Pittori italiani del Trecento

   14.  IL GOTICO >> L'arte gotica

Pittori italiani del Trecento

Giotteschi e non giotteschi

Il XIV secolo è uno dei più ricchi della storia dell’arte italiana. Il rinnovamento operato dall’attività di Giotto è uno stimolo per gran parte dei pittori del tempo. La sua lezione è accolta in modo diverso nelle varie città, tanto da dare forma alle peculiarità stilistiche definite tradizionalmente come "scuole locali". Nei centri più segnati dalla presenza di Giotto, Firenze e Assisi, la lezione del maestro viene imitata, ma talvolta anche messa in discussione da artisti che accentuano gli aspetti espressivi e presentano un minor rigore compositivo e spaziale. Taddeo Gaddi (Firenze 1290 ca.-1366) è ritenuto il seguace più fedele di Giotto, nella cui bottega rimase, secondo la tradizione, per ventiquattro anni. Nei suoi dipinti ritroviamo la solidità spaziale del maestro e personaggi simili a quelli degli affreschi della Cappella Bardi di Santa Croce, a Firenze, ma anche soluzioni originali. Il suo Annuncio ai pastori (94) della Cappella Baroncelli, sempre in Santa Croce, è considerato la prima scena notturna della pittura italiana. In esso Taddeo aggiunge all’eredità del maestro una diversa attenzione per l’ambiente naturale. Questa e altre sue composizioni saranno molto imitate dai pittori fiorentini fino all’inizio del Quattrocento.
Maso di Banco (documentato tra il 1341 e il 1346) si distingue per la monumentalità delle sue composizioni. Nel Miracolo di san Silvestro (96) della Cappella dei Confessori (o Bardi di Vernio), ambientato tra le rovine del foro romano, la figura solenne del papa, ripetuta in due differenti episodi, scandisce il ritmo della scena. Tipica di Maso è anche la gamma cromatica chiara e luminosa. Le scelte di Maso si inseriscono in un filone che, sulla base di una frase di Vasari, è stato chiamato del «dipingere dolcissimo e tanto unito». Scelte analoghe sono quelle di Puccio Capanna, originario di Assisi, dove si trovano gran parte delle sue opere. Puccio utilizza una spazialità di matrice giottesca, nutrita da una spiccata sensibilità cromatica che giunge in qualche caso ad ammorbidire le linee di contorno. Il Martirio di san Stanislao (95) – un vescovo polacco perseguitato da un re di cui combatteva la condotta immorale – nella cantoria della Basilica inferiore di San Francesco è una scena animata e drammatica in cui tuttavia prevale una certa eleganza pittorica; la solida forma di radice giottesca è però costruita prevalentemente con ampie stesure di colore.
Nelle opere del Maestro di Figline, grande oppositore di Giotto attivo a Firenze e ad Assisi, si notano l’indifferenza per la costruzione razionale dello spazio e una grande intensità espressiva. Il nome convenzionale del pittore deriva da una pala con Madonna e santi (97) conservata nella collegiata di Figline Valdarno, la cui preziosa gamma cromatica esalta le soluzioni iconografiche e decorative inconsuete.

Tra Rimini e Bologna

Spesso l’attività di Giotto in un determinato centro è alla base di una svolta in campo artistico. Uno dei casi più significativi è la breve fioritura della scuola riminese. Nella città romagnola, retta dalla signoria dei Malatesta fin dagli ultimi anni del Duecento, il maestro fiorentino eseguì degli affreschi oggi perduti; resta invece un Crocifisso nella Chiesa di San Francesco, poi trasformata in Tempio Malatestiano. Il suo esempio ispirò la produzione di una serie di pittori attivi a Rimini e in altre località della Romagna e delle Marche. Nella Presentazione al tempio (98) di Giovanni da Rimini (documentato tra il 1292 e il 1309) l’insistenza sull’ambientazione architettonica deriva chiaramente dal modello giottesco, tradotto in forme più esili e delicate. Un tono dimesso e una dolcezza un po’ estenuata sono tra le caratteristiche più evidenti, comuni a tutta la scuola riminese, la cui attività occupa la prima metà del secolo. Giotto lavorò anche a Bologna, ma gli echi della sua maniera nella pittura bolognese restano sporadici. Vitale da Bologna (documentato tra il 1330 e il 1359) si distingue per la vena espressiva delle sue figure. Una delle tavole più singolari è quella con San Giorgio e il drago (99), in cui la principessa è relegata in una zona marginale del dipinto. La figura del cavaliere in torsione è costruita con un senso della linea pienamente gotico; il vistoso monogramma sulle terga del cavallo è una firma dell’autore, con un’allusione al suo nome, Vitale degli Equi.

