La visione pessimistica della natura umana

Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Niccolò Machiavelli

La visione pessimistica della natura umana

La visione della politica e delle sue leggi, dei rapporti tra gli individui e della società in generale è caratterizzata in Machiavelli da un amaro e radicale pessimismo: gli uomini gli appaiono avidi e ambiziosi, vili e timorosi, pieni di cattiveria, ma al tempo stesso di ingenuità. Benché le circostanze contingenti possano essere diverse, la natura umana si rivela sempre fondamentalmente malvagia.

Una tale visione negativa allontana Machiavelli dall’ottimistica immagine dell’uomo elaborata dall’Umanesimo, basata sulla rappresentazione del saggio che cerca sapientemente di fondere etica e politica, teoria e azione.
Come quella politica, anche la sua produzione comica appare segnata da un crudo pessimismo. In particolare, nella Mandragola assistiamo a una vicenda di inganni, ipocrisie e mistificazioni creati da una schiera di personaggi accomunati dal cinismo e dall’opportunismo. La grottesca avventura erotica messa in scena costituisce in realtà la dimostrazione di come corruzione e degrado tocchino tutti, vincitori e vinti, carnefici e vittime, truffatori e truffati. La logica del tornaconto personale non viene mai messa in discussione e il male che domina il mondo riesce sempre vittorioso. Le leggi che vigono nell’ambito della politica non sono dunque un’eccezione, poiché esse trovano applicazione anche nella sfera privata.

Tuttavia, Machiavelli crede ancora nel valore e nelle possibilità della singola persona di realizzare i propri scopi e le proprie ambizioni; egli confida che l’individuo sia capace di fronteggiare e risolvere i problemi facendo ricorso alle proprie forze e alle proprie virtù: un’eredità, questa, ricevuta dalla civiltà comunale (si pensi a Boccaccio) e da quella umanistica. Costretto a battersi contro ostacoli e limitazioni, l’uomo, per non soccombere, deve essere secondo Machiavelli dotato di temperamento, audacia e pazienza. Il politico, in particolare, dovrà essere capace di utilizzare talento e personalità per sfruttare le occasioni propizie concessegli dalla sorte.

La fiducia che Machiavelli ripone nelle qualità dell’individuo si può percepire facilmente quando tocca il tema, già affrontato dallo stesso Boccaccio e assai caro alla cultura rinascimentale, del rapporto tra virtù e fortuna. Quest’ultima non ha più niente a che vedere con la Provvidenza cristiana: è piuttosto il caso cieco che incide sulle vicende umane in modo imprevedibile e capriccioso, determinando, con le sue improvvise variazioni, successo e insuccesso.
Anche la virtù ha perduto ogni riferimento trascendente: con questa parola, Machiavelli designa una sintesi di forza d’animo, temperamento, discernimento e capacità di contrastare le diverse situazioni, limitando gli effetti negativi delle circostanze sfavorevoli.

Nel sottolineare la capacità dell’uomo di far fronte ai fattori esterni alla sua volontà, Machiavelli si apre a una umanistica esaltazione della responsabilità umana, in cui non interferisce alcun disegno provvidenziale. Non è Dio a reggere il corso della Storia, ma l’individuo con le sue forze e la sua capacità di operare. D’altronde, fermo restando il disinteresse dello scrittore per la dimensione propriamente spirituale del fatto religioso, egli non evita di sottolineare e stigmatizzare l’inerzia, l’inattività e la rassegnazione istillate a suo giudizio nell’animo umano dalla predicazione cristiana.
A ciò si aggiunga la corruzione della Chiesa che, secondo Machiavelli, ha raggiunto livelli tali da far smarrire agli italiani ogni traccia di spirito religioso. Se la Curia – scrive con sferzante paradosso nei Discorsi – si trasferisse in Svizzera, perfino la radicata tradizione di rigore morale di chi lì vive sarebbe destinata in poco tempo a guastarsi.

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Va detto che la decadenza morale del cattolicesimo romano «non suscita né invettive né quaresimali savonaroliani» (Bruscagli); tuttavia Machiavelli non rinuncia ad attribuire a frati e prelati una devozione mercantile per il profitto e il denaro. Eloquente in tal senso è ciò che accade nella Mandragola: qui la logica economica che si è impossessata della religione ha una concreta traduzione nel comportamento e nella diabolica malizia di uno dei protagonisti, fra’ Timoteo, il quale per denaro tradisce la propria “figlia spirituale” inducendola all’adulterio. La bramosia del frate, considerato come tipico rappresentante del clero, è dunque allegoria della rovina della società intera. Dietro il ghigno cinico di Machiavelli si celano l’amaro pessimismo e il profondo sconforto di chi vede le virtù calpestate proprio da chi le dovrebbe seguire e far seguire.

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Il vittorioso assedio di fra’ Timoteo all’innocenza di Lucrezia

La mandragola, atto III, scene IX-XI


Queste tre scene hanno un antefatto, che è opportuno ricordare. Per indurre Lucrezia all’adulterio, Ligurio ha bisogno della mediazione di un aiutante autorevole. Chi meglio di un sacerdote? Fra’ Timoteo sembra l’uomo giusto, ma occorre provarne la disponibilità. Per questo, Ligurio gli chiede se è disposto, dietro lauto compenso, a fare abortire una fanciulla, e Timoteo accetta. La storia non è vera, ma non importa: ciò che conta è che ora Ligurio può confidare sulla scaltra amoralità di Timoteo, oltre che sulla complicità della madre di Lucrezia, Sostrata, per portare il piano a compimento.


SCENA IX
Fra’ Timoteo solo


FRATE Io non so chi si abbi giuntato l’uno l’altro.1 Questo tristo di Ligurio ne venne
a me con quella prima novella,2 per tentarmi, acciò, se io li consentivo quella,3
5 m’inducessi più facilmente a questa; se io non gliene consentivo, non mi arebbe
detta questa, per non palesare e disegni4 loro sanza utile, e di quella che era falsa
non si curavano. Egli è vero che io ci sono suto giuntato; nondimeno, questo
giunto è con mio utile.5 Messer Nicia e Callimaco sono ricchi, e da ciascuno, per
diversi rispetti, sono per trarre assai;6 la cosa convien stia secreta, perché l’importa
10 così a loro, a dirla, come a me.7 Sia come si voglia, io non me ne pento. È ben vero
che io dubito non ci avere dificultà,8 perché madonna Lucrezia è savia e buona:
ma io la giugnerò in sulla bontà.9 E tutte le donne hanno alla fine poco cervello; e
come ne è una sappi dire dua parole, e’ se ne predica,10 perché in terra di ciechi chi
vi ha un occhio è signore.11 Ed eccola con la madre, la quale è bene una bestia,12 e
15 sarammi uno grande adiuto a condurla alle mia voglie.

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SCENA X
Sostrata, Lucrezia


SOSTRATA Io credo che tu creda, figliuola mia, che io stimi l’onore ed el bene tuo
quanto persona del mondo,13 e che io non ti consiglierei di cosa14 che non stessi
20 bene. Io ti ho detto e ridicoti, che se fra’ Timoteo ti dice che non ti sia carico di
conscienzia,15 che tu lo faccia sanza pensarvi.
LUCREZIA Io ho sempremai dubitato che la voglia, che messer Nicia ha d’avere
figliuoli, non ci facci fare qualche errore;16 e per questo, sempre che lui mi ha
parlato di alcuna cosa,17 io ne sono stata in gelosia e sospesa,18 massime poi che
25 m’intervenne quello che vi sapete, per andare a’ Servi.19 Ma di tutte le cose, che si
son tentate, questa mi pare la più strana, di avere a sottomettere el corpo mio a
questo vituperio,20 ad esser cagione che uno uomo muoia per vituperarmi: perché
io non crederrei, se io fussi sola rimasa nel mondo e da me avessi a risurgere
l’umana natura,21 che mi fussi simile partito concesso.22
30 SOSTRATA Io non ti so dire tante cose figliuola mia. Tu parlerai al frate, vedrai
quello che ti dirà, e farai quello che tu dipoi sarai consigliata da lui, da noi, da
chi ti vuole bene.
LUCREZIA Io sudo per la passione.23

SCENA XI
35 Fra’ Timoteo, Lucrezia, Sostrata


FRATE Voi siate le ben venute. Io so quello che voi volete intendere da me perché
messer Nicia m’ha parlato. Veramente, io sono stato in su’ libri più di dua ore a
studiare questo caso; e, dopo molte essamine,24 io truovo di molte cose che, ed
in particulare ed in generale, fanno per noi.25
40 LUCREZIA Parlate voi da vero26 o motteggiate?27
FRATE Ah, madonna Lucrezia! Sono, queste, cose da motteggiare? Avetemi voi a
conoscere ora?28
LUCREZIA Padre, no; ma questa mi pare la più strana cosa che mai si udissi.

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FRATE Madonna, io ve lo credo,29 ma io non voglio che voi diciate più così. E’ sono
45 molte cose che discosto30 paiano terribili, insopportabili, strane, che, quando tu
ti appressi loro, le riescono31 umane, sopportabili, dimestiche;32 e però33 si dice
che sono maggiori li spaventi che e mali: e questa è una di quelle.
LUCREZIA Dio el34 voglia!
FRATE Io voglio tornare a quello, ch’io dicevo prima. Voi avete, quanto alla conscienzia,
50 a pigliare questa generalità,35 che, dove è un bene certo ed un male incerto,
non si debbe mai lasciare quel bene per paura di quel male. Qui è un bene certo,
che voi ingraviderete, acquisterete una anima a messer Domenedio; el male incerto
è che colui che iacerà, dopo la pozione, con voi,36 si muoia; ma e’ si truova
anche di quelli che non muoiono.37 Ma perché la cosa è dubia, però è bene che 
55 messer Nicia non corra quel periculo. Quanto allo atto, che sia peccato, questo
è una favola, perché la volontà è quella che pecca, non el corpo, e la cagione del
peccato38 è dispiacere al marito, e voi li compiacete; pigliarne piacere, e voi ne
avete dispiacere. Oltr’a di questo, el fine si ha a riguardare in tutte le cose: el fine
vostro si è riempiere una sedia in paradiso, e contentare el marito vostro. Dice la
60 Bibia che le figliuole di Lotto, credendosi essere rimase sole nel mondo usorono
con el padre; e, perché la loro intenzione fu buona, non peccorono.39
LUCREZIA Che cosa40 mi persuadete voi?
SOSTRATA Làsciati persuadere, figliuola mia. Non vedi tu che una donna, che non ha
figliuoli, non ha casa? Muorsi41 el marito, resta come una bestia, abandonata
65 da ognuno.
FRATE Io vi giuro, madonna, per questo petto sacrato,42 che tanta conscienzia43 vi
è ottemperare44 in questo caso al marito vostro, quanto vi è mangiare carne el
mercoledì, che è un peccato che se ne va con l’acqua benedetta.45
LUCREZIA A che mi conducete voi, padre?
70 FRATE Conducovi a cose, che voi sempre arete cagione di pregare Dio per me; e più
vi satisfarà questo altro anno che ora.46
SOSTRATA Ella farà ciò che voi volete. Io la voglio mettere stasera al letto io.
[A Lucrezia]
Di che hai tu paura, moccicona?47 E’ ci è cinquanta donne, in questa terra, che
75 ne alzerebbono le mani al cielo.48
LUCREZIA Io sono contenta:49 ma io non credo mai essere viva domattina.

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FRATE Non dubitar, figliuola mia: io pregherrò Iddio per te, io dirò l’orazione
dell’Angiolo Raffaello,50 che ti accompagni. Andate, in buona ora, e preparatevi
a questo misterio,51 che si fa sera.
80 SOSTRATA Rimanete in pace, padre.
LUCREZIA Dio m’aiuti e la Nostra Donna,52 che io non capiti male.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Lucrezia dunque si è convinta a sostituire la virtù con l’astuzia. Senza alternativa, alla fine ha preferito anche lei soggiacere alle leggi dominanti e fare buon viso a cattivo gioco.
L’artefice principale della sua metamorfosi è fra’ Timoteo. Lo conosciamo già dal suo monologo; solo, sulla scena, lo vediamo analizzare con acutezza ciò che è accaduto in precedenza, l’inganno orditogli da Ligurio: un inganno che, però, lo ha visto non vittima, ma, diremmo, complice (questo giunto è con mio utile, rr. 7-8). Per la sua disinvolta morale, questo basta e avanza. L’unica contromisura necessaria è il silenzio. Così chiede il mondo; e al mondo e ai suoi pseudo-valori, ipocrisia e malafede, il frate sceglie di adeguarsi con cinico opportunismo e, soprattutto, senza scrupoli di sorta.
Il suo nome, che in greco significa “colui che onora Dio”, concorre anch’esso a mistificare la realtà. Ciò che il frate onora è tutt’altro: il denaro e il guadagno. Il ruolo che le convenzioni sociali gli hanno attribuito è quello di confessore e dispensatore di consigli: un ruolo che il frate piega ai propri interessi. Ma Lucrezia non vuole sottomettere il proprio corpo a questo vituperio (rr. 26-27) ed essere responsabile della morte di un uomo: non è nemmeno convinta che l’adulterio sarebbe eticamente lecito se fosse la sola rimasa nel mondo e da lei avessi a risurgere l’umana natura (rr. 28-29).

A questo punto entra in gioco la dialettica untuosa del frate, che ha vita facile nello smontare le obiezioni morali di Lucrezia, utilizzando sapientemente la propria cultura teologica, unita a un’astuta retorica avvocatesca: non si deve rinunciare a un bene certo (dare un’anima a Dio e rendere felice il marito) per paura di un danno incerto (la morte probabile, ma non sicura, di un uomo). La figura di questo frate ricorda il don Abbondio di Manzoni, che nei Promessi sposi raggira con il suo latinorum il povero Renzo: analogamente Timoteo si serve in modo insinuante della propria dottrina e della religione, che diventa un tendenzioso strumento di corruzione. I riferimenti biblici (le figlie di Lot che si congiungono carnalmente al padre, la guida dell’arcangelo Raffaele) sono platealmente manipolati per conferire al consiglio quella sacralità religiosa di cui ha bisogno la pudica Lucrezia.

Lucrezia non è in grado di controbattere alle argomentazioni pronunciate da una tale autorità, anche perché alle considerazioni teologiche del frate si uniscono, su un altro fronte, quelle di buon senso della madre. Da navigata donna di mondo, Sostrata distilla perle di accomodante saggezza: la donna ne fa una questione di praticità (non è forse una sciagura per una moglie, una volta diventata vedova, rimanere senza casa e senza soldi?) e non sa rinunciare ad accennare al privilegio toccato in sorte alla figlia (E’ ci è cinquanta donne, in questa terra, che ne alzerebbono le mani al cielo, rr. 74-75). Combattuta su due fronti, Lucrezia è quindi messa all’angolo dalle argomentazioni del frate e della madre: il suo destino è segnato.

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Le scelte stilistiche

Nella scena XI, le abilità linguistiche del frate vengono rese da Machiavelli in modo magistrale. Lingua e carattere coincidono infatti alla perfezione. Da vero artista della parola, Timoteo si esercita abilmente nel raggiro facendo appello alle sue qualità di ipocrita affabulatore. Il suo linguaggio è una sapiente miscela di malizia e dottrina all’acqua di rose. Ora vanta la propria esperienza del mondo (E’ sono molte cose che discosto paiano terribili, rr. 44-45), ora se ne esce con proverbi popolareschi alla buona (sono maggiori li spaventi che e mali, r. 47). Allo stesso tempo, enfatizza il proprio ruolo di uomo di Chiesa citando la Bibbia senza curarsi di profanarla e promettendo a Lucrezia di intercedere per lei con le proprie preghiere.
Il tono e le parole da predicatore sortiscono alla fine l’effetto sperato. Dopo aver attenuato la gravità del peccato (la volontà è quella che pecca, non el corpo, r. 56), il frate può celebrare il proprio trionfo, chiudendo in bellezza la sua capziosa strategia dialettica: mistificando la realtà fino alla fine, trasforma il subdolo espediente studiato per far congiungere Lucrezia con uno sconosciuto in un sacro misterio (r. 79) da officiare con religiosa obbedienza.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Perché all’inizio fra’ Timoteo dice Io non so chi si abbi giuntato l’uno l’altro (r. 3)?


2 Messer Nicia non è presente alla discussione, ma viene spesso citato: che figura ne emerge dalle parole degli altri?

ANALIZZARE

3 Elenca gli argomenti usati dal frate per convincere Lucrezia a unirsi con Callimaco.


4 Quale registro stilistico e quali appigli culturali sostengono le argomentazioni di fra’ Timoteo?

INTERPRETARE

5 Nelle scene proposte e nell’intera commedia fra’ Timoteo è il personaggio che più di tutti esemplifica la concezione utilitaristica e opportunistica dell’esistenza descritta da Machiavelli. Rifacendoti anche alle battute pronunciate dal frate, illustra la mentalità su cui egli fonda la propria visione del mondo e dei rapporti umani.


6 Secondo il tuo personale punto di vista, indica gli aspetti positivi e quelli negativi di ciascun personaggio.


Personaggio
Aspetti positivi
Aspetti negativi
fra’ Timoteo






Lucrezia






Sostrata






PRODURRE

7 Trasformati in regista e affianca alle battute salienti delle scene antologizzate le movenze e la gestualità che chiederesti ai tuoi attori per rendere la loro recitazione efficace e rispondente alla caratterizzazione machiavelliana dei personaggi.


La tua esperienza

8 Ti è mai capitato (oppure è capitato ai tuoi amici) di trovarti in una situazione in cui c’era un bene certo ed un male incerto? Come ti sei comportato? Descrivilo in un testo di circa 30 righe.


I colori della letteratura - volume 1
I colori della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento