Al cuore della letteratura - volume 1

Le origini e il Duecento – L'opera: Divina Commedia

 T21 

Invocazione alla costellazione dei Gemelli

Paradiso, XXII, 112-138; 151-154


Sin da giovane precocemente consapevole del proprio talento, Dante ne scruterà i segni anche in cielo, credendo – come la maggior parte degli uomini medievali – nel potere delle stelle, nello zodiaco, cioè in quella che oggi chiamiamo astrologia.
Nel canto XXII del Paradiso ricorda di essere nato sotto la costellazione dei Gemelli, alla quale indirizza un’invocazione. Poi contempla dall’alto, con distacco, la Terra che, vista da lì, appare sotto tutto un altro aspetto: decisamente meno grandiosa e imponente.

         O glorïose stelle, o lume pregno
         di gran virtù, dal quale io riconosco
114  tutto, qual che si sia, il mio ingegno,

         con voi nasceva e s’ascondeva vosco
         quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
117 quand’io senti’ di prima l’aere tosco;

         e poi, quando mi fu grazia largita
         d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
120  la vostra regïon mi fu sortita.

         A voi divotamente ora sospira
         l’anima mia, per acquistar virtute
123  al passo forte che a sé la tira.

         «Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,
         cominciò Bëatrice, «che tu dei
126  aver le luci tue chiare e acute;

         e però, prima che tu più t’inlei,
         rimira in giù, e vedi quanto mondo
129  sotto li piedi già esser ti fei;

         sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo
         s’appresenti a la turba trïunfante
132  che lieta vien per questo etera tondo».

 >> pag. 323 

         Col viso ritornai per tutte quante
         le sette spere, e vidi questo globo
135  tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;

         e quel consiglio per migliore approbo
         che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
138  chiamar si puote veramente probo. […]

         L’aiuola che ci fa tanto feroci,
         volgendom’io con li etterni Gemelli,
153  tutta m’apparve da’ colli a le foci;

         poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

In Inferno, XXXII, 73-111 (T19) ci troviamo fra i traditori politici. Il senso del contrappasso è chiaro: il ghiaccio (che è l’opposto del fuoco di carità) rimanda alla freddezza con cui costoro hanno tradito chi si fidava di loro. Un dannato si lamenta di essere stato urtato da Dante e ricorda la sconfitta dei guelfi a Montaperti. Il poeta gli si avvicina invitandolo a rivelare la propria identità. Poiché questi si rifiuta, Dante lo afferra per i capelli in modo minaccioso, finché un altro ne rivela il nome: Bocca degli Abati. Qui Dante partecipa così intensamente all’azione da non attendere – come è solito fare – l’assenso di Virgilio al colloquio con l’anima di Bocca e da lasciarsi andare a comportamenti decisamente violenti nei confronti del dannato. «Tale acredine […] è giustificata dal ricordo bruciante della sconfitta guelfa e fiorentina, dalla passionalità con cui Dante inscena la materia politica che lo tocca personalmente» (Pasquini-Quaglio). In altre parole, Dante-personaggio è qui completamente coinvolto in prima persona.

Se con i dannati dell’Inferno l’atteggiamento di Dante può essere di umana pietà (Paolo e Francesca, Brunetto Latini) o di polemica contrapposizione (si veda lo stesso episodio di Bocca degli Abati), nel Purgatorio il poeta si trova a condividere il cammino di espiazione delle anime. Dante-personaggio, cioè, partecipa al percorso di purificazione che lo renderà – come recita l’ultimo verso della cantica – «puro e disposto a salire a le stelle». Nelle varie cornici purgatoriali Dante prende sempre parte, indirettamente, alle pene e alle preghiere delle anime. Ma in alcuni casi più, in altri meno: in base a quanto sente di essere incline e cedevole nei confronti del particolare vizio che vi si espia. Evidentemente, conscio del proprio valore e del proprio talento, Dante rimproverava a sé stesso il peccato di superbia.

 >> pag. 324 

Quando in Purgatorio, XI (T20) il poeta incontra Oderisi e ne tesse le lodi, questi con un’umiltà della quale – confessa – non sarebbe stato capace in vita, dominato com’era da uno smodato desiderio di eccellere, risponde che Franco Bolognese lo ha superato nell’arte di miniare le pergamene. Tale è la sorte della effimera gloria umana: così anche Cimabue è superato da Giotto nella pittura e Guido Guinizzelli (oppure, secondo un’altra interpretazione, Guittone d’Arezzo) da Guido Cavalcanti (o Guido Guinizzelli) nella poesia, e forse è già nato chi a sua volta li supererà entrambi.
L’onore del mondo è volubile come vento che muta nome a seconda che spiri da un lato o dall’altro dell’orizzonte. Non rimane alcuna differenza tra uno che sia morto vecchio e un altro che sia morto bambino, quando siano passati mille anni. Uno spazio di tempo che ci sembra lunghissimo, se paragonato all’eternità non è più che un batter di ciglia. In questa riflessione Dante è parte attiva (non a caso partecipa all’espiazione: tutto chin con loro andava, v. 78), in quanto è toccato personalmente dal dramma della brevità della vita di fronte all’eternità e dal rischio, che ancora sussiste per lui che è vivo, di inorgoglirsi per la fama senza considerarne la caducità.

Quando Dante era entrato nel Purgatorio, l’angelo portiere gli aveva proibito di voltarsi. Adesso invece Beatrice lo spinge a guardare indietro. Ciò significa che il pellegrino ha conquistato una prospettiva sicura, grazie alla quale voltarsi indietro non rappresenta più, per lui, un pericolo. In altre parole, Dante ha raggiunto una libertà interiore dal peccato che lo mette al riparo dalle tentazioni terrene.
Si tratta di un passaggio cruciale, quello dai cieli planetari, condizionati dalla Storia, a una zona celeste legata alla dimensione dell’eternità. Così, purificatosi dalle proprie colpe e con lo sguardo libero da condizionamenti materiali, egli è in grado di vedere la Terra nella sua giusta dimensione: un puntino nell’universo (anche se – per l’uomo medievale – quel puntino è al centro dell’universo stesso).

Dante riprende qui un topos* classico già presente nel Somnium Scipionis (Il sogno di Scipione) dello scrittore latino Cicerone (I secolo a.C.), l’unica parte nota nel Medioevo (capitoli 9-29 del VI libro) del trattato De republica (Sullo Stato): Scipione l’Africano (il vincitore di Annibale a Zama nella seconda guerra punica) mostrava in sogno al nipote, Scipione Emiliano (il distruttore di Cartagine nella terza guerra punica), le sfere celesti e la Terra, e questi ricavava da tale visione dall’alto un analogo senso di svalutazione della supposta magnificenza del pianeta («mi apparve così piccola che mi venne una stretta al cuore nel vedere che il nostro impero non occupa che un piccolo punto di essa », Somnium Scipionis, VI, 16).
Nel brano che abbiamo riportato (T21) Dante-personaggio, attraverso il suo lungo viaggio, ha raggiunto in prima persona tale consapevolezza. Tuttavia non si può trascurare una differenza fondamentale: il valore che assume la visione di Dante è diverso da quello presente nel testo ciceroniano, poiché il poeta cristiano sottintende «il concetto, tutto religioso, di liberazione e di distacco dalle passioni terrene come prerequisito indispensabile per poter accedere alla visione dei beati e di Dio» (Messina-Sarpi).

 >> pag. 325 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Perché al v. 86 di Inferno, XXXII (T19) il dannato impreca contro Dante?


2 Qual era stata in vita l'attività di Oderisi da Gubbio (protagonista del brano di Purgatorio, XI, T20)?

  •   A   Poeta.
  •     Musico.
  •     Minatore.
  •     Autore di miniature.

3 Spiega il significato dei vv. 92-93 di Purgatorio, XI (T20).


4 Sintetizza le riflessioni che Dante compie contemplando la Terra dall’alto (T21).

ANALIZZARE

5 Come definiresti lo stile del brano di Inferno, XXXII (T19)?

  •   A   Tragico.
  •     Elegiaco.
  •     Comico-realistico.
  •     Lirico.

6 Ai vv. 79-81 di Purgatorio, XI (T20) Dante saluta Oderisi da Gubbio e ne indica l'arte con

  •   A   un iperbato.
  •     un’anastrofe.
  •     una metafora.
  •     una perifrasi.

7 Al v. 76 di Purgatorio, XI (T20) si trova

  •   A   un asindeto.
  •     un polisindeto.
  •     una subordinata temporale.
  •     una subordinata causale.

8 Quale figura sintattica puoi individuare al v. 115 di Paradiso, XXII (T21)?

  •   A   Un chiasmo.
  •     Un parallelismo.
  •     Un’anafora.
  •     Una metonimia.

INTERPRETARE

9 Il contrappasso della pena di Inferno, XXXII (T19) è per analogia o per contrasto?


10 Il contrappasso della pena di Purgatorio, XI (T20) è per analogia o per contrasto?


11 Perché nel brano di Inferno, XXXII (T19) Bocca degli Abati non vuole svelare a Dante la propria identità?


12 Perché al v. 105 di Inferno, XXXII (T19) il personaggio tiene gli occhi in giù raccolti?


13 Come possiamo spiegare l’epiteto di Frate (“fratello”) con cui al v. 82 di Purgatorio, XI (T20) Oderisi apostrofa Dante?


14 Nei vv. 98-99 di Purgatorio, XI, T20 (e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido) molti interpreti hanno visto un’allusione di Dante a sé stesso. Ti sembra possibile? Una simile interpretazione non sarebbe contraddittoria rispetto alla generale tematica del canto (Dante esalterebbe sé stesso e il proprio valore artistico mentre si stigmatizza il peccato di superbia)? Motiva la tua risposta.


15 Quale concetto sottolinea il paragone presente ai vv. 106-108 di Purgatorio, XI (T20)?

PRODURRE

16 Prendendo come spunto il brano di Purgatorio, XI (T20), rifletti sulla presenza della superbia nella società contemporanea. Chi sono i superbi di oggi? Un simile atteggiamento si manifesta anche tra le persone che conosci e frequenti? In quali modi si esprime? Di contro: nel mondo di oggi l’umiltà ti sembra sia ancora considerata un valore? Scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe.


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Dalle origini al Trecento