  › pagina 446   

Firenze nella seconda metà del Trecento

A Firenze, gli artisti di maggior rilievo nella seconda metà del Trecento sono Giottino e Giovanni da Milano.
Giotto di maestro Stefano (documentato nel 1368-1369), detto Giottino era, secondo la tradizione, il pronipote del grande pittore di cui portava il nome. Tra le poche opere oggi conosciute vi è l’affresco del Tabernacolo di via del Leone (100), dipinto in una data non lontana dal 1356, con la Madonna col Bambino, otto angeli e i santi Giovanni Battista e Benedetto. Il cattivo stato di conservazione dell’affresco, dovuto al trasporto del tabernacolo dalla collocazione originaria mediante lo stacco di una porzione di muro e alla prolungata esposizione all’aperto, non impedisce di notare la delicatissima qualità pittorica, che anticipa il Tardogotico per la resa naturalistica e la dolcezza espressiva.
A Giovanni da Milano (documentato tra il 1346 e il 1369), originario del territorio di Como, sono riferiti prevalentemente dipinti prodotti in Toscana, dove operò per gran parte della propria carriera. Tra le opere più note vi sono le Storie della Vergine affrescate nella Cappella Rinuccini in Santa Croce, a Firenze, eseguite attorno al 13 65 e lasciate incompiute (i registri inferiori si debbono a un artista più modesto). Anche nel suo caso si nota un forte accento naturalistico, che lo porta a definire le individualità dei singoli personaggi. La Cacciata di Gioacchino dal tempio (101), inoltre, è dominata da una possente architettura che rinvia a modelli romanici.

  › pagina 447   

Venezia e il Veneto

Nel Trecento Venezia manifesta caratteri artistici originali. Più che alla terraferma essa è legata all’Adriatico, alle cui coste orientali sono destinate molte opere eseguite in città, e all’Impero bizantino. Il pittore più importante, Paolo Veneziano (Venezia 1300 ca.-1358/1362 ca.), cita in alcune opere le soluzioni iconografiche di Giotto, ma si esprime in forme bizantineggianti, come nella Morte della Vergine (102), costruita secondo lo schema della Dormitio Virginis, con il Cristo che regge l’anima della Madre in mezzo a una fitta schiera di apostoli e di angeli. 
Padova, dominata dal 1338 al 1388 dalla signoria dei Carraresi, è sede di una prestigiosa università e residenza di Francesco Petrarca nei suoi ultimi anni di vita. La città vede la nascita di un interesse per l’antichità che precorre l’Umanesimo e il Rinascimento. Sulla tradizione pittorica influisce la presenza del capolavoro di Giotto, la Cappella degli Scrovegni. Tra i numerosi artisti attivi in città nel Trecento, uno dei più significativi è il veronese Altichiero (Zevio, Verona 1330 ca.-Verona 1390 ca.). Tra i suoi capolavori vi è la decorazione della Cappella di San Giacomo nella Basilica del Santo, alla quale partecipa anche il bolognese Jacopo Avanzi. Negli affreschi sicuramente eseguiti da Altichiero, la solida impostazione degli spazi non è che uno sviluppo delle premesse di Giotto, come dimostrano anche i numerosi personaggi visti di schiena, mentre la stesura pittorica preziosa e l’attenzione ai dettagli anticipano molti aspetti del Gotico internazionale. La Crocifissione è costruita come un trittico murale, di cui si riproduce qui la parte centrale (103). Tra le figure che si affollano ai piedi della croce si nota il centurione Longino, a cavallo, che riconosce Cristo come Figlio di Dio.
A Treviso opera a lungo un pittore di origine emiliana, Tommaso da Modena (Tommaso Barisini, Modena 1325/1326-1368/1379), attivo anche in Boemia per l’imperatore Carlo IV. Una delle sue opere più singolari è la decorazione del capitolo dei domenicani, annesso alla Chiesa di San Niccolò, con la raffigurazione di quaranta frati nelle loro celle, ciascuno intento, come era costume di questo Ordine religioso, alla meditazione e allo studio. È un’opera di grande naturalismo: anche se non si tratta di veri ritratti, le fisionomie appaiono reali, con preziose notazioni riguardanti gli accessori utilizzati; si trova qui, tra l’altro, la più antica raffigurazione degli occhiali (104).

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico