L’importanza delle arti applicate

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L'importanza delle arti applicate

Nel corso dell’Alto Medioevo assumono un ruolo fondamentale le arti applicate (spesso dette impropriamente arti minori), cioè la produzione di avori, oreficerie, gemme incise, decorazioni librarie, vetri, ceramiche e tessuti. Un’altra denominazione utilizzata è quella di arti suntuarie (dalla parola latina sumptus, che significa "spesa"), dato il pregio dei materiali utilizzati. È un fenomeno di rilievo non solo per la quantità delle opere realizzate, ma anche per la loro qualità: si tratta in molti casi di oggetti preziosi e raffinati, prodotti per committenti di alto livello, destinati alle corti, alle cattedrali o alle principali abbazie. Spesso, inoltre, le innovazioni artistiche si presentano proprio in questo tipo di produzioni prima che in quelle a carattere monumentale, e possono essere meglio comprese grazie alla diffusione dei vari manufatti in aree geografiche diverse. Per descrivere questo fenomeno si afferma spesso che le arti applicate hanno il ruolo di tecniche-guida nella storia dell’arte altomedievale.

Gli avori

Tra la fine dell’Età Tardoantica e il XIII secolo, l’avorio, materiale che si ricava da zanne di elefante o denti di ippopotamo, era molto difficile da reperire e pertanto estremamente costoso. Al valore materiale si aggiungeva il significato simbolico, giacché l’avorio era considerato emblema di potenza e di purezza, anche in ricordo del trono eburneo (dal latino ebur, "avorio") del re Salomone, citato nella Bibbia. Per queste ragioni esso era sovente impiegato per raffinati oggetti di carattere religioso, come cattedre episcopali, statuette liturgiche e dittici, già diffusi in epoca tardoantica. Nell’Alto Medioevo l’avorio viene utilizzato anche per le rilegature di manoscritti, come in una placca del IX secolo raffigurante Scene della vita di san Pietro (43), probabilmente prodotta nella Francia nord-orientale, e più precisamente nella regione di Metz. Mentre le figure sono abbastanza tozze e statiche, il bordo con motivi vegetali è delineato con molta raffinatezza e ricorda modelli classici.

Flabello di Tournus

Realizzato in età carolingia, l’eccezionale Flabello di Tournus prende nome dall’abbazia francese dalla quale proviene (44). Si tratta di un ricchissimo ventaglio scacciamosche per uso liturgico, che proteggeva dagli insetti il vino della Messa; un’iscrizione dichiara infatti: «Due cose reca questo piccolo flabello in estate, allontana le mosche accanite e attenua il caldo». Il flabello, tuttora utilizzato nei riti della Chiesa ortodossa, era piuttosto comune anche in quella occidentale. Questo esemplare presenta un manico costituito per gran parte in avorio, con parti in osso e bronzo, e un astuccio rivestito di placchette dello stesso materiale, che contiene il ventaglio (in pergamena dipinta) quando è ripiegato. I soggetti decorati a rilievo sul manico e sull’astuccio comprendono sia temi sacri sia temi desunti dalla letteratura latina. Lo stile classicheggiante con cui sono state realizzate alcune delle placchette ha fatto sorgere l’ipotesi che esse siano opere antiche riutilizzate, ma un esame attento della tecnica di esecuzione ha dimostrato che manico e astuccio sono stati prodotti nella medesima bottega, legata alla corte dell’imperatore Carlo il Calvo (823-877), nella seconda metà del IX secolo.

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L'oreficeria

Tra le arti applicate, l’oreficeria è senza dubbio la tecnica di maggiore spicco e impegno. Innanzitutto è la principale testimonianza delle popolazioni nomadi, che non sviluppano arti monumentali ma, al contrario, tendono ad accumulare e a lavorare metalli preziosi. L’uso di seppellire i morti con i loro corredi funerari, composti di armi e ornamenti personali, ha favorito i ritrovamenti archeologici in molte zone d’Europa. Sono molto comuni le fìbule, spille usate per fermare abiti e mantelli; quelle conservate al Walters Art Museum di Baltimora, a forma di aquila (45), risalgono al VI secolo e sono arricchite da pietre colorate.
Il carattere bidimensionale dell’oreficeria "barbarica" ha riflessi importanti sulla scultura, nella quale il rilievo diventa sempre più basso, e sull’architettura, dove compaiono elementi decorativi tipici della lavorazione dei metalli, per esempio nel fregio a tenaglia del Mausoleo di Teodorico.
Le tecniche orafe raggiungono elevati livelli di specializzazione e raffinatezza. Le lastre metalliche (non solo d’oro, ma anche di argento, rame, ottone, bronzo) vengono lavorate con la tecnica dello sbalzo, che consiste nel percuotere una lastra sulla faccia posteriore con martello e bulino, in modo da ottenere su quella anteriore motivi ornamentali e figurazioni. Si tratta di un procedimento antichissimo (utilizzato fra l’altro nella civiltà micenea), che viene perfezionato nel Medioevo appoggiando la lamina su uno strato di cuoio grasso, per ottenere contorni morbidi ed effetti chiaroscurali. L’uso del cesello, un piccolo scalpello di ferro, consente di incidere metalli e pietre dure e di rifinire il lavoro.
Un esempio di lavorazione a sbalzo si trova nella Corona ferrea (47), che presenta anche pietre preziose o semipreziose inserite in apposite cavità metalliche dette castoni (da cui il verbo incastonare) e decorazioni in smalto; queste ultime sono visibili anche nel Reliquiario a forma di borsa della seconda metà dell’VIII secolo (46). Lo smalto è un rivestimento vetroso ottenuto con una tecnica già nota a Fenici ed Egizi: essa consiste nell’applicare su una base di metallo divisa in settori una miscela di sìlice combinata con una base di sodio o potassio, a cui si aggiungono, tramite fusione, degli ossidi metallici che determinano la tonalità e l’opacità della massa vetrosa.

Dossier Arte - volume 1 
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Dalla Preistoria al Gotico