Andrea Mantegna

   1.  IL QUATTROCENTO >> La diffusione del linguaggio rinascimentale

Andrea Mantegna

La bottega di Francesco Squarcione

Andrea Mantegna (Isola di Carturo, Padova 1430 ca.-Mantova 1506) è l’artista a cui spetta il ruolo di aver introdotto e diffuso le scoperte e il linguaggio rinascimentale nell’Italia del Nord. La sua formazione artistica si svolge nell’affollata bottega padovana del pittore e collezionista di antichità Francesco Squarcione (Padova 1395-1468), dove assimila soprattutto il gusto per la rievocazione classica e la pratica quotidiana con le testimonianze del passato. Questo originale ed estroso maestro padovano vive il classicismo e il rapporto con l’Antico in maniera quasi maniacale e ossessiva, come si nota nella sua Madonna con il Bambino (126). La Vergine, di profilo, è inquadrata da una sontuosa ghirlanda, i colori sono intensi e ricordano la pittura antica, la candela a sinistra sembra perdere il suo valore simbolico per diventare solo citazione antiquaria. Il suo repertorio di immagini classiche ebbe ampia diffusione in Italia e in Europa: Mantegna stesso infatti fu uno dei primi artisti a tradurre le sue invenzioni in incisioni, facilmente trasportabili, sfruttando le nuove tecniche della xilografia e della calcografia. 
Mentre Squarcione copia spesso senza inventiva i motivi classici, per Mantegna, invece, il rapporto con l’antichità è colto e maturo: l’artista frequenta infatti lo Studio padovano, una sorta di università dove si insegnava filologia, filosofia e scienze.
Mantegna ha numerosi contatti con gli artisti italiani del primo Quattrocento: conosce le opere di Andrea del Castagno a Venezia, di Paolo Uccello, Filippo Lippi e Donatello a Padova, e nel 1448, nel corso di un viaggio a Ferrara, quelle di Piero della Francesca.

Le opere giovanili

Cappella Ovetari

Appena diciassettenne, Mantegna è chiamato ad affrescare la Cappella Ovetari nella Chiesa degli Eremitani di Padova. La cappella si deve al lascito testamentario del notaio Antonio Ovetari. Nel 1448 la vedova incaricò un gruppo eterogeneo di artisti: i lavori si conclusero solo nel 1457; morti molti dei compagni, Mantegna completò da solo la decorazione, con Storie di san Giacomo e san Cristoforo, dando prova di essere un artista già maturo.
Nella scena del Martirio di san Giacomo (127) il punto di vista è posto sensibilmente al di sotto della base dell’affresco, un espediente che rende ancora più lontano e ripido il paesaggio di fondo, brulicante di edifici, strade e campi coltivati. La definizione spaziale è l’autentico banco di prova dell’arte italiana da Giotto in avanti: qui lo spazio è misurato in primo piano dall’esile staccionata, cui si appoggia il soldato sulla sinistra, accanto al cavallo in scorcio che sembra "entrare" nello spazio dello spettatore, esterno alla scena della storia. Per raggiungere questi vertici di spazialità pittorica e di resa plastica dei personaggi, che si muovono lenti come statue antiche, Mantegna guarda essenzialmente agli esempi di Donatello a Padova. L'altra caratteristica fondamentale degli affreschi è l'amore dell'artista per la classicità, una passione fortissima e originale: un grandioso arco trionfale occupa quasi metà della scena La diffusione del linguaggio rinascimentale Andrea Mantegna con il Miracolo di san Giacomo, i personaggi vestono armature e costumi classici secondo un gusto che non è solo citazione erudita staccata dal contesto, come già nell'opera di Squarcione, ma una vera e propria rievocazione della misura classica degli eventi storici. 

   FOCUS 

IL RESTAURO DELLA CAPPELLA OVETARI

Nel corso della Seconda guerra mondiale, l'11 marzo 1944 una bomba colpì la Chiesa degli Eremitani distruggendo la terminazione absidale sud e la collegata Cappella Ovetari; andarono a terra, in gran parte polverizzandosi, quasi tutti gli affreschi. Raccontarono i testimoni: «Le macerie sono lì, solo dopo due giorni arrivano i regi carabinieri a proteggerle», mentre alcuni «appassionati» vagano fra i calcinacci e i mattoni a portare via frammenti dipinti. Soltanto tre mesi dopo l'Istituto Centrale del Restauro di Roma, diretto da Cesare Brandi, arriva a Padova a recuperare quello che i vandalismi e le intemperie avevano lasciato nella cappella. Si trattava di circa 80.000 frammenti, i più grandi delle dimensioni di pochi centimetri, la maggior parte di meno di un centimetro quadrato, che furono posti dai restauratori in casse a più strati, smangiati ai bordi, mal conservati, fragilissimi. Solo nel 1992 i frammenti tornano a Padova: si dà così inizio a una lunga e complessa operazione di catalogazione generale e di analisi informatica per cercare di ricostruire quel  che è possibile, dal mosaico di frammenti, utilizzando come traccia le antiche foto in bianco e nero realizzate prima del bombardamento. Nel 2006 alcuni frammenti sono ricollocati in loco, sopra una traccia fotografica: un restauro che non ha mancato di sollevare dubbi e polemiche tra chi parla di «coriandoli di colore sapientemente ricollocati...che stanno come sospesi» e chi invece ha difeso l'operazione, perché permette di vedere almeno alcune tracce dei colori originali, anche se l'insieme resta oggi irrimediabilmente perduto.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò