Lo stile Severo

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Lo stile Severo

Il superamento dell'arte arcaica

Nel periodo compreso tra la fine delle Guerre persiane (479 a.C.) e la metà del V secolo, si afferma uno stile definito "severo" per via della scomparsa della stilizzazione erroneamente interpretata come "sorriso arcaico". 
Come abbiamo visto, in epoca arcaica la resa del nudo maschile (koúros) mostra già un lento passaggio dalla rigidità delle pose, tipica dei primi esempi, a una maggiore naturalezza e a un maggior volume nel modellato del corpo. Con lo stile Severo si compie questa evoluzione: la statuaria greca supera le formule tardoarcaiche, dimostrando una buona conoscenza del corpo umano, dell'articolazione e dei movimenti delle sue parti. 
Questa nuova sensibilità induce gli artisti a ricorrere al bronzo invece che al marmo. L'uso del metallo, più leggero e più facilmente modellabile, permette infatti soluzioni innovative nella resa del movimento e dunque la possibilità di sperimentare nuove posizioni per i propri soggetti. Così, se nel corso del VI secolo a.C. - come sembrano dimostrare i ritrovamenti delle basi statuarie - la produzione di esemplari in marmo era ancora quantitativamente equiparabile a quella in bronzo, dopo il 480 a.C. le statue marmoree divengono più rare e il bronzo diventa il materiale preferito dagli scultori del tempo. Solo nella decorazione architettonica continua a essere impiegata la pietra. 

Efebo

La gradualità con la quale alla staticità si sostituisce il movimento è ben evidente in quella che è considerata la prima opera della nuova fase stilistica: l’Efebo di Kritios (1). Questa statua marmorea, rinvenuta ad Atene, sull’acropoli, e datata intorno al 480 a.C., è stata attribuita allo scultore Kritios e segna lo spartiacque tra il modello del koúros arcaico e la nuova concezione del nudo maschile. Il volto perde il sorriso arcaico e la testa si piega leggermente su un lato; la resa anatomica è più naturale, e soprattutto comincia a essere applicato il principio della ponderazione, in base al quale il peso del corpo poggia su una sola gamba, in questo caso la sinistra, mentre la gamba destra è leggermente avanzata e piegata all’altezza del ginocchio. Tutte le altre parti del corpo si dispongono di conseguenza, in modo armonico ed equilibrato. Nell’Efebo, per esempio, la posizione della gamba destra crea un lieve abbassamento del fianco corrispondente, rompendo definitivamente la staticità arcaica e conferendo maggiore naturalezza alla figura (2).

Tirannicidi

Lo stesso Kritios, insieme al collega Nesiotes, realizza nel 477 a.C. il gruppo dei Tirannicidi, che sostituisce nell’agorà di Atene quello asportato dai Persiani. Il gruppo è formato dalle statue – originariamente in bronzo – di Aristogitone e Armodio, che nel 514 a.C. avevano pianificato l’uccisione del tiranno ateniese Ippia e di suo fratello Ipparco. I due uomini erano riusciti a uccidere solo Ipparco, perdendo a loro volta la vita; divennero tuttavia, per gli Ateniesi, il simbolo della libertà democratica e della lotta contro la tirannide (pochi anni dopo, con la cacciata di Ippia da Atene, Clistene avrebbe avviato la riforma delle istituzioni ateniesi in senso democratico).
Le statue realizzate da Kritios e Nesiotes sono oggi conosciute soltanto attraverso copie marmoree (3). I due eroi della libertà sono colti in movimento, nell’atto di avanzare per colpire i tiranni. Uno ha il braccio proteso in avanti; l’altro lo tiene sollevato impugnando l’arma, della quale non vi è ormai che una minima traccia. Il peso del corpo gravita su una sola gamba, mentre il piede della gamba più arretrata poggia a terra soltanto con la punta.
Nonostante siano rappresentate durante l’azione e in una posa ormai lontana da quella tipica dei koúroi arcaici, le due figure appaiono ancora connotate da una forte rigidità, che le colloca pienamente nel periodo dello stile Severo. Proprio dello stile Severo è anche il modo di trattare la testa e il volto: Armodio (a destra) presenta, per esempio, la tipica acconciatura del periodo, caratterizzata dalla grossa treccia avvolta attorno alla calotta formata da piccoli riccioli.

Bronzi di Riace

Nel 1972, dalle acque del mar Ionio, a 230 metri dalla costa di Riace (Reggio Calabria), sono stati recuperati due grandi bronzi che probabilmente facevano parte del carico di una nave naufragata durante il viaggio verso Roma. Si tratta di due figure maschili nude, di dimensioni leggermente superiori al vero, che secondo un'ipotesi rappresenterebbero due eroi guerrieri (forse Tideo e Anfiarao, protagonisti della lotta per la conquista del potere nella città di Tebe). Le statue sono caratterizzate da equilibrio nella resa anatomica e perfezione proporzionale delle parti del corpo, e rientrano pienamente nel periodo Severo per le caratteristiche della posizione, per la testa leggermente voltata a destra e per la cesellatura dei riccioli di barba e capelli. Presentano tuttavia delle differenze tra loro, dovute alla diversa epoca in cui sono state realizzate e alla diversa mano di chi le ha concepite. 
 Il Bronzo A (4), quello con la capigliatura che scende sul collo, è stato datato al 460 a.C. ed è forse opera di Agelada il Giovane, di Argo. Rispetto all'altro, presenta una muscolatura maggiormente accentuata, che trasmette un senso di rigidità e tensione. Il Bronzo B (5), con la capigliatura originariamente raccolta in un elmo oggi assente, è invece attribuito ad Alcamene il Vecchio, di Lemno, e viene fatto risalire al 430 a.C. Questo bronzo mostra un'evidente evoluzione stilistica, con un ammorbidimento della posizione e della muscolatura e curvatura del bacino più marcata.

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Dio di Capo Artemisio

Le acque al largo di Capo Artemisio, a nord dell’Eubea, hanno invece restituito la statua di una divinità, denominata Dio di Capo Artemisio (6-7). L’opera è di difficile attribuzione, ma si ritiene che sia stata realizzata da un artista che faceva parte della cerchia dello scultore Kalamis, attivo tra il 480 e il 450 a.C. Datata intorno al 460 a.C., mostra l’evoluzione verso la resa del movimento, ottenuta però ancora solo parzialmente. La statua raffigura una divinità adulta – come attesta la presenza della barba – nell’atto di scagliare un oggetto (oggi perduto) che ne avrebbe permesso l’identificazione: nel caso di un tridente si tratterebbe di Poseidone, nel caso di una folgore di Zeus. Il dio spalanca le braccia per caricare il lancio dell’oggetto che teneva nella mano destra, portata il più possibile all’indietro e, contemporaneamente, allarga il passo per acquisire tutta la potenza necessaria. Lo scultore ha rappresentato la scena nel momento in cui il lancio sta per avvenire, e quindi in un momento di azione e di tensione: tuttavia, il risultato è lontano da quello che di lì a poco otterranno gli scultori classici, e la figura appare ancora dominata da un complessivo senso di staticità dovuto alla posa piuttosto rigida, alla mancanza di tensione muscolare e al volto impassibile.

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Afrodite Sosandra

Kalamis era celebre nell'antichità soprattutto per aver realizzato, nel 465 a.C., una statua bronzea dedicata ad Afrodite Sosandra ("salvatrice degli uomini"), collocata sull'acropoli di Atene. Poiché in età romana la statua ebbe molta fortuna, ne furono realizzate numerose copie in marmo, molte delle quali sono giunte fino a noi (8). L'ampio mantello che avvolge la dea lascia scoperto solo l'ovale del volto e la mano sinistra, che lo tiene sollevato; tuttavia è possibile indovinare, attraverso il pesante tessuto, anche la posizione dell'altro braccio e del ginocchio destro, piegato in avanti. L'austerità e la dignità della figura, l'equilibrata bellezza del volto e la serenità che emana ne fecero in età romana un simbolo di pudore e di casta bellezza.

     

FOCUS

LA FUSIONE A CERA PERSA

Dalla fine del VI secolo a.C. l'acquisizione di nuove tecniche di fusione del bronzo (una lega di rame e stagno in proporzione variabile) rende possibile la creazione di esemplari scultorei di grandi dimensioni e con parti in posizioni eccentriche, come, per esempio, le braccia alzate. Nella costruzione di grossi bronzi a fusione cava si applica la tecnica a cera persa, che può essere diretta o indiretta. Nel secondo caso, le singole parti della statua sono realizzate separatamente e poi saldate; la rifinitura e la levigatura, praticate a freddo con scalpelli e ceselli, completano l'opera.

Tecnica diretta

Nel procedimento diretto viene creato un modello (anima) della figura in terra di fusione (argilla, sabbie e polveri), di dimensioni leggermente minori rispetto alla statua da ottenere. Sull'anima si stende uno strato di cera, che viene modellato e rifinito e quindi coperto da uno strato di argilla o di gesso (forma). Durante la cottura della forma, la cera, sciogliendosi, defluisce da piccoli canali praticati nell'argilla, lasciando un'intercapedine dove poi viene colato il bronzo fuso, che prende, una volta raffreddato, l'aspetto della figura. La forma viene a questo punto rotta per liberare il bronzo sottostante, e non è quindi riutilizzabile.

Tecnica indiretta

Nel procedimento indiretto il modello, della stessa grandezza della statua che si vuole ottenere, viene realizzato in argilla, rifinendo accuratamente tutti i dettagli. Sul modello è poi realizzato un calco in negativo, composto da tanti pezzi separati (tasselli). I tasselli vengono smontati e spalmati di cera al loro interno, nelle parti concave. Una volta rimontati, si introduce in essi la terra di fusione. A questo punto si procede come per la fusione "diretta". Questo procedimento, pur prevedendo più passaggi, permette di recuperare il modello (la forma, costituita da tasselli smontabili, non deve essere rotta), rendendo possibile l'esecuzione di copie e produzioni in serie.



Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico