L’architettura e l’arte micenee

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L'architettura e l'arte micenee

Le città-fortezze micenee

Le cittadelle micenee, come si è visto, si contraddistinguono per la presenza di imponenti mura. Oltre alle mura esterne, una cerchia di mura interne difende la reggia, edificata nel punto più alto della città. Il palazzo reale presenta una forma costante, con propilei che portano sino al mégaron, la sala del trono, preceduta da uno o più vestiboli a due colonne o pilastri. Al centro del mégaron era in genere collocato il focolare, con un’evidente funzione sacra. Un esempio ben conservato di mura e di palazzo con mégaron è offerto dalla cittadella fortificata di Tirinto (8), che sorgeva vicino alla costa, a una decina di chilometri da Micene. La prima fase della storia della città risale all’incirca al 1400 a.C.; interventi e ampliamenti avvennero poi in una seconda fase, che va all’incirca dal 1300 al 1230 a.C. Sorta su un basso pianoro, Tirinto era circondata da mura ciclopiche con camminamenti coperti e passaggi (9), costruiti con grandi pietre e lastroni inclinati, a formare la copertura.
Nella parte più alta del sito si trovava il nucleo principale della città, costituito da un cortile porticato su cui si affacciava il mégaron del re. Per giungervi occorreva attraversare il Grande propileo, poi un ampio cortile interno, e quindi i Piccoli propilei. Il rinvenimento, al di sotto di una rampa del palazzo, di vari frammenti di affreschi testimonia che anche in ambito miceneo v’era l’usanza di decorare le pareti; la vivacità e la varietà dei soggetti rappresentati (cani a caccia del cinghiale, una coppia di donne su un carro, una processione di donne) dimostrano inoltre l’influenza dei modelli cretesi.

Micene

Micene, la mitica patria di Atreo e di Agamennone, sorgeva a una dozzina di chilometri dal mare, su un colle alto 278 metri (10). L’insediamento risale al 2000 a.C., ma i corredi funerari rinvenuti nelle necropoli rivelano che la città conobbe grande fioritura artistica solo attorno al 1800-1700 a.C., mentre le enormi mura ciclopiche – che ancora la circondano – furono costruite verso il 1350 a.C., epoca del massimo splendore politico ed economico.
Nel punto più alto della città si trovava il Palazzo reale, che al centro ospitava la sala del trono, dove si svolgevano attività sia politiche sia religiose.
L’accesso principale alla città era situato a nord-ovest e avveniva attraverso la Porta dei Leoni (11), così chiamata per la decorazione posta nel triangolo di scarico sopra il colossale architrave. Il triangolo di scarico è un espediente ideato dall’architettura micenea: si tratta di un’apertura – a forma triangolare, appunto – che permette di scaricare sugli stipiti della porta il peso della muratura che sovrasta l’architrave; senza di esso l’architrave rischierebbe di rompersi. Nel caso della Porta dei Leoni il triangolo di scarico è riempito da una grande lastra, alta 3 metri, con decorazione a bassorilievo: due leonesse rampanti (e non leoni, a dispetto del nome della porta) sono simmetricamente disposte ai lati di una colonna con capitello, forse a protezione dell’intera città o forse come simbolo della potenza della dinastia micenea.
La costruzione delle mura incluse anche una preesistente necropoli con tombe a fossa dai ricchissimi corredi, cinta da un muro circolare: è il cosiddetto Circolo A (12). La necropoli ospitava le tombe dei sovrani che avevano regnato tra il 1600 e il 1500 a.C., in una precedente fase di splendore della città, contemporanea all’epoca dei fastosi palazzi cretesi.
Un circolo funerario più antico, detto Circolo B e databile al XVII secolo a.C., fu trovato più in basso, al di fuori delle mura. I corredi qui rinvenuti, più semplici di quelli delle sepolture del Circolo A, constano soprattutto di armi.
A sud della città, lungo la strada che porta verso il mare, si estendeva anche la necropoli reale coeva alla cittadella (in uso cioè tra XIV e XIII secolo a.C.), costituita da grandi tombe a thólos, caratteristiche della civiltà micenea. Si tratta di tombe che presentano una camera circolare sormontata da una pseudocupola (o falsa cupola) di forma ogivale, eretta sovrapponendo circoli di pietre squadrate via via più stretti sino alla chiusura alla sommità. L’accesso avveniva tramite un lungo corridoio in discesa, il drómos. La più grande di queste tombe, detta Tesoro di Atreo o anche Tomba di Agamennone (13), si trova proprio a Micene, ed è ancora ben conservata. Ha un drómos lungo 36 metri; l’ingresso (14), con architrave sormontato dal triangolo di scarico, immette in un thólos del diametro di 14,5 metri per un’altezza di più di 13 metri (15); da qui si accede alla camera sepolcrale di forma quadrangolare, in cui veniva deposto il corredo funebre.

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I tesori dei corredi funerari

II Miceneo antico fu probabilmente un periodo di grande sviluppo economico: lo dimostrano i meravigliosi lavori di oreficeria trovati nelle tombe del Circolo A di Micene da Heinrich Schliemann (1822-1890), il famoso archeologo tedesco cui si deve la scoperta della civiltà micenea, oltre che della mitica città di Troia. Tra questi manufatti spiccano le cinque maschere funebri d’oro lavorate a sbalzo (ottenute cioè battendo il metallo dall’interno con dei punzoni), che venivano poste sul volto dei defunti.

Maschera di Agamennone

La più famosa tra le maschere funebri in oro è stata erroneamente attribuita dal suo scopritore ad Agamennone, l’eroe cantato da Omero (16). Essa mostra il volto del defunto attraverso pochi tratti essenziali: una linea incavata sottolinea le palpebre chiuse, a richiamare la morte; barba, baffi e sopracciglia sono resi tramite sottili incisioni e conferiscono fierezza e nobiltà al ritratto. Di recente, però, l’autenticità del manufatto è stata messa in dubbio: la sua notevole raffinatezza, infatti, la distingue nettamente dalle altre maschere rinvenute, che presentano tratti più sommari (17).

Rythón a testa di toro

Da una sepoltura del Circolo A di Micene proviene anche un rythón (un contenitore per i liquidi a forma di corno o di testa di animale usato per le libagioni rituali) a testa di toro (18) databile al XVI secolo a.C. La testa dell’animale è d’argento, mentre le corna, il muso e la rosetta posta al centro della fronte sono stati realizzati in oro. Si tratta di un’opera che testimonia la perizia tecnica raggiunta dagli orafi micenei, nonché un raffinato gusto artistico.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico