I colori della letteratura - volume 1

Umanesimo e Rinascimento – L'opera: Il Principe

 T5 

I principati nuovi che si acquistano con le armi proprie e la virtù

Il Principe, VI


In questo capitolo Machiavelli affronta un tema centrale dell’opera: la formazione dello Stato nuovo. Gli esempi, desunti dalla Storia e dalla leggenda, sono rappresentati dalle grandi personalità giunte al potere grazie alla virtù e a milizie proprie.

DE PRINCIPATIBUS NOVIS QUI ARMIS PROPRIIS ET VIRTUTE ACQUIRUNTUR1
Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi e
di principe e di stato,2 io addurrò grandissimi esempli. Perché, camminando gli
uomini sempre per le vie battute da altri e procedendo nelle azioni loro con le
5 imitazioni, né si potendo le vie d’altri al tutto tenere3 né alla virtù di quegli che
tu imiti aggiugnere,4 debbe uno uomo prudente entrare sempre per vie battute
da uomini grandi, e quegli che sono stati eccellentissimi imitare: acciò che, se la
sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore;5 e fare come gli arcieri
prudenti,6 a’ quali parendo el loco dove desegnano ferire troppo lontano,7 e conoscendo
10 fino a quanto va la virtù8 del loro arco, pongono la mira assai più alta
che il luogo destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza,9 ma
per potere con lo aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro.
Dico adunque che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si
truova a mantenergli più o meno difficultà secondo che più o meno è virtuoso
15 colui che gli acquista. E perché questo evento, di diventare di privato10 principe,
presuppone o virtù o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighino
in parte molte difficultà;11 nondimanco,12 colui che è stato meno in su la fortuna
si è mantenuto più.13 Genera ancora facilità essere el principe constretto, per non
avere altri stati, venire personalmente ad abitarvi.14
20 Ma per venire a quegli che per propria virtù e non per fortuna sono diventati
principi, dico che e’ più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo15 e simili. E
benché di Moisè non si debba ragionare,16 sendo suto17 uno mero esecutore delle
cose che gli erano ordinate da Dio, tamen18 debbe essere ammirato, solum19 per
quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma considerato Ciro e li altri
25 che hanno acquistato o fondati regni, gli troverrete tutti mirabili;20 e se si considerranno
le azioni e ordini loro particulari, parranno non discrepanti21 da quegli

 >> pag. 781 

di Moisè, che ebbe sì gran precettore.22 Ed esaminando le azioni e vita loro non
si vede che quelli avessino altro da la fortuna che la occasione, la quale dette loro
materia a potere introdurvi dentro quella forma che parse23 loro: e sanza quella
30 occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione
sarebbe venuta invano.
Era adunque necessario a Moisè trovare el populo d’Israel in Egitto stiavo24 e
oppresso da li Egizi, acciò che quegli, per uscire di servitù, si disponessino a seguirlo.25
Conveniva che Romulo non capessi in Alba,26 fussi stato esposto al nascere,27
35 a volere che28 diventassi re di Roma e fondatore di quella patria.29 Bisognava che
Ciro trovassi e’ Persi malcontenti dello imperio de’ Medi,30 ed e’ Medi molli ed
effeminati per la lunga pace. Non poteva Teseo dimostrare la sua virtù, se non
trovava gli Ateniesi dispersi.31 Queste occasioni per tanto feciono32 questi uomini
felici e la eccellente virtù loro fe’ quella occasione essere conosciuta:33 donde la
40 loro patria ne fu nobilitata e diventò felicissima.34
Quelli e’ quali per vie virtuose, simili a costoro, diventono principi, acquistano
el principato con difficultà, ma con facilità lo tengono; e le difficultà che gli35
hanno nello acquistare el principato nascono in parte da’ nuovi ordini e modi
che sono forzati36 introdurre per fondare lo stato loro e la loro sicurtà. E debbasi
45 considerare come e’ non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né
più pericolosa a maneggiare, che farsi capo37 di introdurre nuovi ordini. Perché lo
introduttore ha per nimico tutti quegli che degli ordini vecchi fanno bene,38 e ha
tiepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene: la quale tepidezza
nasce parte per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte
50 da la incredulità39 degli uomini, e’ quali non credono in verità40 le cose nuove, se
non ne veggono nata una ferma esperienza.41 Donde nasce che, qualunque volta
quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente,42 e
quelli altri43 difendono tiepidamente: in modo che insieme con loro si periclita.44
È necessario pertanto, volendo discorrere45 bene questa parte, esaminare se
55 questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependono da altri:46 cioè se per
condurre l’opera loro bisogna che preghino,47 o vero possono forzare.48 Nel primo
caso, sempre capitano male e non conducono cosa alcuna; ma quando dependono
da loro propri e possono forzare, allora è che rare volte periclitano: di qui nacque
che tutti e’ profeti49 armati vinsono ed e’ disarmati ruinorno. Perché, oltre alle cose

 >> pag. 782 

60 dette, la natura de’ populi è varia50 ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile
fermarli in quella persuasione:51 e però conviene essere ordinato52 in modo
che, quando non credono più, si possa fare loro credere per forza. Moisè, Ciro,
Teseo e Romulo non arebbono53 potuto fare osservare loro lungamente le loro
constituzioni,54 se fussino stati disarmati; come ne’ nostri tempi intervenne55 a fra
65 Ieronimo Savonerola,56 il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, come57 la moltitudine
cominciò a non credergli, e lui non aveva modo a tenere fermi58 quelli che avevano
creduto né a fare credere e’ discredenti.59 Però questi tali hanno nel condursi
grande difficultà, e tutti e’ loro periculi sono fra via60 e conviene che con la virtù gli
superino. Ma superati che gli hanno, e che cominciano a essere in venerazione,61
70 avendo spenti quegli che di sua qualità gli avevano invidia,62 rimangono potenti,
sicuri, onorati e felici.
A sì alti esempli io voglio aggiugnere uno esemplo minore; ma bene arà qualche
proporzione con quegli,63 e voglio mi basti per tutti gli altri simili: e questo
è Ierone siracusano.64 Costui di privato diventò principe di Siracusa; né ancora65
75 lui conobbe66 altro da la fortuna che la occasione: perché, sendo e’ siracusani oppressi,
lo elessono per loro capitano; donde meritò di essere fatto loro principe. E
fu di tanta virtù, etiam in privata fortuna,67 che chi ne scrive dice «quod nihil illi
deerat ad regnandum praeter regnum».68 Costui spense69 la milizia vecchia, ordinò
della nuova;70 lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e come ebbe amicizie e
80 soldati che fussino sua, possé71 in su tale fondamento edificare ogni edifizio, tanto
che lui durò assai fatica72 in acquistare e poca in mantenere.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il capitolo si apre con una premessa metodologica di grande importanza, perché chiarisce le basi del principio di imitazione adottato da Machiavelli. Questi infatti precisa che, per avere successo, è necessario seguire l’esempio degli uomini grandi, in modo che, se anche non fosse possibile eguagliarne i risultati, ci si possa almeno avvicinare (ne renda qualche odore, r. 8).

 >> pag. 783 

Tale pratica è essenziale poiché la natura umana è immutabile attraverso i secoli (camminando gli uomini sempre per le vie battute da altri, rr. 3-4). Tuttavia, non si pensi che l’imitazione riesca sempre in modo perfetto, sia per la difficoltà di eguagliare i grandi uomini del passato sia perché le condizioni specifiche delle varie epoche non possono essere identiche. E qui si innesta la metafora* degli arcieri prudenti (rr. 8-9), i quali per pervenire al disegno (r. 12) devono alzare la mira, consci che il bersaglio deve essere commisurato alle proprie forze.

Due sono i prerequisiti fondamentali per conquistare il potere: la virtù e la fortuna. L’assenza di uno di questi due elementi determina il fallimento dell’azione. Machiavelli aggiunge però che è necessario fare affidamento sulla virtù per poter sfruttare adeguatamente le occasioni propizie offerte dalla fortuna. Per avvalorare il concetto, si serve di esempi illustri tratti dalla Bibbia, dalla mitologia e dalla Storia, come Mosè, Ciro, Romolo e Teseo.
Con la sola eccezione di Romolo, si tratta di eroi che hanno agito trasformando una momentanea condizione di rovina in una occasione privilegiata per fondare uno Stato nuovo.
In quest’ottica, si capisce come la virtù di cui parla Machiavelli si configuri come quell’insieme di forza, capacità e acume che permette di cogliere con energica prontezza l’occasione quando questa si presenta.

L’innovatore che acquista il potere deve essere inoltre consapevole che la sua azione è inizialmente mal vista e osteggiata da quanti hanno un utile nelle vecchie istituzioni, mentre quella dei conservatori gode normalmente di sostenitori più agguerriti. Per questa ragione, un «principe nuovo» deve adottare delle contromisure che gli permettano di contrapporsi felicemente agli oppositori. La contromisura più efficace è l’uso della forza, che è il migliore strumento per vincere avversari e avversità.
Attraverso il suo tipico procedimento, Machiavelli arriva a concludere il ragionamento con una massima perentoria, che non ammette eccezioni: e’ profeti armati vinsono ed e’ disarmati ruinorno (r. 59). Infatti, la Storia, antica e recente, si incarica di confermare questa affermazione: i quattro esempi già citati erano tutti profeti armati. Disarmato, e perciò condannato alla sconfitta, è stato invece Savonarola, del quale Machiavelli non critica il progetto ideologico, ma soltanto l’imperizia strategica, che lo ha portato alla rovina. Il suo caso permette di capire che, per mantenere saldo il consenso popolare, sempre incostante e inaffidabile, la virtù deve accompagnarsi alla forza.

Le scelte stilistiche

Il passo proposto esemplifica, specialmente nella prima parte, il periodare tipico della prosa machiavelliana: troviamo infatti una serie assai lunga di coordinate e subordinate, che riproducono l’andamento del pensiero, fino alla conclusione logica, efficacemente resa con un’immagine popolaresca (almeno ne renda qualche odore, r. 8).

Significativi sono il ricorso al procedimento “dilemmatico”, realizzato con l’uso della disgiunzione (o virtù o fortuna, r. 16; se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependono da altri […] bisogna che preghino, o vero possono forzare, rr. 54-56) e l’impiego delle massime, che tendono ad assolutizzare con lapidaria incisività la visione machiavelliana dell’uomo (la incredulità degli uomini, e’ quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza, rr. 50-51; e’ profeti armati vinsono ed e’ disarmati ruinorno, r. 59). La medesima esigenza di togliere ogni dubbio a quanto è stato affermato si esprime inoltre attraverso un’altra costante dello stile dell’autore fiorentino, le formule verbali di necessità (Era adunque necessario, r. 32; Conveniva, r. 34, o conviene che, r. 68; Bisognava che, r. 35; E debbasi, r. 44).

 >> pag. 784 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Il capitolo inizia con una premessa molto significativa, poiché spiega il criterio a cui si ispira l’analisi successiva. Qual è il contenuto di questa introduzione?


2 Quali sono le caratteristiche che accomunano gli uomini dell’antichità citati nel capitolo?


3 In che cosa consistono per Machiavelli i limiti dell’azione di Savonarola?


4 Perché a Gerone bastò poca fatica per mantenere quanto aveva costruito?

ANALIZZARE

5 Perché il passo dello storico Giustino (rr. 77-78) è citato direttamente in latino, anziché essere tradotto o rielaborato da Machiavelli?

INTERPRETARE

6 La scelta di menzionare Mosè, Ciro, Romolo e Teseo non è casuale: secondo te a quali criteri risponde?

PRODURRE

7 Nel mondo di oggi quanto conta la fortuna e quanto la “virtù”, le capacità? Secondo te la visione machiavelliana è ancora attuale? Perché? Spiegalo in un testo argomentativo di circa 30 righe, portando degli esempi concreti a sostegno della tua tesi.


8 Machiavelli dice che e’ profeti armati vinsono ed e’ disarmati ruinorno (r. 59), ma nella storia del Novecento ci sono grandi esempi di lotta non violenta (Gandhi, Martin Luther King, Mandela ecc.). Fai una ricerca su uno di questi casi ed elabora un testo di presentazione di circa 30 righe.


 T6 

I principati nuovi che si acquistano con le armi altrui e con la fortuna

Il Principe, VII


Dagli esempi degli antichi eroi si giunge qui a un modello di principe contemporaneo. In questo capitolo, Machiavelli si sofferma a delineare le caratteristiche di un principe condotto al potere dalla fortuna e dalle milizie altrui: la figura dell’eroe virtuoso capace di plasmare, grazie all’azione, la materia offertagli dalla fortuna è Cesare Borgia, detto il Valentino.

DE PRINCIPATIBUS NOVIS QUI ALIENIS ARMIS ET FORTUNA ACQUIRUNTUR1
Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati2 principi, con poca fatica
diventono, ma con assai si mantengono;3 e non hanno alcuna difficultà fra via,
perché vi volano:4 ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti.5 E questi
5 tali sono quando è concesso ad alcuno uno stato o per danari o per grazia di chi
lo concede: come intervenne a molti in Grecia nelle città di Ionia e di Ellesponto,
dove furno fatti principi da Dario,6 acciò le tenessino per sua sicurtà e gloria;7 come
erano fatti ancora quelli imperadori che di privati, per corruzione de’ soldati,
pervenivano allo imperio.8
10 Questi stanno semplicemente in su9 la volontà e fortuna di chi lo ha concesso
loro, che sono dua cose volubilissime e instabili, e non sanno e non possono tenere

 >> pag. 785 

quello grado:10 non sanno, perché s’e’ non è uomo di grande ingegno e virtù, non
è ragionevole che, sendo11 vissuto sempre in privata fortuna,12 sappia comandare;
non possono, perché non hanno forze che gli possino essere amiche e fedeli. Di
15 poi13 gli stati che vengono subito, come tutte l’altre cose della natura che nascono
e crescono presto, non possono avere le barbe e correspondenzie loro14 in modo
che il primo tempo avverso non le spenga,15 – se già quelli tali, come è detto, che
sì de repente sono diventati principi non sono di tanta virtù che quello che la fortuna
ha messo loro in grembo e’ sappino subito prepararsi a conservarlo, e quelli
20 fondamenti, che gli altri hanno fatti avanti che diventino principi, gli faccino poi.16
Io voglio all’uno e l’altro di questi modi detti, circa il diventare principe per
virtù o per fortuna, addurre dua esempli stati ne’ dì della memoria nostra:17 e
questi sono Francesco Sforza18 e Cesare Borgia.19 Francesco, per li debiti mezzi20
e con una grande sua virtù, di privato diventò duca di Milano; e quello che con
25 mille affanni aveva acquistato, con poca fatica mantenne. Da l’altra parte, Cesare
Borgia, chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la fortuna del
padre e con quella lo perdé, non ostante che per lui21 si usassi ogni opera e facessinsi
tutte quelle cose che per uno prudente e virtuoso uomo si doveva fare
per mettere le barbe sua22 in quelli stati che l’arme e fortuna di altri gli aveva
30 concessi. Perché, come di sopra si disse, chi non fa e’ fondamenti23 prima, gli
potrebbe con una grande virtù farli poi, ancora che24 si faccino con disagio dello
architettore e periculo dello edifizio. Se adunque si considerrà tutti e’ progressi25
del duca, si vedrà lui aversi fatti grandi fondamenti alla futura potenza; e’ quali
non iudico superfluo discorrere26 perché io non saprei quali precetti mi dare27
35 migliori, a uno principe nuovo, che lo esemplo delle azioni sue: e se gli ordini
sua non gli profittorno,28 non fu sua colpa, perché nacque da29 una estraordinaria
ed estrema malignità di fortuna.
Aveva Alessandro VI,30 nel volere fare grande il duca suo figliuolo, assai difficultà
presenti e future. Prima, e’ non vedeva via di poterlo fare signore di alcuno stato che
40 non fussi stato di Chiesa:31 e, volgendosi a tòrre quello della Chiesa, sapeva che il
duca di Milano e ’ viniziani non gliene consentirebbono,32 perché Faenza e Rimino
erano di già sotto la protezione de’ viniziani. Vedeva oltre a questo l’arme di Italia,33 e

