Al cuore della letteratura - volume 1

Il Trecento – L'opera: Decameron

San Ciappelletto: una riscrittura


Sono numerosissimi gli autori che nei secoli si sono cimentati in traduzioni o riscritture del Decameron, sino ai nostri giorni. Tra le produzioni contemporanee, proponiamo qui la riscrittura della novella di Ser Ciappelletto dovuta allo scrittore Piero Chiara (1913-1986) e contenuta nel volume Decamerone. Dieci novelle raccontate da Piero Chiara (di cui riportiamo anche – in parte – le note a piè di pagina).

[...] Musciatto Franzesi,1 dopo aver fatto fortuna in Francia, abbandonati gli affari, si dedicò alla politica e divenne uomo di corte. Creato gentiluomo dal re Filippo il Bello, nel 1301 venne inviato in Italia presso il papa Bonifacio2 insieme al fratello del re, Carlo detto il Senzaterra.3
Prima di mettersi in viaggio per Roma, Musciatto Franzesi provvide ad incaricare persone adatte alla liquidazione dei suoi affari in Francia, ma non trovò nessuno al quale affidare la riscossione di molti crediti che aveva in Borgogna,4 terra di gente litigiosa e sleale. Gli venne allora in mente un certo ser Cepparello Diotallevi,5 toscano di Prato, che viveva in Francia e spesso gli capitava in casa.
Cepparello, che i francesi chiamavano Ciappelletto, era notaio ma viveva ai margini della legge, servendo imbroglioni e truffatori. Pronto a rogare6 atti falsi, spergiuro e violento, bestemmiatore e frequentatore di taverne, era sempre disposto a dar mano in ogni malefatta. Aveva avuto parte perfino in omicidi e ferimenti. Schernitore di Dio e dei santi, ladro e farabutto, sconcio bevitore e giocatore di vantaggio,7 si può dire, senza dilungarci di più, che fosse il peggiore uomo che mai nascesse. Proprio quel che occorreva a Messer Musciatto, che gli diede regolare procura8 e lo mandò in Borgogna, appoggiandolo presso due fratelli fiorentini che in quelle terre vivevano prestando denaro ad usura.
Ospitato dai due fratelli, Ciappelletto aveva cominciato il suo lavoro, quando cadde gravemente ammalato. Vennero subito chiamati dei medici che fecero di tutto per curarlo, ma senza risultato, perché il suo male era grave e certamente mortale. L'età, gli strapazzi e più che altro gli stravizi, l'avevano così mal ridotto, che nessun medico avrebbe potuto ridargli la salute.
«Cosa dobbiamo fare?» si chiedevano i due fratelli stando in una stanza vicina a quella del malato. «Se lo mandiamo a morire all'ospedale, la gente dirà che siamo delle carogne senza cuore. Se lo teniamo in casa e costui, da quel miscredente che è sempre stato, morirà senza confessarsi e comunicarsi,9 nessuna chiesa accetterà il suo corpo. Se poi si confessasse, sarebbe ancor peggio, perché sentendo le ignominie delle quali si è coperto, il confessore, inorridito, penserà di aver davanti il diavolo in persona. La voce si spargerà e noi che già siamo malvisti a cagione del nostro mestiere, saremo cacciati dal paese e magari messi a morte a furore di popolo».
Ciappelletto, al quale la malattia, come spesso avviene, aveva reso finissimo l'udito, chiamò a sé i due fratelli.

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«Ho sentito tutto» disse. «Quel che temete potrebbe in verità avvenire, ma io troverò modo che non avvenga. Vivendo ho fatto tante ingiurie a Domineddio,10 che anche se ne farò un'altra in punto di morte non cambierà nulla. Per cui vi prego di farmi venire qualche santo frate, il migliore che si trovi da queste parti, perché voglio confessarmi in modo da sistemare al meglio i fatti vostri e i miei».
Pur non aspettandosi nulla di buono da Ciappelletto, i due chiamarono da un convento vicino un santo frate, che postosi al capezzale del morente, dopo averlo confortato alquanto gli chiese da quanto tempo non si confessasse.
Ciappelletto, che non si era mai confessato in vita sua, rispose:
«Di solito mi confesso due o tre volte la settimana, ma ora, con la malattia, saranno otto giorni che non ho questo beneficio».
«Bravo» disse il frate «è una buona norma la tua. Anche perché così avrai ben poco da dirmi».
«Ma che dite mai!» esclamò Ciappelletto. «Ogni volta io mi confesso di tutti i peccati che ho commesso da quando sono nato».
Il frate lodò una così bella abitudine e cominciò a chiedergli se avesse mai peccato contro la purezza.
«Se non fosse vanagloria» fu la risposta «vi direi che io sono innocente come un bambino appena nato».
«Che tu sia benedetto!» esclamò il frate.
Gli domandò allora se avesse sulla coscienza dei peccati di gola.
«Purtroppo!» disse Ciappelletto. «Perché tre volte per settimana, dopo aver digiunato a pane e acqua, bevo l'acqua con lo stesso gusto che prova un ubriacone nel bere il vino. E anche il pane! Lo mangio troppo volentieri!».
«Figliolo mio» disse il frate. «Questi non sono peccati. Dopo il digiuno è giusto che si mangi e anche che ci si tolga la sete».
«Eh, no, padre mio! Le cose che si fanno in servizio di Dio non debbono dar piacere di nessuna sorte».
«È bene» disse allora il frate «che tu la pensi in questo modo. Sono proprio contento di trovare un cuore tanto puro. Non mi capitava da un gran pezzo. Ma dimmi, hai mai peccato d'avarizia?».
«Padre» rispose Ciappelletto sottovoce «non vorrei che voi, vedendomi in casa di questi usurai, pensaste che io sia della loro specie. Sono venuto qui solo per ammonirli e per distoglierli da quel loro brutto mestiere di prestar denaro tirando il collo alla povera gente. E ci sarei riuscito, se Iddio non mi avesse visitato con questo brutto male.11 In quanto a me, è vero, sono stato mercante e ho guadagnato, ma, tolto il necessario per vivere, il resto l'ho sempre dato ai poveri».
Non avendo nulla da rimproverargli, il frate passò a domandargli se fosse mai andato in collera.12
«E chi potrebbe non adirarsi» sbottò Ciappelletto «vedendo la gente che non osserva i comandamenti di Dio, i giovani che pensano solo a divertirsi, che non vanno in chiesa e seguono le pazzie del mondo invece della legge del Signore?».
«Questa» disse il frate «non è collera. È santa indignazione. Ma non è che ti sia capitato mai di commettere per esempio qualche omicidio o di far violenza a qualcuno, magari solo per difenderti...».

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«Ma vi pare, padre, che Dio m'avrebbe sostenuto e protetto per tanti anni se mi fosse passato per il capo anche solo il pensiero di far cose simili?».
«Dimmi allora: hai fatto testimonianze false, hai mai detto male di qualcuno, hai mai sottratto cose altrui?».
«Sì!» esclamò Ciappelletto. «Almeno una di queste cose l'ho fatta. Avevo un vicino, che quando era ubriaco batteva la moglie. Ebbene, ho avvertito i parenti di quella poveretta».
«Dovevi farlo! L'avrei fatto anch'io» disse il frate.
«Mi hai detto che sei stato mercante» gli disse poi. «Hai mai ingannato qualche cliente?».
«Gnaffe!»13 esclamò Ciappelletto. «Avete colto giusto, stavolta! Un cliente, pagandomi del panno14 che gli avevo venduto, mi aveva dato per sbaglio alcuni soldi in più del dovuto senza che me ne avvedessi. Quando me ne accorsi, cercai quel cliente per restituirgli il suo, ma non lo trovai. Era partito per chissà dove. Diedi allora quei pochi soldi ai poveri».
«Hai fatto benissimo» disse il frate. «Non potevi comportarti meglio. Sei un buon figliolo e non mi resta che darti la più ampia delle assoluzioni».
«Piano, piano» lo fermò Ciappelletto. «Ho dell'altro da dirvi: una volta ho fatto lavorare un servo a scopar la casa di domenica».
«È tutto qui?».
«Come! Vi pare poco? Non rispettare la domenica, il giorno in cui nostro Signore resuscitò e sali al Cielo? E poi, sentite quest'altra: un giorno che ero in chiesa, stavo così assorto nella preghiera che, venendomi uno sputo, lo lasciai cadere sul pavimento».
Il frate cominciò a ridere. «Noi» disse «che siamo religiosi, se ci viene da sputare, sputiamo. Che diamine!».
«Sputate?» disse Ciappelletto sgranando gli occhi.
«Sputate in chiesa? Nella casa di Dio?».
Ciappelletto non se ne voleva persuadere, ma poi tacque e come preso da una nuova angoscia, cominciò a piangere.
Il frate, che lo andava consolando, vedendolo affannato gli chiese se sentisse male in qualche parte. Ma Ciappelletto, alzando gli occhi al cielo, gli fece capire che non si trattava del corpo, ma dell'anima. Non trovava la forza per sgravarsi di un gran peso che aveva sulla coscienza.
«Figliolo» gli disse il frate che finalmente aveva capito «anche se tu avessi sulla coscienza tutti i peccati del mondo, il pentimento che dimostri ti otterrebbe di sicuro la misericordia di Dio».
Senza dargli retta e piangendo sempre più forte, Ciappelletto disse:
«Inorridite! Inorridite! Quando ero piccolino, una volta ho ingiuriato mia madre!».
«Non è poi questo gran peccato» lo rassicurò il frate. «Gli uomini bestemmiano continuamente Dio, che è cosa ben più grave. Eppure se si pentono, Dio li perdona. Non vuoi che passi sopra a una mala15 parola che avrai detto a tua madre? La tua contrizione16 è tale, che ti perdonerebbe anche se tu fossi uno di quelli che l'hanno messo in croce!».

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«La mamma! La mamma!» andava balbettando Ciappelletto «la mia mamma! Così dolce, così cara! Ho offeso la mia mamma! Se voi non pregherete Dio per me, non sarò mai perdonato!».
«Su, su» disse il frate. «Non dirmi altro, che un bravo uomo come te non l'ho mai trovato. Ecco che io ti assolvo in nome di Dio da ogni peccato e ti benedico per omnia secula seculorum.17 Ma ora vorrei chiederti qualche cosa d'altro genere: tu certamente guarirai, ma se, Dio non voglia, la tua anima così ben disposta e preparata dovesse salire al Cielo, ti dispiacerebbe venir sepolto nella chiesa del nostro convento?».
«In nessun altro luogo, padre, vorrei avere sepoltura, perché so che voi pregherete sulla mia tomba e poi perché sono stato sempre devoto del vostro Ordine. Portatemi subito il santissimo corpo di Cristo, che io mi possa comunicare. Poi amministratemi l'estrema unzione, che abbia a morire da cristiano anche se sono vissuto da peccatore».
I due fratelli, che avevano origliato dietro la porta, erano esterrefatti.
«Che uomo è questo» si dicevano «se né la vecchiaia, né l'infermità e neppure l'imminenza della morte, può fargli paura?». Ma avendo capito che Ciappelletto aveva veramente accomodato le cose in modo da non recar loro alcuna noia, se ne stimarono più che contenti.
Intanto il frate, andatosene al convento, tornò col Santissimo,18 comunicò Ciappelletto e gli diede l'estrema unzione. Fece appena in tempo, perché il malato prima di notte spirò.
II frate corse subito al convento a far suonare le campane e spiegò ai suoi confratelli quale santo uomo era venuto a morire vicino a loro. I confratelli furono d'accordo nel rendere grandi onoranze al defunto e, indossati i piviali,19 andarono in processione a prenderne il corpo, che deposero davanti all'altare.
Tutto il popolo accorse e il padre che aveva ricevuto la confessione di Ciappelletto, salito sul pergamo,20 parlò della vita esemplare del morto, dei suoi digiuni, della sua santa ingenuità ed innocenza. Raccontò l'episodio della madre che il poveretto credeva di aver offeso e tuonò:
«E voi, maledetti da Dio, bestemmiate per cose da nulla non solo Dio e la Madre sua, ma tutta la corte del paradiso!».
Si sparse tanto la fama della santa vita e della santa morte di Ciappelletto, che cominciò ad accorrer gente al convento anche da lontano. Chi gli baciava le mani, chi i piedi, chi gli strappava i panni di dosso per farne reliquie.
Il giorno appresso Ciappelletto fu seppellito solennemente in un'arca21 di marmo, alla quale convennero in gran folla i devoti da tutta la Borgogna ad accendergli dei lumi, ad adorarlo e a impetrarne l'intercessione, spesso con buoni risultati, tanto che gli vennero attribuiti vari miracoli e fu tenuto per santo. Tale infatti è la misericordia di Dio, che non solo può redimere all'ultimo momento un delinquente di tal fatta, ma arriva al punto di esaudire chi lo prega anche nel nome di un Ciappelletto, perché chi si rivolge a Lui in buona fede è sempre ascoltato, anche se per umano errore si fa raccomandare da un diavolo invece che da un santo.
Giornata I, Novella I

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