FOCUS: Materiali e tecniche architettoniche

   FOCUS 

MATERIALI E TECNICHE ARCHITETTONICHE

Durante l'età repubblicana gli architetti e gli ingegneri romani, che in massima parte sono rimasti nell'anonimato, si dedicarono non solo a perfezionare tecniche più antiche – ispirandosi in primo luogo ai modelli greci – ma anche a testarne di nuove. Sono soprattutto la sperimentazione e l'impiego di nuovi materiali, insieme alla particolare attenzione data all'utilità degli edifici, a differenziare la storia dell'architettura romana da quella greca.

I materiali

La capacità di sfruttare le materie prime locali – come per esempio il travertino, una pietra chiara che ricorda il marmo greco, e il tufo, una pietra più scura ma molto tenera, quindi facile da lavorare –, la messa a punto di nuove modalità nell'uso del mattone e soprattutto, a partire dal II secolo a.C., il largo impiego dell'opus caementicium (opera cementizia) sono gli elementi che contraddistinguono le tecniche costruttive dei Romani.
Sperimentata già dalla fine del III secolo a.C. e messa ampiamente in pratica dal II secolo a.C., la tecnica dell'opus caementicium comporta una vera e propria rivoluzione dei sistemi costruttivi. Si tratta di una tecnica edilizia che consiste nel riempire lo spazio tra due paramenti murari (cioè le parti a vista dei muri) con una mescolanza di malta (calce mista a sabbia o pozzolana) e caementa (pietre o ghiaia) che, solidificandosi, viene a costituire un corpo unico con i mattoni o le "tufelle" (i blocchi di tufo) dei paramenti. Tra le prime realizzazioni in opus caementicium va ricordato il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina (► p. 209).
Una volta realizzati i paramenti murari, la loro superficie poteva essere rivestita di lastre di altri materiali, come per esempio il marmo e il travertino.

I paramenti murari

II paramento murario era chiamato in modi diversi a seconda del tipo di materiale impiegato e della diversa disposizione dei conci (cioè dei blocchi di pietra o dei mattoni). 

a. Opus incertum: muratura realizzata con piccole pietre di grandezza e forma diverse.
b. Opus reticulatum: muratura in cui le pietre (o i mattoni) di forma piramidale sono inserite con la punta direttamente nella malta e le basi quadrate a vista, ruotate di 45 gradi, a formare un disegno reticolare.
c. Opus vittatum: muratura composta da pietre di forma omogenea, in genere piccoli blocchetti, accostati in filari orizzontali.
d. Opus testaceum (da testa, "mattone cotto"): prevede l'utilizzo dei soli mattoni, di varie misure, ed è il paramento più usato dai Romani. Per le costruzioni più antiche, dove era impiegato il mattone crudo (in latino later), si parla invece di opus latericium .
e. Opus mixtum: "opera mista", perché raggruppa nello stesso paramento vari tipi di muratura (paramento in reticolato con ammorsatura a dente, cintura e ghiere in mattoni).
f. Opus poligonale: muratura formata da grandi blocchi di forma irregolare sovrapposti senza malta.
g. Opus quadratum: muratura formata da grandi blocchi squadrati a parallelepipedo, impilati in filari uniformi.
h. Opus spicatum: muratura in cui le pietre (o i mattoni) di forma rettangolare sono disposte a spina di pesce.
i. Opus africanum: tecnica proveniente dall'Africa del Nord che prevede l'uso di catene portanti verticali formate da grandi pietre poste sia in verticale sia in orizzontale; filari orizzontali di pietre più piccole riempiono gli spazi fra i filari portanti.

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L'arco

Le grandi opere architettoniche e infrastrutturali romane non sarebbero state possibili senza l'impiego dell'arco e della volta. Come si è visto, l'arco non è invenzione romana; era già conosciuto (ma poco usato) dai Greci, e impiegato dagli Etruschi per gli ingressi monumentali. Sono tuttavia i Romani a sfruttare al massimo le potenzialità di questo elemento architettonico, impiegando l'arco a tutto sesto, cioè semicircolare, nelle loro costruzioni.
Dal punto di vista strutturale, l'arco offre grande stabilità e consente quindi la costruzione di edifici più alti. Grazie all'arco, inoltre, è possibile aprire una luce (la distanza tra gli elementi verticali di sostegno) più ampia rispetto a quella consentita dall'uso di un architrave, che non potrebbe reggere lo stesso peso senza spezzarsi. Infine, è possibile "scavalcare il vuoto" attraverso ponti, acquedotti e grandi porte.

La volta

Dall'applicazione dell'arco e dell'opus caementicium deriva la volta, la cui superficie curva permette la realizzazione di lunghi condotti e la copertura di sale molto grandi. I tipi di volta usati dai Romani furono prevalentemente la volta a botte e la volta a crociera, che è il risultato dell'intersezione di due volte a botte. Entrambe erano usate prevalentemente per la copertura di ambienti a pianta rettangolare.
Le più antiche volte in cementizio conosciute sono quelle della Porticus Aemilia (in latino porticus è femminile), un complesso di magazzini costruito tra il 193 e il 174 a.C. presso il porto fluviale di Roma – il cosiddetto Emporio – poco dopo l'Aventino. In seguito saranno usate arcate e volte in cementizio anche per ponti e acquedotti, sino ad arrivare alle grandi realizzazioni dell'epoca di Augusto e dei primi anni dell'Impero.

La cupola

Il modello dell'arco e della volta, unitamente alla tecnica della muratura in cementizio, ha permesso ai Romani di elaborare il sistema della copertura a cupola. La cupola nasce dalla rotazione completa di un arco intorno al proprio asse mediano ed è usata come copertura sia per gli edifici a pianta circolare sia per quelli a pianta quadrata: dal I secolo d.C. cupole e semicupole diventano elementi architettonici molto diffusi a Roma e in tutta l'area di influenza romana.

Dossier Arte - volume 1 
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Dalla Preistoria al Gotico