 >> pag. 786 

quelle in spezie di chi si fussi potuto servire, essere nelle mani di coloro che dovevano
temere la grandezza del papa, – e però34 non se ne poteva fidare, – sendo tutte nelli
45 Orsini e Colonnesi e loro complici.35 Era adunque necessario si turbassino quelli
ordini36 e disordinare37 gli stati di Italia, per potersi insignorire sicuramente di parte
di quelli.38 Il che gli fu facile, perché e’ trovò e’ viniziani che, mossi da altre cagioni,
si erano volti a fare ripassare e’ franzesi in Italia:39 il che non solamente non contradisse,40
ma lo fe’ più facile con la resoluzione del matrimonio antico del re Luigi.41
50 Passò adunque il re in Italia con lo aiuto de’ viniziani e consenso di Alessandro:
né prima fu in Milano che il papa ebbe da lui gente42 per la impresa di Romagna,43
la quale gli fu acconsentita per la reputazione44 del re. Acquistata adunque il
duca la Romagna e sbattuti45 e’ Colonnesi, volendo mantenere quella e procedere
più avanti, lo impedivano46 dua cose: l’una, le arme sua che non gli parevano fedeli;
55 l’altra, la volontà di Francia; cioè che l’arme Orsine, delle quali si era valuto, gli
mancassino sotto, e non solamente gl’impedissino lo acquistare ma gli togliessino
lo acquistato, e che il re ancora non li facessi il simile.47 Delli Orsini ne ebbe uno
riscontro quando, dopo la espugnazione di Faenza, assaltò Bologna, che gli vidde
andare freddi in quello assalto;48 e circa il re conobbe lo animo suo quando, preso
60 el ducato d’Urbino assaltò la Toscana: da la quale impresa il re lo fece desistere.
Onde che49 il duca deliberò di non dependere più da le arme e fortuna d’altri;
e, la prima cosa, indebolì le parte Orsine e Colonnese in Roma: perché tutti gli
aderenti loro, che fussino gentili50 uomini, se gli guadagnò,51 faccendoli suoi gentili
uomini e dando loro grandi provisioni,52 e onorògli, secondo le loro qualità,
65 di condotte e di governi:53 in modo che in pochi mesi negli animi loro l’affezione
delle parti si spense e tutta si volse nel duca. Dopo questo, aspettò la occasione di
spegnere e’ capi Orsini, avendo dispersi quelli di casa Colonna: la quale gli venne
bene, e lui la usò meglio.54 Perché, avvedutosi55 gli Orsini tardi che la grandezza del
duca e della Chiesa era la loro ruina feciono una dieta alla Magione nel Perugino;56
70 da quella nacque la ribellione di Urbino, e’ tumulti di Romagna e infiniti periculi
del duca, e’ quali tutti superò con l’aiuto de’ franzesi. E ritornatoli la reputazione,
né si fidando di Francia né di altre forze esterne, per non le avere a cimentare57 si

 >> pag. 787 

volse alli inganni; e seppe tanto dissimulare l’animo suo che li Orsini medesimi,
mediante il signore Paulo,58 si riconciliorno seco,59 – con il quale il duca non mancò
75 d’ogni ragione di offizio per assicurarlo,60 dandoli danari veste e cavalli, – tanto
che la simplicità61 loro gli condusse a Sinigaglia nelle sua mani.62
Spenti adunque questi capi e ridotti e’ partigiani loro sua amici, aveva il duca gittati
assai buoni fondamenti alla potenza sua, avendo tutta la Romagna col ducato di Urbino,
parendoli massime aversi acquistata amica la Romagna e guadagnatosi quelli populi
80 per avere cominciato a gustare il bene essere loro.63 E perché questa parte è degna
di notizia e da essere da altri imitata, non la voglio lasciare indreto.64 Presa che ebbe il
duca la Romagna e trovandola suta comandata65 da signori impotenti, – e’ quali più
presto avevano spogliati e’ loro sudditi che corretti, e dato loro materia di disunione,
non d’unione,66 – tanto che quella provincia era tutta piena di latrocini, di brighe e
85 d’ogni altra ragione di insolenzia,67 iudicò fussi necessario, a volerla ridurre pacifica e
ubbidiente al braccio regio,68 dargli buono governo: e però vi prepose messer Rimirro
de Orco,69 uomo crudele ed espedito,70 al quale dette plenissima potestà.71 Costui in
poco tempo la ridusse pacifica e unita, con grandissima reputazione. Di poi iudicò il
duca non essere necessaria sì eccessiva autorità perché dubitava non72 divenissi odiosa,
90 e preposevi uno iudizio civile73 nel mezzo della provincia, con uno presidente eccellentissimo,74
dove ogni città vi aveva lo avvocato suo. E perché conosceva le rigorosità
passate avergli generato qualche odio,75 per purgare li animi di quelli populi e guadagnarseli
in tutto,76 volse mostrare che, se crudeltà alcuna era seguita,77 non era causata
da lui ma da la acerba natura del ministro.78 E presa sopra a questo occasione,79 lo fece,
95 a Cesena, una mattina mettere in dua pezzi80 in su la piazza, con uno pezzo di legne
e uno coltello sanguinoso accanto:81 la ferocità del quale spettaculo fece quegli popoli
in uno tempo rimanere satisfatti e stupidi.82
Ma torniamo donde noi partimmo. Dico che, trovandosi il duca assai potente
e in parte assicurato de’ presenti periculi, per essersi armato a suo modo e avere in

 >> pag. 788 

100 buona parte spente quelle arme che, vicine, lo potevano offendere, gli restava, volendo
procedere collo acquisto,83 el respetto del84 re di Francia: perché conosceva come
dal re, il quale tardi s’era accorto dello errore suo, non gli sarebbe sopportato.85 E cominciò
per questo a cercare di amicizie nuove e vacillare con Francia,86 nella venuta
che feciono franzesi verso el regno di Napoli contro alli spagnuoli che assediavano
105 Gaeta;87 e lo animo suo era assicurarsi di loro:88 il che gli sarebbe presto riuscito, se
Alessandro viveva.89 E questi furno e’ governi sua,90 quanto alle cose presenti.
Ma quanto alle future, lui aveva a dubitare91 in prima che uno nuovo successore
alla Chiesa92 non gli fussi amico e cercassi torgli93 quello che Alessandro li aveva dato.
Di che pensò assicurarsi94 in quattro modi: prima, di spegnere tutti e’ sangui95 di quelli
110 signori che lui aveva spogliati, per tòrre al papa quella occasione; secondo, di guadagnarsi
tutti e’ gentili uomini di Roma, come è detto, per potere con quelli tenere il papa
in freno; terzo, ridurre il Collegio più suo che poteva;96 quarto, acquistare tanto imperio,97
avanti che il papa morissi, che potessi per sé medesimo resistere a uno primo
impeto. Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro ne aveva condotte tre, la quarta
115 aveva quasi per condotta: perché de’ signori spogliati ne ammazzò quanti ne possé
aggiugnere 98 e pochissimi si salvorno, e’ gentili uomini romani si aveva guadagnati, e
nel Collegio aveva grandissima parte; e quanto al nuovo acquisto, aveva disegnato diventare
signore di Toscana e possedeva di già Perugia e Piombino, e di Pisa aveva presa
la protezione. E come e’ non avessi avuto ad avere rispetto a Francia, – che non gliene
120 aveva ad avere più, per essere di già e’ franzesi spogliati del Regno da li spagnuoli: di
qualità che ciascuno di loro era necessitato comperare l’amicizia sua, – e’ saltava in
Pisa.99 Dopo questo, Lucca e Siena cedeva100 subito, parte per invidia101 de’ fiorentini,
parte per paura; e’ fiorentini non avevano rimedio.102 Il che se gli fussi riuscito, – che
gli riusciva103 l’anno medesimo che Alessandro morì, – si acquistava tante forze e tanta
125 reputazione che per sé stesso104 si sarebbe retto e non sarebbe più dependuto105 da la
fortuna e forze di altri, ma da la potenza e virtù sua.
Ma Alessandro morì dopo cinque anni che egli aveva cominciato a trarre fuora
la spada:106 lasciollo con lo stato di Romagna solamente assolidato,107 con tutti li
altri in aria,108 in fra dua potentissimi eserciti inimici109 e malato a morte.110 Ed era

 >> pag. 789 

130 nel duca tanta ferocità111 e tanta virtù, e sì bene conosceva come li uomini si hanno
a guadagnare o perdere, e tanto erano validi e’ fondamenti che in sì poco tempo si
aveva fatti, che s’e’ non avessi avuto quelli eserciti addosso, o lui fussi stato sano,
arebbe retto a ogni difficultà.
E che e’ fondamenti sua fussino buoni, si vidde: che la Romagna lo aspettò più
135 d’uno mese;112 in Roma, ancora che mezzo vivo,113 stette sicuro, e, benché Baglioni,
Vitelli e Orsini114 venissino in Roma, non ebbono séguito115 contro di lui; possé
fare, se non chi e’ volle, papa, almeno ch’e’ non fussi chi e’ non voleva.116 Ma se
nella morte di Alessandro fussi stato sano, ogni cosa gli era facile: e lui mi disse,
ne’ dì che fu creato Iulio II,117 che aveva pensato a ciò che potessi nascere morendo
140 el padre, e a tutto aveva trovato remedio, eccetto ch’e’ non pensò mai, in su la sua
morte,118 di stare ancora lui119 per morire.
Raccolte120 io adunque tutte le azioni del duca, non saprei riprenderlo:121 anzi
mi pare, come io ho fatto, di preporlo imitabile122 a tutti coloro che per fortuna e
con le arme di altri sono ascesi allo imperio; perché lui, avendo l’animo grande e
145 la sua intenzione alta,123 non si poteva governare124 altrimenti, e solo si oppose alli
sua disegni la brevità della vita di Alessandro e la sua malattia. Chi adunque iudica
necessario nel suo principato nuovo assicurarsi delli125 inimici, guadagnarsi delli
amici; vincere o per forza o per fraude; farsi amare e temere da’ populi, seguire e
reverire da’ soldati; spegnere quelli che ti possono o debbono offendere; innovare
150 con nuovi modi gli ordini antiqui; essere severo e grato, magnanimo e liberale;
spegnere la milizia infedele, creare della nuova; mantenere l’amicizie de’ re e de’
principi in modo ch’e’ ti abbino a benificare con grazia o offendere con respetto;126
non può trovare e’ più freschi esempli che le azioni di costui.127
Solamente si può accusarlo nella creazione di Iulio pontefice, nella quale il duca
155 ebbe mala elezione.128 Perché, come è detto, non potendo fare uno papa a suo modo,
poteva tenere129 che uno non fussi papa; e non doveva mai consentire130 al papato di
quelli cardinali che lui avessi offesi o che, divenuti papa, avessino ad aver paura di lui:
perché gli uomini offendono o per paura o per odio. Quelli che lui aveva offeso erano,
in fra li altri, San Piero ad Vincula, Colonna, San Giorgio, Ascanio; tutti li altri avevano,
160 divenuti papi, a temerlo, eccetto Roano e gli spagnuoli: questi per coniunzione
e obligo, quello per potenza, avendo coniunto seco el regno di Francia.131 Pertanto el

 >> pag. 790 

duca innanzi a ogni cosa doveva creare papa uno spagnuolo: e, non potendo, doveva
consentire a Roano, non a San Piero ad Vincula. E chi crede che ne’ personaggi grandi
e’ benifizi nuovi faccino sdimenticare le iniurie132 vecchie, s’inganna. Errò adunque el
165 duca in questa elezione, e fu cagione dell’ultima133 ruina sua.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

A differenza della condizione analizzata nel capitolo VI, nel VII Machiavelli prende in esame una situazione più difficile, quella di chi voglia mantenere il potere dovendo dipendere dall’arme e fortuna di altri. Questa è un’impresa ardua, in quanto al principe che ha beneficiato della fortuna spetta il compito poi di emanciparsi da essa. Infatti, uno Stato costituito solo grazie al concorso di circostanze esterne propizie è paragonato a un albero cresciuto in fretta, senza barbe e correspondenzie (r. 16), cioè senza radici e ramificazioni: questa metafora* botanica rivela ancora una volta la concezione naturalistica di Machiavelli e rende l’idea della vulnerabilità dello Stato, se a esso non vengono fornite al più presto le fondamenta (fondamenti), che la fortuna non è in grado di erigere.

Fatte queste premesse generali su Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati principi (r. 2), Machiavelli dedica tutto il capitolo a una figura esemplare: il duca Valentino, Cesare Borgia, figlio naturale di papa Alessandro VI. La ricostruzione della vicenda del Valentino offre un documento eccezionale della realtà delle lotte per il potere in un Cinquecento brutale e sanguinario, ben lontano dall’immagine idealizzante divulgata dall’arte rinascimentale. Il personaggio, così come lo delinea Machiavelli, assume le fattezze di un eroe tragico e grandioso, in lotta con gli ingranaggi di un potere losco e subdolo, costretto a soccombere, pure a dispetto delle sue grandi virtù.

Per descrivere l’azione politica del principe seguiremo l’andamento cronologico utilizzato dall’autore isolando tre fasi essenziali.
La conquista dello Stato. Il racconto delle vicende del Valentino inizia con le difficultà presenti e future di papa Alessandro VI nel volere fare grande il duca suo figlioulo (rr. 38-39) e dargli un principato. La discesa in Italia di Luigi XII permette al pontefice di superare i due ostacoli maggiori: l’opposizione veneziana e milanese e l’insidia rappresentata dalle fazioni legate alle potenti famiglie romane degli Orsini e dei Colonna.
Il rafforzamento del potere. Ottenuto il principato, Cesare Borgia mostra risolutezza nel non dipendere più dall’arme e fortuna di altri (r. 29). Machiavelli indica le sue iniziative più lungimiranti (e, in alcune occasioni, efferate, ma ciò non induce l’autore a stigmatizzarle): uccidere gli Orsini, accaparrarsi il favore dei romagnoli, preparare un’alleanza con gli spagnoli.
I progetti futuri e la sconfitta. Il Valentino è consapevole che la stabilità del suo Stato deriva dal favore del papa, e inizia a operare in modo che il pontefice destinato a succedere al padre non gli sia ostile. A questo fine, uccide gli eredi e i parenti di quelli che aveva spogliato di beni e potere, e si guadagna il favore dei nobili romani e del Collegio cardinalizio.

 >> pag. 791 

Eppure, nonostante la sua abilità, il tentativo del Valentino fallisce. L’avversativa usata da Machiavelli (Ma Alessandro morì, r. 127) evidenzia l’ingerenza negativa della fortuna, che si concretizza nella morte del padre e nella malattia del principe. Il capitolo dunque sembrerebbe avviarsi a un epilogo sconsolante: la fortuna è onnipotente, se è vero che anche un uomo “virtuoso” come il Valentino non ha potuto resisterle.
Tuttavia, in conclusione Machiavelli introduce una diversa valutazione e attribuisce al Valentino un errore di calcolo imperdonabile e fatale. Solamente si può accusarlo (r. 154) di non avere evitato che alla morte di papa Pio III ascendesse al soglio pontificio un irriducibile nemico dei Borgia, Giuliano della Rovere: la ruina di Cesare Borgia è dipesa proprio da questa mala elezione (r. 155).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi in 20 righe il contenuto del capitolo.


2 L’insuccesso finale del Valentino viene spiegato da Machiavelli fornendo, in passi diversi, due interpretazioni contraddittorie tra loro. Quali?

ANALIZZARE

3 Quali eventi, tra quelli narrati, hanno avuto Machiavelli come testimone diretto?

INTERPRETARE

4 Oltre a quello di Cesare Borgia, l’autore analizza anche l’operato di Francesco Sforza. Perché?


5 Sintetizza le ragioni dell’ammirazione di Machiavelli per il Valentino esposte nel capitolo.

PRODURRE

6 Immagina di essere l’avvocato difensore del Valentino oppure il pubblico ministero che lo accusa. Prepara la tua arringa di accusa o difesa citando a supporto passi tratti dal testo.

PER APPROFONDIRE

La spietatezza al potere: Cesare Borgia

La vita pubblica di Cesare Borgia, nato a Roma nel 1475, iniziò nel 1492, quando il padre Rodrigo venne eletto papa con il nome di Alessandro VI. Già vescovo di Pamplona, cardinale dal 1493, Cesare aveva però tra sé e il successo la presenza del fratello minore, Giovanni, figlio prediletto del papa. La sua scomparsa misteriosa e prematura rappresentò il via libera ai suoi sogni di gloria. Che cosa era successo? Di certo sappiamo solo che il corpo di Giovanni fu ripescato nelle acque del Tevere, nel giugno 1497. Chi lo aveva ucciso? Si fece subito una ridda di ipotesi: gli Orsini, gli Sforza, addirittura la vendetta di un marito tradito. In ultimo, i sospetti caddero su Cesare, ma non furono mai confermati. Sicuro è invece che, dopo la scomparsa del rivale, egli non incontrò più ostacoli: deposta la dignità cardinalizia (1498), ottenne dal re di Francia la contea del Valentinois, che, mutata in ducato, gli diede il nome di duca Valentino.
Sposò poi la sorella del re di Navarra (1499) e, con milizie fornitegli dal re di Francia e assoldate con i denari del papa, si creò uno Stato. S’impadronì infatti di Imola e Forlì (1499-1500), assumendo il titolo di vicario per la Chiesa, e poi riprese la conquista della Romagna. Aiutò la Francia nella guerra per la spartizione del Regno di Napoli; come duca di Romagna, si impossessò del ducato di Urbino e di Camerino. Le pagine di Machiavelli ci informano su tutte le sue azioni successive. Messo in pericolo il suo Stato dalle ribellioni di Urbino e Camerino, Cesare seppe patteggiare e creare divisioni tra i congiurati, sbarazzandosi, con il tradimento a Senigallia, di alcuni di essi. Meditava progetti di espansione quando la morte del padre (1503) stroncò i suoi disegni. Dopo il breve pontificato di Pio III, Giulio II (appartenente alla famiglia della Rovere, acerrima rivale dei Borgia) tolse al Valentino il governo della Romagna e lo imprigionò. Fuggito per due volte, nel 1506 riparò presso il cognato, il re di Navarra, e l’anno dopo morì durante l’assedio di Viana, in Spagna.

I colori della letteratura - volume 1
I colori della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento