FOCUS: Uno spazio rinascimentale: lo studiolo

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UNO SPAZIO RINASCIMENTALE: LO STUDIOLO

Nelle corti rinascimentali all'interno dei palazzi esisteva spesso un ambiente particolare, chiamato studiolo, una stanza dove il signore poteva ritirarsi per dedicarsi ai propri interessi culturali: qui si "studiava", si leggeva, si sbrigava la corrispondenza o si conservavano preziose raccolte di dipinti, oggetti rari, vasi, gemme, monete antiche. Era in genere uno spazio privato, ma spesso visitatori privilegiati potevano essere ammessi al suo interno dal signore, per ammirare le sue collezioni.
Oggi è spesso difficile ricostruire la preziosità di questi ambienti perché molti di essi, come lo Studiolo di Belfiore, a Ferrara, per cui  fu eseguita la cosiddetta Primavera di Cosmè Tura, sono scomparsi con la distruzione dei palazzi che li ospitavano o perché anche gli esempi superstiti non sempre mantengono intatta la decorazione originale.

Lo Studiolo di Federico da Montefeltro

Un caso quasi unico di ambiente in buona parte integro è lo Studiolo di Federico da Montefeltro, una delle stanze più celebri del Palazzo Ducale di Urbino, realizzato tra il 1473 e il 1476 da artisti fiamminghi appositamente chiamati a corte dal duca. Le pareti sono interamente coperte da tarsie lignee, ossia da pannelli ottenuti accostando tra loro minuti pezzi di legni di colori e qualità diversi, per realizzare scene figurate e nature morte. Le tarsie hanno l'effetto di sfondare illusionisticamente l'architettura della stanza, come armadi aperti su collezioni di oggetti o finestre da cui si intravedono vedute architettoniche. In origine le pareti erano decorate nella parte superiore da un fregio con ventotto ritratti di Uomini illustri del passato e del presente, disposti su due registri, realizzati dal pittore fiammingo Giusto di Gand e dallo spagnolo Pedro Berruguete tra il 1473 e il 1476 circa, oggi smembrati tra il Museo del Louvre a Parigi e la Galleria Nazionale delle Marche a Urbino. I personaggi erano ritratti da un unico punto di vista leggermente ribassato e avevano uno sfondo comune, in modo da dare l'impressione che le personalità del mondo classico e del presente urbinate osservassero Federico nel suo studiolo e partecipassero alla sua attività intellettuale, in cui i valori antichi e moderni si compenetravano armoniosamente. Non a caso il ritratto del grande filosofo greco Aristotele di Giusto di Gand indossa abiti rinascimentali, per favorire l'identificazione tra il coltissimo duca e le personalità del passato. 

Lo Studiolo di Isabella d'Este

In gran parte smembrato, ma ricostruibile nei suoi arredi grazie a numerose tracce documentarie, è invece lo Studiolo di isabella d'Este, a Mantova. Isabella, nata a Ferrara ed educata da alcuni dei più colti umanisti dell'epoca, sposa Francesco II Gonzaga nel 1490 a soli sedici anni. Poco dopo il suo arrivo a Mantova organizza un piccolo ambiente dei suoi appartamenti nella rocca come uno studiolo, ispirata probabilmente dallo Studiolo di Belfiore di suo zio Leonello d'Este, e da quello di Urbino, conosciuto tramite la cognata Elisabetta Gonzaga, moglie di Guidobaldo da Montefeltro.
L'ambiente fu progressivamente abbandonato dopo la morte della marchesa e i dipinti che lo decoravano si dispersero tra varie collezioni europee dopo il 1627, quando si estinse il ramo principale della famiglia Gonzaga; conosciamo tuttavia dettagliatamente le richieste di Isabella per la decorazione dell'ambiente grazie a una fitta corrispondenza con numerosi artisti.
Il pannello con la raffigurazione del Parnaso, datato 1497, di Andrea Mantegna, è il primo dei dipinti destinati alla decorazione dello studiolo ed è un'opera di lettura iconografica assai complessa, ispirata alla mitologia classica e sicuramente dettata da Isabella stessa e dai suoi consiglieri. Le Muse al centro danzano ai piedi del Parnaso, sulla cui cima stanno Venere e Marte, con le braccia teneramente intrecciate. Sulla destra la scena è chiusa da Mercurio e Pegaso, il bellissimo cavallo alato, che bat
tendo lo zoccolo pone fine agli sconvolgimenti provocati dal canto delle Muse. 
Complessa è anche la lettura del cosiddetto Trionfo della Virtù, eseguito sempre da Mantegna nel 1502. La tela rappresenta numerosi personaggi allegorici la cui identificazione è facilitata dalle scritte, ma non tutti gli elementi sono stati univocamente interpretati. La scena è ambientata in un parco delimitato da archi ricoperti di rampicanti. Si tratta del giardino simbolico della Virtù, occupato dai Vizi che l'hanno trasformato in una palude: a sinistra irrompe però Minerva, simbolo delle doti intellettuali della mente umana, accompagnata da Diana e dalla Castità, che scaccia un vorticoso gruppo di amorini in volo, simbolo dell'amore carnale e dei Vizi. Anche se ancora sfuggono molti dei significati sottesi alle complesse raffigurazioni volute da Isabella, il senso del programma iconografico è chiaro: la vittoria della virtù sul vizio, dell'amore celeste sull'amore terreno e il trionfo di un'armonia platonica rinnovata in senso umanistico.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò