Il Trecento – L'autore: Giovanni Boccaccio

CLASSICI a confronto

Dante, Petrarca e Boccaccio

I due maestri principali di Boccaccio sono stati Dante e Petrarca: dal primo egli riprende il realismo della rappresentazione e la fiducia nelle possibilità espressive del volgare; dal secondo il culto dei classici e una concezione della letteratura già per molti versi umanistica. Così Boccaccio trova una propria personalissima strada tra il passato (rappresentato da Dante, ancora uomo del Medioevo) e il futuro (Petrarca con il suo pre-Umanesimo).
Lo schema storiografico tradizionale voleva un Dante "tutto cielo", un Petrarca "sospeso tra cielo e terra" e un Boccaccio "tutto terra". In realtà tale schema è assai impreciso, perché Boccaccio è anche – come ha mostrato la critica più accorta – profondamente uomo del Medioevo, con tutto quello che ciò significa in termini culturali, ideologici e religiosi.

L’ammirazione per Petrarca

Nessuno come Boccaccio ha amato Dante e ammirato Petrarca, ma soprattutto di quest'ultimo egli subisce l'influsso, con un atteggiamento di devozione e umiltà. Si dice che leggendo alcune poesie di Petrarca, Boccaccio si fosse a tal punto vergognato delle proprie da distruggerle in massima parte. Malgrado i loro incontri e il costante scambio epistolare, Boccaccio non ha mai neppure accennato a Petrarca del suo Decameron, che forse considerava un'opera troppo inferiore (per i contenuti realistici e lo stile molto vario) perché potesse essere degna dell'attenzione dell'illustre letterato.

La preminenza del latino

Così Boccaccio si conforma all'idea di Petrarca per il quale possiedono un autentico valore letterario solo le opere scritte in latino. Quando la fama delle sue cento novelle inizia a crescere attorno a lui, Boccaccio pare quasi affannarsi a tacitarla, impegnandosi e affaticandosi a scrivere opere in latino.

Una rappresentazione "totale" della borghesia

Boccaccio sembra non comprendere che la vera novità della sua vasta produzione è costituita proprio dalle novelle del Decameron. La vera novità è anche il fatto che Boccaccio sia stato il primo a offrire una rappresentazione letteraria per così dire "totale" dell'universo borghese: quel mondo che Dante, nobile economicamente decaduto, disprezzava – Inferno, XVI, 73-75: «La gente nuova e i sùbiti guadagni / orgoglio e dismisura han generata, / Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni» (La gente arrivata da poco e i guadagni improvvisi hanno generato in te, o Firenze, orgoglio e sregolatezza, al punto che già piangi per questa situazione) – e che Petrarca, ancora figlio di una cultura cortese, letterato tutto assorto nei suoi studi e nelle sue meditazioni spirituali, non conosceva.

La Firenze dei banchieri e una nuova idea di nobiltà

Se Petrarca è un intellettuale il cui orizzonte è l'Europa, lo scenario dell'azione di Boccaccio, dopo il rientro da Napoli, è ancora il Comune di Firenze (ed è lo stesso orizzonte di Dante).
Nel contesto sociale della Firenze di Boccaccio – la città dei banchieri e della borghesia in ascesa – vengono poste le basi di una nuova concezione della nobiltà, che supera quella tradizionale legata all'aristocrazia dell'origine familiare e quella stilnovistica connessa al "cuore gentile", che Petrarca ancora condivideva. La nobiltà per Boccaccio è quella dell'ingegno, dell'intelligenza e persino dell'astuzia: una nobiltà, dunque, accessibile a tutti.

I colori della letteratura - volume 1
I colori della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento