Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti

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Simone e Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti

Un cronista del XVI secolo scrisse che dalla bottega di Duccio uscirono molti grandi pittori come dal cavallo di Troia. Questa curiosa immagine descrive in modo colorito un dato storico tuttora riconosciuto: i tre protagonisti della prima metà del Trecento, Simone Martini e i fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti, partirono dall’insegnamento di Duccio, che poi rielaborarono in modo originale.

Simone Martini

Con Simone Martini (Siena 1280/1285-Avignone 1344) la pittura senese si diffonde in tutto il territorio italiano, da Assisi a Napoli, da Pisa a Orvieto, fino alla sede papale di Avignone. Le sue prime opere dipendono da Duccio, ma lo stile di Simone si evolve rapidamente, fino a esaltare i caratteri più propriamente gotici della pittura, come l’eleganza della linea e gli effetti decorativi, affidati anche a un sapiente uso dell’oro.

Maestà del Palazzo Pubblico di Siena 

Fra il 1312 e il 1315 il pittore dipinge la Maestà (84) su una parete del Palazzo Pubblico di Siena, con la Madonna in trono fra angeli e santi, inquadrata da un’ampia cornice contenente raffigurazioni religiose e simboli del governo cittadino. Anche la Maestà dipinta pochi anni prima da Duccio di Buoninsegna aveva un doppio significato religioso e civile, ma in Simone prevale il messaggio dell’esaltazione della Vergine come protettrice del governo cittadino. Per questo, nella Maestà di Simone Martini, la schiera dei personaggi sacri si presenta come una corte che onora la sua regina. Rispetto alla visione frontale di Duccio, angeli e santi sono disposti lungo linee oblique convergenti verso il centro, in un modo che ricorda piuttosto la spazialità di Giotto.
Nel 1321 lo stesso Simone è chiamato a operare dei rifacimenti, più per aggiornare e migliorare il dipinto che per riparare dei danni. La composizione resta inalterata, ma le teste della Vergine, del Bambino e di alcuni santi assumono linee più delicate ed espressive, allontanandosi dai modelli di Duccio a cui si rifanno ancora le figure appartenenti alla prima stesura.
Quest’opera non può essere definita propriamente un affresco, non solo perché parte della pittura è stesa a secco, ma anche per gli inserti di vari materiali, come carta, pergamena, vetro, cristallo di rocca e lamine dorate. Inoltre il pittore sperimenta l’uso dei punzoni per imprimere motivi ornamentali sull’intonaco. Questa tecnica così preziosa e inconsueta rivaleggia con quella dell’oreficeria, arte che a Siena raggiunge un grande sviluppo.

Affreschi di Assisi 

La rapida evoluzione della pittura di Simone Martini in senso gotico avviene grazie a esperienze compiute fuori da Siena, come la decorazione ad affresco della Cappella di San Martino nella Basilica inferiore di Assisi, terminata verso il 1317. Nelle dieci scene che la compongono Simone mostra tutto il suo interesse per la realtà sensibile. Secondo le consuetudini del tempo, l’episodio di San Martino ordinato cavaliere (85), avvenuto in realtà nel IV secolo, viene attualizzato e i personaggi indossano abiti trecenteschi. Anche il gruppo dei musici e cantori sulla destra e quello dei falconieri sulla sinistra hanno un aspetto contemporaneo; solo la figura dell’imperatore, che cinge la spada sui fianchi del futuro santo e si presenta di profilo e incoronato di alloro, si ispira forse a una moneta antica. Le architetture sono costruite in modo coerente e razionale; certamente, lavorando ad Assisi, il pittore potè compiere uno studio ravvicinato delle opere di Giotto.

Annunciazione e santi 

Risale agli anni 1330-1333 una delle opere più famose di Simone Martini, un trittico con Annunciazione e santi (86), dipinto per il Duomo di Siena in collaborazione con il cognato Lippo Memmi. Attualmente conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze, è racchiuso in una cornice ottocentesca dove sono però inserite figure di Profeti originali. Il fondo dorato è impreziosito dalle punzonature delle aureole, dalle lettere in rilievo che compongono una sorta di fumetto tra Maria e l’angelo e dalla stesura di vernici trasparenti per definire il mantello di quest’ultimo. Le figure principali sono contornate da linee elegantissime e sinuose. L’estrema eleganza delle pose si accompagna al tono inquieto della narrazione, che sceglie il momento in cui Maria, turbata dall’annuncio dell’angelo, si ritrae chiudendosi nel mantello.

Il soggiorno di Simone ad Avignone

Fu probabilmente verso il 133 6 che Simone si spostò ad Avignone, allora sede del Papato. Oltre a lavorare per esponenti della curia, strinse un legame di amicizia con Francesco Petrarca, per il quale dipinse un ritratto dell’amata Laura, purtroppo perduto ma celebrato dal poeta in due sonetti. Nel 1338 il poeta, per celebrare il ritrovamento di un manoscritto rubatogli dodici anni prima, commissionò a Simone il frontespizio (87), dove si vede Virgilio intento a comporre versi, mentre Servio (autore del commento contenuto nel volume) scosta una tenda e lo mostra ai personaggi delle sue opere: il guerriero Enea, il contadino delle Georgiche e il pastore delle Bucoliche. L’attenta descrizione del paesaggio introduce un nuovo naturalismo, armoniosamente integrato con il tono colto della raffigurazione. Il sodalizio con Petrarca, che aveva sviluppato in alcune sue opere riflessioni sull’arte figurativa, produce un risultato di grande intensità. La tecnica è raffinata e sperimentale: alla consueta miniatura su pergamena (nella quale i colori erano temperati con albume d’uovo e gomma arabica) si affianca l’uso di penna, tempera e acquerello.
L’attività di Simone Martini presso la corte papale di Avignone consente all’arte senese di affacciarsi su una nuova ribalta, dalla quale il suo influsso si diffonde largamente e avrà una vasta eco nei successivi esiti del Gotico internazionale.

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Pietro Lorenzetti

Pietro Lorenzetti (Siena 1280 ca.-1348?) fu probabilmente allievo di Duccio e lavorò, oltre che a Siena, in varie località umbre e toscane, tra cui Firenze.

Madonna col Bambino 

Conservata al Museo Diocesano di Pienza, la Madonna col Bambino (88) costituiva in origine lo scomparto centrale di un trittico. Essa ricorda analoghe tavole di Duccio, ma presenta la grande novità del colloquio di sguardi tra Madre e Figlio, un motivo che deriva dalla scultura di Giovanni Pisano, attivo a più riprese nel cantiere del Duomo di Siena.

Storie della Passione ad Assisi 

In tutte le opere di Pietro è presente un forte accento drammatico ed espressivo. Il ciclo delle Storie della Passione della Basilica inferiore di Assisi permette di coglierne le varie sfaccettature. La Cattura di Cristo (89) è una scena affollata e movimentata, in cui volti e atteggiamenti rivelano la gravità dell’evento. La struttura dei corpi messa in evidenza dai panneggi e la profondità spaziale suggerita da pochi elementi architettonici si spiegano con la conoscenza della pittura di Giotto, e in particolare degli affreschi di Assisi (sia della basilica superiore sia di quella inferiore). Ma, per quanto riguarda la raffigurazione del paesaggio e l’osservazione dell’ambiente, Pietro (e come lui i principali pittori senesi) va oltre i risultati del maestro fiorentino. In questo caso, lo sfondo è dipinto con il tradizionale azzurro ultramarino che nella pittura murale medievale era equivalente al fondo oro delle tavole e dei mosaici; tuttavia nel cielo notturno appaiono stelle a distanza irregolare, che riprendono l’effettiva disposizione delle costellazioni, mentre dietro un costone roccioso si intravede la luna piena (in accordo con il testo evangelico). La varietà di piante raffigurate, spoglie, fiorite o sempreverdi, richiama con efficacia la stagione primaverile in cui si svolge l’evento.

Natività della Vergine 

Mentre le opere fin qui descritte appartengono alla fase giovanile del maestro, la Natività della Vergine (90), dipinta per il Duomo di Siena fra il 1335 e il 1342, risale alla sua piena maturità. La tavola, che comprendeva in origine una predella con le Storie di san Savino (uno dei patroni di Siena), ha la forma di un trittico, ma presenta una scena narrativa unitaria. L’integrazione fra la cornice e l’architettura raffigurata produce effetti inconsueti per il Trecento. La scena è ambientata in una casa della borghesia senese, completa di tutti gli arredi e gli accessori; dalla finestra aperta nel settore sinistro si vede un cortile simile a quello del Palazzo Pubblico. Ma, nonostante l’accurata rappresentazione dello spazio, il pittore non rinuncia al tradizionale sfondo dorato, che appare oltre le finestre a losanga della camera e la bifora di sinistra. Il grande talento narrativo e la capacità di introspezione psicologica di Pietro emergono soprattutto nell’episodio del padre in attesa ansiosa, raggiunto da un piccolo messaggero.

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Ambrogio Lorenzetti

Ambrogio Lorenzetti (Siena 1290 ca.-1348) era fratello minore di Pietro e forse suo allievo. Non ci sono però notizie attendibili su una loro collaborazione o su una bottega comune. Il pittore lavorò a lungo a Firenze, dove tra il 1328 e il 1330 si immatricolò all’Arte dei Medici e degli Speziali, la corporazione alla quale aderivano, a partire dagli anni Venti del Trecento, anche i pittori.

Storie di san Nicola 

A questo periodo risalgono le quattro tavolette con Storie di san Nicola, che si trovavano in origine ai lati di un’immagine del santo a figura intera e provengono dalla Chiesa (ora sconsacrata) di San Procolo. La prima delle due scene qui riprodotte (91) mostra l’episodio più noto della vita del santo, quello in cui Nicola, ancora laico, getta borse piene d’oro per salvare, fornendo loro una dote e quindi la possibilità di sposarsi, tre nobili fanciulle che il padre ridotto in miseria aveva deciso di far prostituire. Per questa tradizione, che attesta la grande generosità del santo, la sua figura ha dato luogo a quella di Santa Claus, Babbo Natale. Il pittore affronta uno scorcio piuttosto complesso per mostrare l’interno e l’esterno della casa, suggerendo in modo convincente la terza dimensione, ma senza giungere a una costruzione prospettica rigorosa. Nella seconda scena (92) si vede Nicola, divenuto vescovo di Mira, che salva la città dalla carestia moltiplicando, con l’aiuto degli angeli, i sacchi di grano che giungono nel porto. Qui Ambrogio conferisce una singolare ampiezza alla raffigurazione del mare e dell’orizzonte. Nonostante la resa fedele della realtà e il robusto senso dello spazio, il pittore non rinuncia alla convenzione del fondo dorato, obbligatorio in tutta la pittura medievale su tavola.

Annunciazione 

Una delle ultime opere di Ambrogio è l’Annunciazione (93), datata 1344, realizzata per l’Ufficio della Gabella del Palazzo Pubblico di Siena e ora conservata presso la Pinacoteca Nazionale. L’angelo, coronato di alloro, non reca il consueto giglio, ma un ramo di palma, che è stato interpretato come allusione alla Passione di Cristo o come insegna della supremazia della Vergine sulle altre creature. È tuttavia possibile che la tavola raffiguri invece l’annuncio della morte a Maria. Si tratta probabilmente del primo dipinto in cui le linee del pavimento convergono verso un unico punto di fuga, anche se l’esercizio prospettico è contraddetto dal consueto fondo dorato.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico