dei pittori che vi lavoravano erano richieste in tutto il Mediterraneo; lo testimonia il fatto che il fratello maggiore Gentile (Venezia 1429-1507), anch’esso pittore, nel 1479-1480 lasciò Venezia per una missione diplomatica a Costantinopoli, invitato dal sultano, per il quale eseguì vari dipinti tra cui un famoso ritratto. La sorella maggiore Nicolosia sposa nel 1453 Andrea Mantegna: il matrimonio contribuisce a favorire i rapporti fra i due artisti, caratterizzati da una preziosa e reciproca influenza.
Intorno al 1475 avviene l’incontro fondamentale tra Giovanni e Antonello da Messina, impegnato nella città lagunare per realizzare la Pala di San Cassiano (► p. 138), un dipinto che avrà notevoli riflessi sugli sviluppi dell’intera pittura italiana del secondo Quattrocento. Nel 1483 è nominato pittore ufficiale della Repubblica Veneta e da allora le commissioni più prestigiose si susseguono fino alla morte.
Nel 1506 avviene un altro fondamentale incontro, quello con Albrecht Durer, il principale rappresentante del Rinascimento tedesco ( p. 326), che era giunto a Venezia per la seconda volta. Proprio da Venezia, il 7 febbraio 1506, l’artista tedesco parla di Giovanni Bellini in una lettera al suo tipografo di Norimberga: «Tutti mi avevano detto che era un grand’uomo, e infatti lo è, e io mi sento veramente amico suo. È molto vecchio, ma certo è ancora il miglior pittore di tutti».
Lo storico dell’arte Roberto Longhi in un saggio sulla pittura veneziana (Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, 1946) illustra bene il motivo per il quale Giovanni Bellini è ritenuto uno dei massimi artisti della pittura italiana di ogni tempo. Egli è, infatti, nel corso della sua lunga attività, in grado di percorrere con altissimi risultati e in totale autonomia intellettuale i principali modelli della visione pittorica presenti in quell’epoca: «prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco», cioè prima su posizioni legate all’arte ancora tardogotica, poi influenzato da Mantegna, infine profondo conoscitore dei moderni autori del Cinquecento veneziano. Sperimentatore incessante durante l’intero percorso dell’attività, spazia dalla tempera grassa all’olio, dalla tavola alla tela, da un disegno minuzioso e finissimo a pochi tratti appena accennati e segna dunque, con la sua lunga carriera, il passaggio fondamentale dell’arte veneziana dal Tardogotico allo splendore luminoso del Rinascimento.

Le opere giovanili

Trasfigurazione

Il riflesso della produzione del cognato Andrea Mantegna è ben evidente in una delle prime opere, la Trasfigurazione (131). Secondo quanto narrano i Vangeli di Marco, Luca e Matteo, gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni assistono folgorati all’apparizione di Gesù sul monte Tabor al fianco degli antichi profeti Elia e Mosè. La composizione, nettamente divisa in due parti, è impostata secondo un andamento ascendente, che culmina nella figura di Cristo che indossa una veste bianca dall’abbondante drappeggio. Gli altri personaggi sono incassati nelle spalle, con le teste mostrate in scorci arditi, sull’esempio delle ardite illusioni prospettiche di Mantegna. Anche il panneggio di Cristo e dei tre apostoli addormentati rinvia stilisticamente alle invenzioni del cognato; tuttavia, mentre in Mantegna prevale sempre un racconto di natura epico-storica, in Bellini la narrazione si fa quasi più tenera, poetica e spirituale, come emerge soprattutto dal sereno paesaggio che si intravvede dietro la montagna.

  › pagina 129   

Pietà di Brera

Con quest’opera (132), eseguita negli anni Sessanta del Quattrocento, Giovanni Bellini raggiunge la piena maturità artistica. Al centro della tavola è il corpo morto di Cristo, sorretto dalla Vergine, che avvicina teneramente il viso al figlio, e da san Giovanni, che ha la bocca dischiusa in un pianto sommesso. In primo piano il braccio del Salvatore, con grande rilievo volumetrico, si appoggia a una lastra marmorea su cui si trova la firma del pittore , mentre alle spalle dei personaggi si apre un lontano paesaggio, descritto minuziosamente. La luce, che proviene dal cielo limpido, investe i corpi e i volti, creando concentrazione drammatica: la luminosità che colpisce il Cristo ne mette in risalto il corpo, mentre il viso della Vergine è reso ancora più dolente perché ombre scure sottolineano gli occhi gonfi di pianto e le occhiaie scavate. L’opera è utile per comprendere le differenze tra la produzione di Bellini e quella del cognato Andrea Mantegna: se infatti vicini allo stile di Mantegna sono alcuni dettagli, come i riccioli illuminati da riflessi dorati di Giovanni o il braccio del Salvatore in cui si distingue ogni vena, differente è il valore uniformante della luce che, pur nella tragicità del momento rappresentato, rende morbida e dolce ogni sfumatura.

  › pagina 130   

Un nuovo modello di pala d'altare

L’ampiezza del registro espressivo di Giovanni Bellini e la sua capacità d’immaginare soluzioni compositive e strutturali di assoluta novità è testimoniata anche da alcune monumentali pale d’altare eseguite a partire dagli anni Settanta del Quattrocento.

