Percorso 3 - Dante personaggio

Le origini e il Duecento – L'opera: Divina Commedia

Percorso 3 – Dante personaggio

Inferno, XXXII, 73-111
T19

Purgatorio, XI, 73-108
 T20

Paradiso, XXII, 112-138; 151-154
 T21

Il fascino della Divina Commedia risiede nella sua complessità, nella vastità dell’impianto filosofico e culturale, che riassume e ricapitola l’intero sapere medievale, rendendolo però attraverso una visione generale assolutamente originale e in una forma poetica nuovissima. Il viaggio nell’oltretomba che Dante descrive interessa ogni altro uomo: il suo libro assurge così a exemplum (“racconto esemplare”) per portare l’umanità alla salvezza. Per questo la Commedia si pone quale «vital nodrimento» (Paradiso, XVII, 131) per tutti gli uomini.
Tuttavia l’opera riguarda in primo luogo il poeta nella sua individualità di persona, come testimoniano i numerosi passi incentrati sulla tematica dell’esilio (una vicenda assai personale, seppure emblematica dal punto di vista storico e morale), nonché la solenne investitura poetica che, insieme con lo scioglimento delle profezie a mano a mano raccolte nei canti precedenti, il poeta riceve nei canti centrali del Paradiso (XV-XVII) dal suo trisavolo Cacciaguida.

Di fatto nella Divina Commedia Dante è insieme autore (auctor) e personaggio (agens). Il personaggio Dante è colui che vive in prima persona le vicende narrate: lo troviamo sperduto e timoroso già nei primi versi del primo canto dell’Inferno. In tale veste egli ha una conoscenza parziale e limitata di quanto gli accade e delle esperienze che attraversa. L’autore Dante è invece colui che trascrive il racconto del viaggio dopo che esso ha avuto luogo e si è concluso, e che con la sua voce garantisce la verità della narrazione. La sua percezione dell’itinerario oltremondano è completa e così anche la sua interpretazione: Dante-autore assicura il significato provvidenziale del viaggio (Dio l’ha voluto per salvare lui e, insieme con lui, l’umanità intera) e il suo esito positivo (la salvezza è possibile per tutti come è stata possibile per la persona di Dante).

 >> pag. 318 

Quelli di Dante-agens e Dante-auctor sono due punti di vista diversi, che si intrecciano variamente nella narrazione. In generale possiamo dire che, mentre il viaggio si compie, diminuisce progressivamente la distanza tra il personaggio e l’autore, finché, al termine del percorso, le due entità finiranno per coincidere.

Accanto ai tanti personaggi raffigurati nel poema, il vero protagonista è dunque Dante stesso anche per il fatto che egli si pone, nel suo viaggio, come un uomo che è alla ricerca della verità e del proprio destino. E con lui via via si fanno coprotagonisti, in svariate forme, coloro che egli incontra scendendo negli abissi dell’Inferno, scalando le balze del Purgatorio, ascendendo di cielo in cielo nel Paradiso. Nei tre brani che presentiamo qui di seguito cercheremo di evidenziare tale dimensione di partecipazione, anche su un piano emotivo, del poeta agli episodi narrati.

 T19 

Bocca degli Abati

Inferno, XXXII, 73-111


Avremmo potuto scegliere molti altri passi dell’Inferno, anche più celebri, nei quali Dante tradisce la propria partecipazione psicologica di uomo alle vicende narrate (dall’episodio di Paolo e Francesca a quelli con Farinata o con Brunetto Latini). Ci siamo orientati invece, per l’alto grado di coinvolgimento emotivo da parte del poeta, sull’incontro con Bocca degli Abati, la cui anima è confinata nella seconda zona del nono cerchio, Antenora, riservata ai traditori della patria: conficcati nel ghiaccio del Cocito, questi hanno soltanto la testa al di fuori, rivolta verso il basso.
Bocca degli Abati è il fiorentino che aveva tradito la propria città a Montaperti (1260), dove i guelfi fiorentini furono sconfitti dai ghibellini senesi, capeggiati dal fuoriuscito fiorentino Farinata degli Uberti. Le cronache raccontano che all’inizio dello scontro di Montaperti Bocca degli Abati tagliò con la spada la mano di colui che impugnava la bandiera di Firenze, favorendo così la sconfitta dei guelfi suoi concittadini: i quali, vedendo abbattuta la propria insegna, si ritennero vinti prima del tempo.
Dante manifesta sdegno e disprezzo nei confronti di questo personaggio, macchiatosi di un peccato che egli ritiene tra i più gravi e ripugnanti, al punto che in Dante-autore sorge il dubbio che il violento gesto iniziale di Dante-personaggio – un colpo in faccia al dannato – non sia stato del tutto fortuito.

       E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo
       al quale ogne gravezza si rauna,
75  e io tremava ne l’etterno rezzo;

       se voler fu o destino o fortuna,
       non so; ma, passeggiando tra le teste,
78  forte percossi ’l piè nel viso ad una.

 >> pag. 319 

       Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?
       se tu non vieni a crescer la vendetta
81  di Montaperti, perché mi moleste?».

       E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,
       sì ch’io esca d’un dubbio per costui;
84  poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».

       Lo duca stette, e io dissi a colui
       che bestemmiava duramente ancora:
87  «Qual se’ tu che così rampogni altrui?».

       «Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,
       percotendo», rispuose, «altrui le gote,
90  sì che, se fossi vivo, troppo fora?».

       «Vivo son io, e caro esser ti puote»,
       fu mia risposta, «se dimandi fama,
93  ch’io metta il nome tuo tra l’altre note».

       Ed elli a me: «Del contrario ho io brama.
       Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
96  ché mal sai lusingar per questa lama!».

       Allor lo presi per la cuticagna,
       e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
99  o che capel qui sù non ti rimagna».

         Ond’elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
         né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti
102  se mille fiate in sul capo mi tomi».

         Io avea già i capelli in mano avvolti,
         e tratto glien’avea più d’una ciocca,
105  latrando lui con li occhi in giù raccolti,

         quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
         non ti basta sonar con le mascelle,
108  se tu non latri? qual diavol ti tocca?».

 >> pag. 320 

         «Omai», diss’io, «non vo’ che più favelle,
         malvagio traditor; ch’a la tua onta
111  io porterò di te vere novelle».

 T20 

Oderisi da Gubbio

Purgatorio, XI, 73-108


Nel canto XI del Purgatorio ci troviamo tra i superbi, che devono camminare circolarmente lungo la cornice, piegati sotto il peso di enormi macigni: i sassi abbassano, letteralmente, la tendenza all’esaltazione di sé, tipica del superbo.
Il canto si apre con la recita del Padre nostro da parte delle anime purganti, alla quale Dante- personaggio assiste. Mentre anch’egli va chino con gli altri (seppure il suo capo non sia gravato da alcun masso), dialoga con alcuni di loro. Tra questi, un famoso miniatore del Duecento, Oderisi da Gubbio, morto nel 1299.

       Ascoltando chinai in giù la faccia;
       e un di lor, non questi che parlava,
75  si torse sotto il peso che li ’mpaccia,

       e videmi e conobbemi e chiamava,
       tenendo li occhi con fatica fisi
78  a me che tutto chin con loro andava.

       «Oh!», diss’io lui, «non se’ tu Oderisi,
       l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
81  ch’alluminar chiamata è in Parisi?».

       «Frate», diss’elli, «più ridon le carte
       che pennelleggia Franco Bolognese;
84  l’onore è tutto or suo, e mio in parte.

 >> pag. 321 

       Ben non sare’ io stato sì cortese
       mentre ch’io vissi, per lo gran disio
87  de l’eccellenza ove mio core intese.

       Di tal superbia qui si paga il fio;
       e ancor non sarei qui, se non fosse
90  che, possendo peccar, mi volsi a Dio.

       Oh vana gloria de l’umane posse!
       com’ poco verde in su la cima dura,
93  se non è giunta da l’etati grosse!

       Credette Cimabue ne la pittura
       tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
96  sì che la fama di colui è scura.

       Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
       la gloria de la lingua; e forse è nato
99  chi l’uno e l’altro caccerà del nido.

         Non è il mondan romore altro ch’un fiato
         di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
102  e muta nome perché muta lato.

         Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
         da te la carne, che se fossi morto
105  anzi che tu lasciassi il “pappo” e ’l “dindi”,

         pria che passin mill’anni? ch’è più corto
         spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
108  al cerchio che più tardi in cielo è torto.
         […]».

Al cuore della letteratura - volume 1
Al cuore della letteratura - volume 1
Dalle origini al Trecento