Al cuore della letteratura - volume 1

Le origini e il Duecento – L'opera: Divina Commedia

 T16 

Guido da Montefeltro

Inferno, XXVII, 85-123


La vicenda di Guido da Montefeltro (da lui stesso raccontata a Dante in questi versi) offre al poeta l’occasione di insistere sulla decadenza e sulla responsabilità della Chiesa nel fomentare guerre e divisioni tra i cristiani. Guido viene convinto da Bonifacio VIII – definito, con notevole virulenza polemica, lo principe d’i novi Farisei – a offrirgli i suoi consigli affinché riesca a sconfiggere una fazione avversa, capeggiata dalla famiglia dei Colonna, contro la quale il pontefice aveva indetto addirittura una crociata (1297). L’uomo esita, poiché si è pentito dei precedenti consigli fraudolenti, e, dopo essere entrato nell’ordine francescano, si prepara a morire santamente. Ma Bonifacio lo persuade a fornirgli il suggerimento che gli serve, promettendogli un’assoluzione preventiva dal peccato che gli sta chiedendo di commettere. In particolare il poeta ritiene inefficace tale assoluzione, concessa per pura opportunità politica e in assenza di pentimento, e dunque facendo violenza a quel potere spirituale di cui il papa è indegno amministratore. Non a caso Guido verrà punito nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio tra i consiglieri fraudolenti.

       «[…]
       Lo principe d’i novi Farisei,
       avendo guerra presso a Laterano,
87  e non con Saracin né con Giudei,

       ché ciascun suo nimico era cristiano,
       e nessun era stato a vincer Acri
90  né mercatante in terra di Soldano,

       né sommo officio né ordini sacri
       guardò in sé, né in me quel capestro
93  che solea fare i suoi cinti più macri.

       Ma come Costantin chiese Silvestro
       d’entro Siratti a guerir de la lebbre,
96  così mi chiese questi per maestro

       a guerir de la sua superba febbre;
       domandommi consiglio, e io tacetti
99  perché le sue parole parver ebbre.

 >> pag. 309 

         E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;
         finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
102  sì come Penestrino in terra getti.

         Lo ciel poss’io serrare e diserrare,
         come tu sai; però son due le chiavi
105  che ’l mio antecessor non ebbe care”.

         Allor mi pinser li argomenti gravi
         là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
108  e dissi: “Padre, da che tu mi lavi

         di quel peccato ov’io mo cader deggio,
         lunga promessa con l’attender corto
111  ti farà trïunfar ne l’alto seggio”.

         Francesco venne poi, com’io fu’ morto,
         per me; ma un d’i neri cherubini
114  li disse: “Non portar: non mi far torto.

         Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
         perché diede ’l consiglio frodolente,
117  dal quale in qua stato li sono a’ crini;

         ch’assolver non si può chi non si pente,
         né pentere e volere insieme puossi
120  per la contradizion che nol consente”.

         Oh me dolente! come mi riscossi
         quando mi prese dicendomi: “Forse
123  tu non pensavi ch’io loïco fossi!”.
         […]».

Al cuore della letteratura - volume 1
Al cuore della letteratura - volume 1
Dalle origini al Trecento