Pala di Pesaro

La prima testimonianza è la grandiosa pala dipinta intorno al 1475 per la Chiesa di San Francesco a Pesaro (133), firmata «IOANNES BELLINVS». Mentre la parte centrale della pala è oggi conservata nei Musei Civici, la cimasa, ossia il coronamento superiore del dipinto, passò a Parigi e poi nei Musei Vaticani e fu riconosciuta come parte dell’insieme solo a partire dal 1913.
Nel grande pannello centrale la scena dell’Incoronazione della Vergine tra i santi Paolo, Pietro, Girolamo e Francesco, è ambientata, anziché in cielo, sulla terra: la Vergine e il Cristo sono inquadrati da un trono marmoreo nella cui spalliera si apre una finestra che lascia intravedere, come un quadro nel quadro, un paesaggio luminoso e straordinariamente vivo, con un tratto di mura protetto da torri che si inerpica verso la cima di un colle dove si trova il castello. Non si tratta più di un semplice sfondo, ma di un luogo vivo e palpitante in cui l’aria e la luce circolano liberamente. I personaggi principali, la natura e persino le parti più marginali dell’opera trasmettono un senso di serena e profonda umanità, caratterizzata dalla consueta misura classica: sono i tratti salienti del "classicismo belliniano", destinato a influenzare tutto il Cinquecento italiano. La grandiosa macchina d’altare era composta inoltre da otto santi posizionati nei pilastri laterali della ricca cornice e sette storie nella predella; presentava, infine, una cimasa con l’Imbalsamazione di Cristo (134). Secondo l’insegnamento fiammingo il colore è luminoso e trasparente , i personaggi sacri sono umanizzati e patetici, con i volti corrucciati ma insieme trattenuti: con una profonda innovazione di un modello iconografico consolidato, Cristo non è più frontale, ma seduto di tre quarti sul sarcofago, mentre un compagno lo tiene per la schiena e un altro regge l’ampolla degli oli della Maddalena, che sta profumando una mano di Cristo.

Trittico dei Frari

Uno dei capolavori di Bellini è il trittico che ancora oggi si trova nel luogo per cui fu dipinto: l’altare della sacrestia della chiesa veneziana di Santa Maria Gloriosa dei Frari (ossia dei frati francescani) (135). L’opera raffigura la Madonna col Bambino in trono e due angeli musicanti nello scomparto centrale, i santi Nicola di Bari e Pietro nello scomparto sinistro e i santi Marco e Benedetto in quello di destra, ed è firmata e datata sul basamento del trono della Vergine. Nonostante la riproposizione dell’antico schema del trittico, l’unificazione spaziale è totale e appare esaltata proprio dalla cornice, sicuramente eseguita su disegno del pittore stesso, il cui schema architettonico si fonda sui quattro pilastri che reggono due brevi architravi e un arco centrale: si tratta della traduzione pittorica del celebre motivo architettonico della "serliana", costituito da un arco a tutto sesto centrale e due aperture laterali sormontate da un architrave retto da colonne. Lo spazio non è suggerito attraverso artifici prospettici più o meno arditi e il classicismo di Bellini non si basa su citazioni particolari di monumenti o dettagli architettonici classici, come invece accade per molti artisti dell'epoca. La vera novità delle composizioni di Bellini, soprattutto rispetto alle creazioni del primo Quattrocento fiorentino, consiste nella costruzione di una spazialità che non si regge più soltanto sull'esercizio geometrico della prospettiva lineare, ma, grazie alla luce, diventa totale e atmosferica, con effetti analoghi a quanto in quegli stessi anni va sperimentando, tra Firenze e Milano, anche Leonardo da Vinci (► p. 174). Si tratta della cosiddetta " prospettiva atmosferica" o "prospettiva aerea", in cui la distanza e la profondità spaziale sono rese sfumando i colori e digradando i toni. Nel Trittico dei Frari lo spazio è continuo e infinito: lo lasciano intuire i due incredibili scorci paesaggistici quasi impercettibili, come due strisce verticali fra i pilastri esterni della cornice e quelli dipinti sul fondo delle logge laterali che ospitano i santi. Lo spazio in cui siede la Madonna col figlio sull'alto trono è la consueta abside decorata a mosaico nel più tipico stile bizantino-veneziano: la luce diffusa e naturale si riflette rispecchiandosi nell'oro del mosaico, creando un sorprendente effetto di profondità. 

Pala di San Zaccaria

L’equilibrio classico, ormai pienamente cinquecentesco, si ritrova anche nella più tarda e grandiosa Pala di San Zaccaria, dipinta per un altare della chiesa omonima (136), una composizione destinata a influenzare i maestri veneziani e tutta l’arte italiana. La nicchia in cui è ambientata la sacra conversazione prosegue e "sfonda" idealmente il vero spazio della chiesa; tutte le figure, la Madonna seduta sull’alto trono, i quattro santi, l’angelo musicante, sono insieme pacate e intensamente concentrate. Come già nel Trittico dei Frari, ai lati dell’abside piccole aperture lasciano intravedere il paesaggio, e da lì sembra passare la luce che illumina i personaggi e ne ammorbidisce le forme monumentali. Al di sopra della testa della Vergine, sullo sfondo di un’abside a mosaico, sono sospesi un uovo, citazione della Pala di Brera di Piero della Francesca (► p. 100), e una lucerna, elemento che deriva dalla Pala di San Zeno di Mantegna ( p. 122): proprio ai due autori Bellini guarda per la sua creazione, superando tuttavia entrambi nel senso di un’unificazione tonale e atmosferica dello spazio.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò