La tensione spirituale

Il Trecento – L'autore: Francesco Petrarca

La tensione spirituale

Uno dei temi portanti della produzione di Petrarca è la descrizione del proprio tormento interiore, l’incapacità di risolvere il dissidio profondo tra vita spirituale e passioni mondane, tra scelta religiosa e gloria letteraria. L’incessante inquietudine si esprime (per esempio nel Secretum) nei lunghi viaggi, nella ricerca, nella riflessione e nella capacità analitica di trasporre nei testi questa ricerca, senza che il poeta nasconda lo smarrimento di non riuscire a pacificare la propria interiorità.

A tratti egli sa riconoscere i limiti delle proprie aspirazioni fondate su obiettivi caduchi e su passioni effimere, ma non riesce a imboccare senza incertezze la via della santità. D’altronde la sua interpretazione del messaggio cristiano lo porta a vivere una religiosità tutta interiore, ma nutrita delle esperienze e delle bellezze offerte dalla vita umana: la costante meditazione su sé stesso non gli fa infatti abbracciare il misticismo tradizionale né tanto meno lo induce ad assorbire la propria morale in quella ufficiale e dogmatica della Chiesa.
Si afferma così una visione nuova dell’intellettuale cristiano, che ormai vive dentro un orizzonte laico, interrogandosi sui valori dell’umanità e soprattutto mediando (o almeno tentando di mediare) nella propria cultura la sapienza dei tanto amati scrittori antichi con una rinnovata spiritualità da alimentare grazie al primigenio insegnamento evangelico.

Per Petrarca non contano tanto la teologia e la pratica esteriore della religione: si rileva invece necessaria una sorta di devozione moderna, che arricchisca il rispetto dei comandamenti della legge di Dio con quella nobile occupazione che è la conoscenza di sé e del proprio ruolo nel mondo reale. Per questa ragione lo studio dei classici costituisce una vera e propria scelta di vita, che richiede la stessa abnegazione necessaria nella vita contemplativa del chiostro.

Come scrive nel trattato De vita solitaria, l’isolamento dello studioso rappresenta la chiave per liberarsi dai vincoli mondani e raggiungere così una profondità di riflessione che è il dovere più alto di un intellettuale laico. Realizzando l’ideale di una tranquilla esistenza libera dalle preoccupazioni di ordine pratico e dagli interessi materiali, il poeta può così cogliere nella solitudine e nel silenzio (cantati anche in alcuni sonetti del Canzoniere, nel trattato De otio religioso e nell’epistola dell’ascesa al Mont Ventoux) la condizione più favorevole per una vita terrena dedita alla meditazione e alle gioie dello spirito, finalmente lontana dai pericoli e dalle tentazioni del mondo.

 T3 

L’ascesa al Mont Ventoux

Familiares, IV, 1


La lettera è indirizzata all’amico Dionigi da Borgo San Sepolcro, che gli aveva regalato una copia delle Confessioni di sant’Agostino, citate nella lettera. Il poeta aveva conosciuto il religioso probabilmente nel 1333 a Parigi, dove il frate agostiniano insegnava teologia e filosofia nel celebre Studio di quella città. Petrarca ripercorre l’esperienza di un’ascensione al Mont Ventoux, poco lontano da Avignone, compiuta con il fratello Gherardo. In realtà, dal lungo racconto che narra le difficoltà del cammino, la fatica di raggiungere la cima e i diversi stati d’animo dei due protagonisti, emergono le difficoltà dell’autore, in una sorta di riflessione autobiografica che tocca tutte le questioni più importanti della sua vita e del suo pensiero.

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A Dionigi da San Sepolcro dell’ordine di sant’Agostino e professore della sacra pagina. Sui propri affanni.

Oggi, spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono
salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Da
molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola
le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall’infanzia e questo
5 monte, che a bell’agio1 si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre
negli occhi. Ebbi finalmente l’impulso di realizzare ciò che mi ripromettevo ogni
giorno, soprattutto dopo essermi imbattuto, mentre giorni fa rileggevo la storia
romana di Livio,2 nel passo cui il re dei Macedoni Filippo – quello che fece guerra
con Roma – salì sull’Emo, monte della Tessaglia,3 e di lassù credette di vedere,
10 secondo4 si diceva, due mari, l’Adriatico e l’Eusino.5 […] Ma per tornare ora al Ventoso,
mi è sembrato scusabile in un giovane di condizione privata quello che non fu
biasimato in un vecchio re. Senonché, quando dovetti pensare a un compagno di
viaggio, nessuno dei miei amici, meravigliati pure, mi parve in tutto adatto: tanto
rara, anche tra persone care, è una perfetta concordia di volontà e di indoli. Questi
15 era troppo pigro, quello troppo vivace; questi era troppo fiacco, quello troppo svelto;
questi troppo sventato, quello troppo prudente rispetto a quanto desiderassi;
di questo mi spaventava il silenzio, di quello la loquacità; di questo la pesantezza
e la pinguedine,6 di quello la magrezza e la debolezza; di questo mi deprimeva la
fredda indifferenza, di quello l’ardente attività; tutti difetti che, sebbene gravi, in
20 casa si sopportano (tutto compatisce l’affetto7 e l’amicizia non rifiuta alcun peso),
ma che in viaggio divengono troppo pesanti. E così, esigente com’ero e desideroso
di un onesto svago, pur senza offendere in nulla l’amicizia, mi guardavo intorno
soppesando il pro e il contro, silenziosamente rifiutando tutto quello che mi pareva
potesse intralciare la gita progettata. Finalmente – che pensavi? – mi rivolgo
25 agli aiuti di casa e mi confidai con l’unico fratello,8 di me più giovane e che tu ben
conosci. Nulla avrebbe potuto ascoltare con maggiore letizia, felice di potersi considerare,
verso di me, fratello ed amico.
Partimmo da casa il giorno stabilito e a sera eravamo giunti a Malaucena,9
alle falde del monte, verso settentrione. Qui ci fermammo un giorno ed oggi, finalmente,
30 con un servo ciascuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento. La
mole del monte, infatti, tutta sassi, è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben
disse il poeta che «l’ostinata fatica vince ogni cosa».10 Il giorno lungo, l’aria mite,
l’entusiasmo, il vigore, l’agilità del corpo e tutto il resto ci favorivano nella salita;
ci ostacolava soltanto la natura del luogo. In una valletta del monte incontrammo
35 un vecchio pastore che tentò in mille modi di dissuaderci dal salire, raccontandoci
che anche lui, cinquant’anni prima, preso dal nostro stesso entusiasmo giovanile,
era salito fino alla vetta, ma che non ne aveva riportato che delusione e fatica, il
corpo e le vesti lacerate dai sassi e dai pruni, e che non aveva mai sentito dire che

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altri, prima o dopo di lui, avesse ripetuto il tentativo. Ma mentre ci gridava queste
40 cose, a noi – così sono i giovani, restii a ogni consiglio – il desiderio cresceva per
il divieto. Allora il vecchio, accortosi dell’inutilità dei suoi sforzi, inoltrandosi un
bel po’ tra le rocce, ci mostrò col dito un sentiero tutto erto, dandoci molti avvertimenti
e ripetendocene altri alle spalle, che già eravamo lontani. Lasciate presso di
lui le vesti e gli oggetti che ci potevano essere d’impaccio, tutti soli ci accingiamo a
45 salire e ci incamminiamo alacremente.11 Ma come spesso avviene, a un grosso sforzo
segue rapidamente la stanchezza, ed eccoci a sostare su una rupe non lontana.
Rimessici in marcia, avanziamo di nuovo, ma con più lentezza; io soprattutto, che
mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello, per
una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più in alto. Io, più fiacco,
50 scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più diritto, rispondevo
che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte del monte
e che non mi dispiaceva di fare una strada più lunga, ma più piana. Pretendevo
così di scusare la mia pigrizia e mentre i miei compagni erano già in alto, io vagavo
tra le valli, senza scorgere da nessuna parte un sentiero più dolce; la via, invece,
55 cresceva e l’inutile fatica mi stancava. Annoiatomi e pentito oramai di questo girovagare,
decisi di puntare direttamente verso l’alto e quando, stanco e ansimante,
riuscii a raggiungere mio fratello, che si era intanto rinfrancato con un lungo riposo,
per un poco procedemmo insieme. Avevamo appena lasciato quel colle che
già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato verso il basso, e
60 mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante,
ecco che ricado in gravi difficoltà. Volevo differire12 la fatica del salire, ma la natura
non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di corporeo raggiunga
l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di mio fratello e nel
mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più. Deluso, sedevo spesso in qualche
65 valletta e lì, trascorrendo13 rapidamente dalle cose corporee alle incorporee, mi
imponevo riflessioni di questo genere: «Ciò che hai tante volte provato oggi salendo
su questo monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che vogliono accostarsi alla
beatitudine; se gli uomini non se ne rendono conto tanto facilmente, ciò è dovuto
al fatto che i moti del corpo sono visibili, mentre quelli dell’animo sono invisibili
70 e occulti. La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono,14
è la strada che vi conduce. Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù
dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine
verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. Tutti vogliono giungervi, ma come
dice Ovidio,15 “volere è poco; occorre volere con ardore per raggiungere lo scopo”.
75 Tu certo, se non ti sbagli anche in questo come in tante altre cose, non solo vuoi,
ma vuoi con ardore. Cosa dunque ti trattiene? Nient’altro, evidentemente, se non
la strada più pianeggiante che passa per i bassi piaceri della terra e che a prima vista
sembra anche più agevole; ma quando avrai molto vagato, allora sarai finalmente
costretto a salire sotto il peso di una fatica malamente differita verso la vetta della
80 beatitudine, oppure a cadere spossato nelle valli dei tuoi peccati; e se mai – inorridisco
al pensiero – le tenebre e l’ombra della morte lì dovessero coglierti, dovrai

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vivere una notte eterna in perpetui tormenti».16 Non so dirti quanto tale pensiero
mi rinfrancasse anima e corpo per il resto del cammino. E potessi compiere con
l’anima quel viaggio cui giorno e notte sospiro così come, superata finalmente
85 ogni difficoltà, oggi l’ho compiuto col corpo! E io non so se quello che in un batter
d’occhio e senza alcun movimento locale può realizzare l’anima di sua natura
eterna e immortale,17 debba essere più facile di quello che si deve invece compiere
in una successione di tempo, con il concorso di un corpo destinato a morire e sotto
il peso grave delle membra.
90 C’è una cima più alta di tutte, che i montanari chiamano il “Figliuolo”; perché
non so dirti; […]. Dapprima, colpito da quell’aria insolitamente leggera e
da quello spettacolo grandioso, rimasi come istupidito. […] Ma ecco entrare in
me un nuovo pensiero che dai luoghi mi portò ai tempi: «Oggi – mi dicevo – si
compie il decimo anno da quando, lasciati gli anni giovanili, hai abbandonato
95 Bologna: Dio immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati nel frattempo
i cambiamenti della tua vita! Così tanti che non ne parlo; del resto non sono ancora
così sicuro in porto da rievocare le passate tempeste. Verrà forse un giorno
in cui potrò enumerarle nell’ordine stesso in cui sono avvenute, premettendovi
le parole di Agostino: «Voglio ricordare le mie passate turpitudini, le carnali corruzioni
100 dell’anima mia, non perché le ami, ma per amare te, Dio mio».18 Troppi
sono ancora gli interessi che mi producono incertezza ed impaccio. Ciò che ero
solito amare,19 non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di
nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la
verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare;
105 amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione,20 nel pianto, nella sofferenza.
In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta:21 «Ti odierò,
se posso; se no, t’amerò contro voglia». […] Questi ed altri simili erano i pensieri,
padre mio,22 che mi ricorrevano nella mente. Gioivo dei miei progressi, piangevo
sulle mie imperfezioni, commiseravo la comune instabilità delle azioni umane; e
110 già mi pareva d’aver dimenticato il luogo dove mi trovavo e perché vi ero venuto,
quando, lasciate queste riflessioni che altrove sarebbero state più opportune, mi
volgo indietro, verso occidente, per guardare ed ammirare ciò ch’ero venuto a vedere:
m’ero accorto infatti, stupito, che era ormai tempo di levarsi, che già il sole
declinava e l’ombra del monte s’allungava. I Pirenei, che sono di confine tra la
115 Francia e la Spagna, non si vedono di qui, e non credo per qualche ostacolo che
vi si frapponga, ma per la sola debolezza della nostra vista; a destra, molto nitidamente,
si scorgevano invece i monti della provincia di Lione, a sinistra il mare
di Marsiglia e quello che batte Acque Morte,23 lontani alcuni giorni di cammino;
quanto al Rodano, era sotto i nostri occhi. Mentre ammiravo questo spettacolo
120 in ogni suo aspetto ed ora pensavo a cose terrene ed ora, invece, come avevo fatto

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con il corpo, levavo più in alto l’anima, credetti giusto dare uno sguardo alle
Confessioni di Agostino, dono del tuo affetto,24 libro che in memoria dell’autore e
di chi me l’ha donato io porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d’infinita
dolcezza. Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina
125 poteva capitarmi che non fosse pia o devota? Era il decimo libro. Mio fratello,
che attendeva per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo.
Lo chiamo con Dio a testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: «e
vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie
correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano
130 sé stessi».25 Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello che desiderava udire altro
di non disturbarmi, chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che
ancora provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli stessi filosofi
pagani, 26 avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte
alla cui grandezza non c’è nulla di grande.
135 Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi
della mente in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa:
quelle parole tormentavano il mio silenzio. Non potevo certo pensare che tutto
fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto
per me, non per altri: tanto più che ricordavo ciò che di sé stesso aveva pensato
140 Agostino quando, aprendo il libro dell’Apostolo, come lui stesso racconta, lesse
queste parole: «non gozzoviglie ed ebbrezze, non lascivia e impudicizie, non risse
e gelosia, ma rivestitevi del signore Gesù Cristo, e non seguite la carne nelle sue
concupiscenze». 27 […]

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Nella lettera è presente una corposa simbologia: Petrarca la data al 26 aprile, giorno in cui nell’anno 1336 ricorreva il Venerdì Santo, momento di penitenza e di ricerca della redenzione; cerca aiuto nelle Confessioni di sant’Agostino, per lui fonte di riflessione e di aiuto; cammina accanto al fratello Gherardo, che simboleggia le certezze di fede. Ma è la salita stessa al Mont Ventoux ad assumere un valore allegorico: il faticoso cammino di Petrarca indica il tentativo dell’uomo di avvicinarsi a Dio. Nel racconto dell’ascesa si evidenzia molto presto una differenza di comportamento tra Francesco e Gherardo. Se quest’ultimo cerca il cammino più diretto, Petrarca preferisce un sentiero più agevole e la strada più lunga, ma più piana (rr. 51-52). Tuttavia l’apparenza inganna e ben presto il poeta si accorgerà che l’itinerario scelto lo conduce attraverso giri viziosi e impervi fianchi della montagna, che sembrano riflettere l’oscillante indecisione che affligge il suo spirito. Così, mentre la più faticosa ma sicura via di Gherardo lo porta verso la cima e quindi, fuor d’allegoria, all’approdo della monacazione, quella in cui si dibatte Francesco diventa agli occhi della sua coscienza lo specchio dell’irresolutezza del proprio animo, incapace di sottrarsi senza titubanze ai valori terreni.

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Le scelte stilistiche

Dal punto di vista della costruzione narrativa, l’episodio dell’incontro con l’anziano pastore che prova a scoraggiare Francesco e suo fratello dalla salita alla cima (rr. 34-45) ha quasi il ruolo di una prolessi*, nel senso che evidenzia il rischio di un fallimento, quale, per certi aspetti, almeno parzialmente risulterà per Petrarca quell’escursione.

La lettera offre un interessante esempio di intertestualità, cioè di riferimenti ad altre opere, che vengono citate nel testo. Ne emerge una sorta di piccola “biblioteca” di Petrarca lettore, prima che scrittore. In un suggestivo gioco di specchi, egli racconta di avere aperto a caso le Confessioni di Agostino, leggendovi parole che sembrano scritte apposta per lui, così come Agostino aveva aperto a caso il libro dell’Apostolo (cioè le Lettere di san Paolo), trovandovi espressioni che sembravano adeguarsi perfettamente alla sua situazione (rr. 137-143).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Nel ripercorrere il fitto intarsio di citazioni, prova a rispondere alle seguenti domande: quale invito riceve Francesco da Agostino? Quale Agostino da san Paolo?


2 Da che cosa Petrarca si sente attratto, nonostante la sua coscienza morale gliene rinfacci il carattere illecito?

ANALIZZARE

3 Elenca gli autori a cui si fa diretto riferimento, distinguendoli tra pagani e cristiani e disponendoli in ordine cronologico.


4 A quale espediente retorico ricorre l’autore per riportare le proprie riflessioni? Indica i punti del testo.

INTERPRETARE

5 Quali aspetti del carattere di Petrarca puoi dedurre dalle sue perplessità, da lui stesso riferite, sulla scelta dei compagni per l’escursione?


6 Che cosa significa l’espressione a noi […] il desiderio cresceva per il divieto (rr. 40-41)?


7 Dal punto di vista allegorico che cosa può significare il diverso approccio di Francesco e di Gherardo alla medesima esperienza dell’ascesa al monte?

PRODURRE

La tua esperienza

8 In questo testo Francesco e Gherardo affrontano diversamente il cammino verso la cima del monte, il primo cercando una strada più piana, il secondo procedendo sicuro sul sentiero segnato. Quale dei due personaggi rispecchia maggiormente il modo in cui affronti i tuoi obiettivi? Motiva la tua risposta in un breve scritto (circa 20 righe), citando frasi dal testo a supporto delle tue riflessioni.


Un luogo tra letteratura e sfida con la natura: il Mont Ventoux

Il Mont Ventoux, 1912 metri di altezza, è chiamato il “Gigante della Provenza” ed è una meta impegnativa sia nell’alpinismo sia nel ciclismo, avendo un dislivello di oltre 1600 metri su una distanza complessiva di circa 22 chilometri. Petrarca pare essere stato uno dei primi a raggiungere la cima del monte che, dopo di lui, ha acquistato un nuovo significato, poiché l’impresa del poeta è uscita dal puro ambito letterario e viene citata in molti testi di alpinismo come esempio di sfida con sé stessi di fronte a un percorso accidentato e difficile.

Al cuore della letteratura - volume 1
Al cuore della letteratura - volume 1
Dalle origini al Trecento