Dossier Arte - volume 2

   1.  IL QUATTROCENTO >> La diffusione del linguaggio rinascimentale

Polittico di San Luca

Negli stessi anni in cui lavora agli affreschi della Cappella Ovetari l’artista firma per la Chiesa di Santa Giustina a Padova un polittico che ha per soggetto centrale san Luca evangelista, sormontato dal Cristo in pietà fra i dolenti e otto santi, posti in due ordini sovrapposti (128).
A una prima occhiata l’opera appare come un tipico polittico su fondo oro di gusto tardogotico. La modernità della composizione risiede nell’unificazione spaziale prospettica delle diverse tavole, creata dal gradino di marmi policromi che forma la base sulla quale sono appoggiati i santi del registro inferiore e dalla vista dal basso dei personaggi del registro superiore. La cornice, perduta, doveva dare l’impressione che i santi si affacciassero da una balconata: ogni figura "abita" in maniera straordinaria lo spazio che occupa, a cominciare da san Luca, intento a scrivere su di uno scrittoio visto di sotto in su, da cui sporgono un libro e il calamaio. Il santo ha una dignità classica, quasi fosse un senatore romano, mentre la sua forte presenza fisica trova confronti pertinenti solo con i personaggi di Masaccio nella Cappella Brancacci a Firenze. Mantegna raffigura in pittura, con perfetto illusionismo, marmi preziosi di varia natura e colori, raffinate decorazioni scultoree, oggetti di uso quotidiano e frutti, secondo un lessico comune di tanta parte della pittura dell’Italia settentrionale, dai pittori ferraresi ai seguaci dello Squarcione. Tuttavia, mentre in questi artisti prevale il gusto per una decorazione esorbitante quasi fine a se stessa, in Mantegna questi dettagli sono trattati allo stesso livello degli aspetti fondamentali della raffigurazione, sono cioè parte integrante dell’historia, vale a dire della narrazione pittorica, come la chiamava nei suoi scritti teorici Leon Battista Alberti.

Pala di San Zeno

Tra il 1457 e il 1459 Mantegna dipinge la grandiosa pala d’altare per la Basilica di San Zeno a Verona (129). L’opera si colloca al termine del periodo di formazione dell’artista e innova in maniera decisiva la vecchia tipologia del polittico, che già a Firenze si stava progressivamente evolvendo in una pala quadrata. Mantegna s’inserisce in questo processo avendo come riferimento essenziale Donatello, che sulla base dell’Altare del Santo di Padova metteva in scena una sacra conversazione di sculture in bronzo. Nella pala di Mantegna la Madonna siede in atteggiamento di placida, rassicurante solennità su un trono elevato, circondata da vivaci angeli intenti a leggere o a suonare. Anche negli scomparti laterali gli otto santi sono colti in posizioni diverse e naturali, concentrati nella lettura oppure occupati a parlare tra loro. Parte integrante dell'opera è la cornice architettonica in legno intagliato, dorato e decorato in colore azzurro, disegnata dall'artista medesimo ed eseguita in contemporanea al dipinto. La cornice, di sobrio gusto classico, al tempo stesso divide e unisce i tre pannelli e sembra quasi completare la loggia su cui si affacciano i protagonisti, diventandone in pratica il primo piano.

A Mantova come pittore di corte

Del 1456 è la prima lettera in cui Ludovico Gonzaga, marchese di Mantova, richiede Mantegna come pittore di corte. L’anno successivo Gonzaga lo invita di nuovo in modo ufficiale, ma l’artista, forse preoccupato dall’idea di entrare al servizio di un potente e di essere costretto ad abbandonare il vivace ambiente dello Studio padovano, arriva solo tre anni dopo. Stipendiato dalla famiglia Gonzaga vivrà a Mantova anni di alterne fortune fino alla morte, nel 1506, celebrato per i suoi capolavori, ma spesso amareggiato dalle continue richieste della famiglia.

Cristo morto

Controversa è la datazione del Cristo morto (130), secondo alcuni riferibile alla fine del primo periodo padovano, secondo altri databile molto più tardi, al 1501: si pensa che il dipinto sia il Cristo in scurto (ossia in "scorcio"), destinato forse alla devozione privata dell’artista e citato tra le opere rimaste nella sua bottega dopo la morte. Con notevole effetto drammatico, l’inquadratura è stretta sul corpo morto del Salvatore: Cristo è sdraiato sulla cosiddetta pietra dell’unzione, semicoperta dal sudario dopo che il suo corpo è stato lavato e profumato con gli unguenti prima della sepoltura; la partecipazione emotiva al dramma sacro è aumentata dall’uso di colori freddi e smorzati. Ai lati i dolenti, i cui volti rugosi sono percorsi da lacrime, quasi scompaiono, tagliati dai bordi della tela, mentre strabiliante è l’invenzione del ripido scorcio con cui è visto il corpo morto del Salvatore .

Dossier Arte - volume 2
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Dal Quattrocento al Rococò