Documento 4
La guerra è epica per eccellenza; non perché narri di gesta eroiche, ma perché, almeno
nelle sue rappresentazioni classiche, si basa sul senso di una totalità che comprende
e trascende l’individuo e suggerisce il senso della vita quale unità in cui le lacerazioni
individuali si compongono, come i naufragi e le tempeste nella totalità del mare.
5 Anche in rotta, le schiere achee o troiane, nell’Iliade, non distruggono l’ordine e il
senso del mondo. […] La guerra non è più il volto di una totalità articolata secondo
una sua logica, come nel grande libro di von Clausewitz [Della guerra, 1832], che ne
fa lo specchio di un mondo razionalmente afferrabile. Il bell’ordine delle parate si
sconvolge nella battaglia e si ricompone, scrive Rezzori, nella simmetria delle tombe
10 e delle croci allineate nei cimiteri. La guerra diviene l’immagine più radicale della
vita intesa quale disordine, accidentalità fortuita, casualità. Nei tolstojani Racconti
di Sebastopoli o nel mirabile Segno rosso del coraggio di Stephen Crane non si capisce
nulla dei movimenti delle truppe e dei piani cui questi dovrebbero obbedire; soldati
e ufficiali vanno e vengono, si fermano per strada, interrompono il combattimento
15 per mangiare, avanzano o fuggono senza sapere dove e perché e la stessa cosa avviene
nel magistrale racconto della battaglia di Little Big Horn, in cui morì il generale
Custer, fatto da Alce Nero. In questi testi – e in molti altri simili – la battaglia assomiglia
a un corteo, in cui ci si inserisce, da cui si esce per bere un caffè o per tornare
a casa, o che si abbandona per raggiungerlo da un’altra parte attraverso una scorciatoia,
20 così come capita. La guerra non è più dominabile nella sua completezza, si
frantuma in un polverio. Anche gli scrittori che ne analizzano le cause sociali e le
manipolazioni ideologiche, ossia che afferrano razionalmente la sua origine e il suo
meccanismo, non possono rappresentarla se non come un indecifrabile sconquasso
indistinto, perché offrirne un compatto e unitario quadro epico e monumentale
25 sarebbe una falsità, non renderebbe giustizia al disorientamento e allo smarrimento
con cui gli uomini oggi vivono – e non possono non vivere – la guerra. Una delle
immagini più forti e veritiere di quest’ultima l’ha data il cinema, con le scene degli
allucinati scontri sul fiume vietnamita in Apocalypse Now. Della guerra non sembra
dunque possibile mostrare il volto intero, ma solo qualche frammento. […] Durante
30 il conflitto nel Vietnam, un anziano leader nordvietnamita, parlando una volta con
ferma e affabile malinconia alla televisione francese, disse che per gli uomini della
sua età, in quelle regioni, la vita si era quasi identificata con la guerra, combattuta
per tanti decenni; è questo, aggiungeva, il pericolo più insidioso da cui dobbiamo
guardarci, l’abitudine a considerare la guerra necessaria e inevitabile come la vita,
35 come il respiro.
Claudio Magris, Guerra. L’epopea impossibile, “Corriere della Sera”, 12 luglio 1999