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La pazzia di Orlando
Canto XXIII, ott. 111-124; 129-136
Eccoci al centro del poema, con quello che è l’episodio più celebre e da cui l’opera stessa
prende il titolo. Dopo un aspro duello sostenuto con il saraceno Mandricardo, Orlando erra
due giorni, finché arriva sulle rive di un fiumicello, tutto costeggiato da prati, fiori, alberi.
Senza saperlo il paladino, innamorato di Angelica e sempre alla sua ricerca, è giunto proprio
nei luoghi in cui la donna aveva curato e guarito il fante saraceno Medoro, del quale
poi si era innamorata ed era divenuta moglie (canto XIX): lei che aveva rifiutato i più grandi
re del Levante, che era sfuggita ai più valenti paladini, si era unita a un semplice soldato.
Invitato dalla luminosità primaverile dei luoghi, Orlando smonta da cavallo e si gode la frescura
e la vegetazione. Ma, purtroppo per lui, lo attende una vista terribile: mentre contempla
i prati e il fiumicello, scorge, intagliati nella corteccia di diverse piante, i nomi di Angelica
e Medoro, e, per di più, vede quei nomi strettamente accostati l’uno all’altro e tra loro
intrecciati. Egli ne resta turbato, ma pensa – illudendosi – che Medoro possa essere un vezzeggiativo
attribuito da Angelica proprio a lui. Poi però, allontanatosi di poco dal boschetto,
scorge, all’ingresso di una grotta, un’incisione in cui Medoro canta il suo felice amore
per Angelica. L’epigrafe è scritta in arabo, e per sventura il conte capisce tanto bene quella
lingua quanto la propria. I suoi stessi occhi leggono dunque la rivelazione di quella che
lui considera una gravissima infedeltà da parte della sua amatissima Angelica. È questo il
motivo per cui la mente di Orlando viene sconvolta dalla pazzia.
METRO Ottave di endecasillabi con schema di rime ABABABCC.