Una fortuna immediata e duratura
La fortuna di Petrarca è da subito molto grande e ben presto si diffonde un’imitazione della sua poesia amorosa che prende il nome di Petrarchismo, fenomeno che si svilupperà poi soprattutto nel Cinquecento: da una parte fioriscono imitazioni più legate all’eleganza formale; dall’altro vi sono invece elaborazioni originali fuse con le più autentiche istanze culturali e letterarie del periodo, per esempio il platonismo. Petrarca diventa dunque il poeta più letto e imitato in tutta Europa tra Cinque e Seicento e resta un riferimento nella cultura europea – pur con momenti di minor fortuna – fino alle soglie del Romanticismo.
Tuttavia non mancano le voci critiche. Le polemiche intorno al valore dell’opera letteraria di Petrarca iniziano quando il poeta è ancora in vita; ciò porta Petrarca stesso a intervenire in difesa della propria opera e a chiarirne il messaggio culturale in un’ottica umanistica come si può riscontrare per esempio nell’epistola Alla posterità (► T4, p. 326). La stessa prospettiva è offerta da Boccaccio nella sua opera De vita et moribus
Francisci Petracchi de Florentia (Vita e costumi del fiorentino Francesco Petrarca), che rappresenta la prima biografia petrarchesca. Boccaccio, trascurando la produzione in volgare rispetto a quella latina, promuove l’immagine di un Petrarca filosofo morale e poeta epico-storico. Così le rime italiane passano in secondo piano come opere minori, in modo coerente, peraltro, allo stesso disinteresse che il poeta aveva ostentato nei loro confronti.
La diffusione quattrocentesca
L’Umanesimo quattrocentesco affina le conoscenze e lo studio filologico delle lettere latine e greche. Nel frattempo, tuttavia, si comincia a valorizzare la poesia in volgare. Così, a partire dalla seconda metà del XV secolo il Canzoniere viene “recuperato” e può trovare ampia diffusione. Lo stesso accade ai Trionfi, che interpretano alla perfezione il gusto classicistico del tempo, in particolare in virtù dei ricchi riferimenti storico-mitologici che li caratterizzano, e che diventano anche fonte d’ispirazione per la fantasia di pittori, incisori e miniaturisti.
Pietro Bembo e il Petrarchismo cinquecentesco
Quando, nel 1525, Pietro Bembo, una delle voci più autorevoli della cultura cinquecentesca – che nel 1501 aveva già curato una edizione del Canzoniere, stampata a Venezia da Aldo Manuzio –, dà alle stampe il trattato Prose della volgar lingua, la cultura poetica in volgare conosce un momento di grande fervore, praticando l’imitazione del Canzoniere petrarchesco come forma privilegiata di scrittura poetica. Bembo teorizza ciò che già stava avvenendo: chi avesse voluto scrivere poesie in volgare avrebbe dovuto imitare la lingua e lo stile di Petrarca.
Il Seicento e il rifiuto di Petrarca
La stagione d’oro di Petrarca e dei Petrarchisti termina nel Seicento. Se nella seconda metà del Cinquecento, Torquato Tasso ancora venerava e imitava Petrarca, con la diffusione del Barocco si delinea una sempre maggiore insofferenza nei confronti delle autorità culturali stabilite e dei valori letterari consacrati dalla tradizione.
Diminuiscono drasticamente le edizioni del Canzoniere, molte delle quali, secondo le indicazioni della Controriforma, escono “purgate” dei sonetti scritti da Petrarca in polemica con la Chiesa ai tempi della cattività avignonese.
Nel Settecento la “rivisitazione” di Alfieri
Con l’inizio del XVIII secolo, in virtù dei princìpi estetici di semplicità e grazia che vogliono superare il “cattivo gusto” barocco, come intendeva fare l’Accademia dell’Arcadia, Petrarca è di nuovo apprezzato, soprattutto nelle caratteristiche formali.
Lo scrittore e drammaturgo Vittorio Alfieri nelle sue Rime rivive la lezione etica e sentimentale di Petrarca, che viene da lui trasfigurata coscientemente. Egli cioè riprende alcune situazioni meditative petrarchesche, come l’amore per la natura solitaria o le incertezze esistenziali, per caricarle di una nuova forza tragica.