I templi dorici in Grecia e in Sicilia

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I templi dorici in Grecia e in Sicilia

Tra il VII e il VI secolo a.C., cioè prima dell’affermazione definitiva dell’uso della pietra, uno stesso edificio poteva essere eretto con materiali costruttivi diversi. Nei templi di questo periodo, sebbene le grandi linee dell’ordine dorico fossero già definite, le colonne e gli architravi erano ancora di legno, mentre i fregi erano a volte realizzati in mattoni e terracotta. Queste prime testimonianze sono importanti perché permettono di cogliere i tentativi e le sperimentazioni degli architetti di Età Arcaica con la pietra, materiale di cui non conoscevano ancora tutte le possibilità costruttive e di resistenza, e con la nuova tendenza alla monumentalità.

Tempio di Hera a Olimpia

Le colonne del tempio dorico di Hera a Olimpia (25-26), costruito tra la metà del VII e l’inizio del VI secolo a.C., furono realizzate in legno e poi sostituite con quelle lapidee (di pietra) nel corso dei secoli, tanto che lo storico Pausania (II secolo d.C.) racconta di aver visto ancora alcuni elementi antichi di quercia.
L’Heraíon di Olimpia mostra inoltre soluzioni non ancora definitive anche nella distribuzione degli spazi interni, fatto che rende questo antico tempio un’importante testimonianza dell’evoluzione dell’ordine dorico verso le sue forme canoniche. La cella, infatti, è già tripartita (caratteristica propria dei templi dorici), essendo separata in tre ambienti longitudinali (navate) da due file di colonne; tuttavia, le colonne sono molto vicine alle pareti e, alternativamente, sono addossate a pilastri che vanno a formare cinque piccole cappelle laterali, assenti negli esempi successivi di tempio dorico.

Tempio di Atena Apháia a Egina

Sull’isola di Egina, di fronte ad Atene, si trova l’esempio meglio conservato di tempio dorico di Età Arcaica. Datato al 500-480 a.C. circa, il Tempio di Egina (27-28) sorge in posizione elevata, su un promontorio che dà sul mare, ed è dedicato ad Atena Apháia (Apháia era una divinità locale il cui culto fu assimilato a quello della dea Atena). Si tratta di un tempio periptero che sorge su una crepidine a tre gradini; la peristasi è composta da sei colonne in facciata e dodici sul lato lungo. Le colonne, in calcare locale, sono più sottili e slanciate rispetto ai primi esempi del dorico arcaico e mostrano un’evoluzione della tecnica verso soluzioni più armoniose, anche se erano leggermente rivestite da uno stucco chiaro che ne definiva con maggiore nettezza gli spigoli delle scanalature. I capitelli, con abaco ed echino, sostengono una trabeazione in cui si conservano sia la scansione di metope e triglifi sia gli elementi più piccoli come mutuli e gutte. La cella, dove si trovava la statua di Atena, ha una pianta classica con pronao e opistodomo (destinato in genere a contenere oggetti offerti in dono alla divinità) speculari con le due colonne tra le ante. Nonostante lo spazio sia ristretto, la cella è divisa in tre navate da due file di cinque colonne, a cui si somma un secondo ordine di colonne più piccole a reggere la copertura (non conservata). Questa sorta di secondo piano, che sarà ripreso da esempi successivi, aveva una funzione puramente decorativa, creando probabilmente una sorta di ricca cornice intorno alla statua della dea, posta nella navata centrale.

L'ordine dorico in Italia

Nelle colonie della Magna Grecia, e ancora di più in Sicilia, l’applicazione dell’ordine dorico presenta caratteri autonomi rispetto a quelli della madrepatria. I templi sono solitamente più imponenti, con una pianta più allungata e una cella arretrata verso il fondo, in modo da accentuare la profondità del pronao, che presenta una doppia fila di colonne. L’opistodomo è assente e sostituito spesso da un ádyton (letteralmente "inaccessibile"), un ambiente realizzato sul fondo della cella e privo di apertura verso l’esterno (forse spia di caratteristiche autonome anche nella ritualità di questi territori occidentali).

Tempio C di Selinunte

Il Tempio di Selinunte (colonia greca sulla costa sudoccidentale della Sicilia), noto come Tempio C e probabilmente dedicato ad Apollo (29-30), è datato intorno alla metà del VI secolo a.C. circa e mostra molto bene l’indipendenza e la libertà dell’applicazione delle norme costruttive nel dorico siciliano. Oggi restano 39 colonne, di cui 14 sono state rialzate negli anni Venti del Novecento, che danno un’immagine suggestiva della grandiosità delle dimensioni dell’edificio.
La pianta del tempio mostra una cella molto allungata con ádyton sul fondo e pronao introdotto da due file di colonne. La peristasi, di 6 colonne sul lato breve e 17 su quello lungo, crea intorno alla cella una larga galleria, disponendosi dunque con maggiore libertà lungo il perimetro; sia il diametro delle colonne sia l’intercolumnio (lo spazio che intercorre tra due colonne) variano in base alla collocazione. Tutto ciò manifesta lo sviluppo di tendenze autonome dell’ordine in queste zone periferiche, con un’evidente diminuzione del rigore a vantaggio di una maggiore libertà creativa e della fantasia.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico