Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Francesco Guicciardini

CLASSICI a confronto

Guicciardini e Machiavelli

I punti di contatto...

Prima di evidenziare le differenze tra i due grandi autori fiorentini, iniziamo a mettere in luce gli elementi condivisi. Innanzitutto, comune è il punto di osservazione da cui prendono le mosse le rispettive riflessioni: la Firenze del periodo successivo alla morte di Lorenzo il Magnifico (scomparso nel 1492), destinata a vivere quasi cinquant’anni di instabilità e lotte intestine. Comuni ancora sono la formazione umanistica e lo studio dei classici, visti come strumenti per capire la natura e le azioni degli uomini.
Sul piano dell’elaborazione concettuale vera e propria, entrambi gli autori sono convinti della piena autonomia dell’attività politica, in cui non interferiscono più né la morale né la religione, e considerano la Storia come il frutto delle iniziative umane, quindi come un’opera esclusivamente terrena; entrambi, infine, muovono solo dalla «verità effettuale», senza la tentazione di alterarla con abbellimenti consolatori o ipotesi astratte.

… e le differenze

Tuttavia, mentre Machiavelli non rinuncia a prefigurare una società diversa, Guicciardini rimane legato a un empirismo scettico, che lo porta a valutare il proprio tempo solo sulla base dei dati che ha a disposizione, senza proiezioni nel futuro, senza speranze di cambiamento.
Anche Guicciardini parte da una considerazione naturalistica della Storia, secondo la quale gli uomini sono per natura immutabili, ma non crede più che possano essere formulate leggi universali, valide in ogni tempo. Mutando «e nomi e le superficie delle cose» (ricordo 76), ogni contesto assume caratteri propri, destinati al massimo a somigliarsi, ma mai a ripetersi tali e quali. Anche la politica, come ogni altra attività umana, non segue norme prestabilite né può rifarsi a modelli generali, attinti dal passato. Ogni evento va analizzato caso per caso, in quanto fa storia a sé.
Gli avvenimenti, secondo Guicciardini, non seguono un tracciato logico. Combinazioni, influenze e condizioni contingenti producono soluzioni sempre diverse e comportano misure e contromisure non prevedibili in anticipo.
Pertanto, affidarsi al passato come a una fonte di insegnamenti è non solo inutile, ma addirittura fuorviante. Con Guicciardini il principio di imitazione, pilastro della riflessione umanistico-rinascimentale (compresa quella di Machiavelli), non ha più ragion d’essere.

L’individuo dinanzi ai suoi limiti

Machiavelli confida ancora che, grazie alla lezione e all’esperienza della Storia, l’uomo sia in grado di determinare il corso degli eventi. In questa fiducia si percepisce ancora in lui il retaggio dell’Umanesimo, con il suo bagaglio di rinnovato ottimismo. In Guicciardini, all’uomo non resta invece che constatare l’impotenza della propria volontà. La fortuna, che per Machiavelli poteva ancora essere controllata da uomini dotati di virtù, ora invece afferma la propria «grandissima potestà» (ricordo 30), e l’uomo è costretto ad adeguarsi ai suoi capricci, accettandola.
Nessuna utopia collettiva, nessuna speranza di riscatto affidata a un principe, nessuna ipotesi di redenzione: è possibile e auspicabile soltanto una battaglia, personale ma non meno impegnativa, per difendere sé stessi e adattarsi ai tempi, conformandosi a essi senza improbabili aspirazioni a cambiarli.

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Due diverse visioni dell’uomo

Da ciò possiamo capire che l’uomo di Machiavelli e quello di Guicciardini sono ormai diversi per mentalità e carattere. Il primo è l’eroe rinascimentale che contrasta la fortuna con la virtù, l’appassionato artefice della Storia, il principe-centauro (forte come le bestie, riflessivo come gli uomini) capace, grazie alle sue eccezionali qualità, di imporsi nel proprio tempo. Il secondo è il disincantato osservatore di un gioco di forze ingovernabili, il cosciente e lucido testimone di fatti e avvenimenti immutabili.
Non a caso, con Guicciardini si staglia all’orizzonte il tema della fragilità dell’uomo, quella dolorosa percezione di smarrimento, destinata a dominare le coscienze e la cultura italiana, a partire dal sacco di Roma (1527) fino a tutta l’età della Controriforma.

L’AUTORE NEL TEMPO

L’accoglienza in Italia
L’opera di Guicciardini viene pubblicata postuma, e solo in parte, alla fine del Cinquecento, in piena epoca controriformistica. Data la sua natura spregiudicata e laica, non sorprende che essa subisca la sorte che nello stesso periodo tocca anche all’opera di Machiavelli, finendo nell’Indice dei libri proibiti (cioè di quelle pubblicazioni proibite dalla Chiesa cattolica).

Il prestigio in Europa
Ciò non impedisce che, soprattutto al di fuori dell’Italia, la sua fama diventi subito grande, come dimostra tra l’altro il giudizio del politico e intellettuale francese Michel de Montaigne che, alla fine del Cinquecento, dopo aver letto la Storia d’Italia stima Guicciardini come il miglior storico dei suoi tempi.

Dalla censura al riconoscimento di Leopardi
In Italia la censura ecclesiastica ha invece effetti assai duraturi, almeno fino all’inizio dell’Ottocento, quando Giacomo Leopardi rivaluta la prosa classica e la visione del mondo di Guicciardini, impregnata, come la sua, di un lucido, disincantato pessimismo: «Il Guicciardini», scrive nei Pensieri, «è forse il solo storico tra i moderni, che abbia e conosciuti molto gli uomini, e filosofato circa gli avvenimenti attenendosi alla cognizione della natura umana, e non piuttosto a una certa scienza politica, separata dalla scienza dell’uomo, e per lo più chimerica» (Pensieri, LI).

Il giudizio negativo di De Sanctis
È però nella seconda metà dell’Ottocento, in occasione di una nuova e più completa edizione dei Ricordi, che l’opera guicciardiniana conosce la notorietà. Ma si tratta di una notorietà, per così dire, negativa: abbiamo già avuto modo di riferire i giudizi di Francesco De Sanctis, il cui saggio L’uomo del Guicciardini (1869) delinea un’immagine gretta e opportunistica dello scrittore e dell’uomo politico, facendo di lui, in anni accesi dal patriottismo risorgimentale, il prototipo dell’italiano rassegnato e trasformista.

Il Novecento rivaluta l’opera di Guicciardini
Dobbiamo aspettare il Novecento per trovare un inquadramento diverso dell’opera guicciardiniana, emancipata da svalutazioni di tipo politico o ideologico. La sua rivalutazione comincia da una più ampia e attendibile ricostruzione filologica dei testi, che mette in luce le capacità critiche e analitiche del Guicciardini storico e il rifiuto di ogni astrazione e generalizzazione che è alla base della sua meditazione e della sua scrittura.

I colori della letteratura - volume 1
I colori della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento