SCIENZA & STORIA 

GALILEO E IL MOTO DEI GRAVI

La caduta dei gravi, cioè la caduta dei corpi verso la Terra, è un argomento studiato già dagli antichi Greci, in particolare da Aristotele (vissuto nel IV secolo a.C.). Non risulta difficile, infatti, immaginare che chi si interroga sul perché accadono determinati fenomeni naturali si imbatta presto anche nel tentativo di fare chiarezza su questo.
Fino ai tempi di Galileo, però, cioè fino al XVII secolo, si pensava ancora che, come affermato appunto da Aristotele, i corpi cadessero a causa del loro peso e con velocità direttamente proporzionale a esso: un sacco del peso di 10 kg avrebbe dovuto cadere 10 volte più velocemente di un sacco da 1 kg.
Con gli strumenti del tempo non era certo semplice confutare questa idea, anche perché l’autorità di Aristotele era considerata indiscutibile. Galileo, tuttavia, con la forza del suo metodo sperimentale, e grazie al suo straordinario genio e alla sua inventiva, riuscì nell’impresa.
Concepì e costruì infatti un piano inclinato che gli permise di studiare la caduta di una pallina e di cronometrare il suo moto a intervalli regolari. Il piano inclinato rappresentava una soluzione inedita e molto efficace per sperimentare l’effetto della forza di gravità: una pallina che rotola su un piano inclinato è soggetta solo a quella forza, che però è “attutita” dal fatto che la caduta non avviene lungo la verticale. In questo modo la palla risulta più lenta e diventa possibile cronometrarne il moto anche con strumenti rudimentali (Galileo, per farlo, inventò una sorta di orologio ad acqua).
Il piano inclinato, inoltre, consentiva di modificare l’inclinazione e ripetere più volte l’esperimento, osservando e controllando gli effetti delle variazioni introdotte sul fenomeno prodotto.
Fu così che Galileo, sulla scorta degli esperimenti condotti, giunse a enunciare la legge secondo cui nel moto di caduta dei gravi lo spazio percorso è proporzionale al quadrato del tempo (s = 1/2 × g × t2).

Scienze evviva! - volume A
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