Al cuore della letteratura - volume 1

Le origini e il Duecento – L'opera: Divina Commedia

 T15 

La descrizione dell’Empireo

Paradiso, XXX, 38-69


Con il canto XXX del Paradiso ci troviamo nell’Empireo, il cielo di pura luce che è immagine di Dio e dell’infinita felicità delle anime beate. Dante è circondato all’improvviso da un vivissimo fulgore che lo abbaglia: è il saluto di Dio, che precede la sua visione.
Nel passo che riportiamo il poeta scorge un fiume di luce dal quale escono scintille che si posano sui fiori e poi tornano nello straordinario gorgo luminoso. Tale spettacolo – a cui Dante può assistere in virtù di una particolare grazia divina, l’accrescimento delle normali facoltà sensibili (se i suoi sensi fossero quelli normali una simile visione lo accecherebbe o addirittura lo annienterebbe) – cela una realtà più profonda, che il poeta non può ancora vedere in forma svelata: in seguito la fiumana luminosa si muterà in un cerchio, mentre i fiori e le faville si riveleranno essere beati e angeli.
Lo stile si innalza qui al massimo livello: lo splendore della visione viene reso attraverso lo splendore della forma. La parola poetica è utilizzata al grado estremo della sua capacità semantica, poiché si tratta di descrivere una realtà ai limiti dell’indicibile.

       Ricominciò: «Noi siamo usciti fore
39  del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:

       luce intellettüal, piena d’amore;
       amor di vero ben, pien di letizia;
42  letizia che trascende ogne dolzore.

       Qui vederai l’una e l’altra milizia
       di paradiso, e l’una in quelli aspetti
45  che tu vedrai a l’ultima giustizia».

       Come sùbito lampo che discetti
       li spiriti visivi, sì che priva
48  da l’atto l’occhio di più forti obietti,

       così mi circunfulse luce viva,
       e lasciommi fasciato di tal velo
51  del suo fulgor, che nulla m’appariva.

       «Sempre l’amor che queta questo cielo
       accoglie in sé con sì fatta salute,
54  per far disposto a sua fiamma il candelo».

 >> pag. 301 

       Non fur più tosto dentro a me venute
       queste parole brievi, ch’io compresi
57  me sormontar di sopr’a mia virtute;

       e di novella vista mi raccesi
       tale, che nulla luce è tanto mera,
60  che li occhi miei non si fosser difesi;

       e vidi lume in forma di rivera
       fulvido di fulgore, intra due rive
63  dipinte di mirabil primavera.

       Di tal fiumana uscian faville vive,
       e d’ogne parte si mettìen ne’ fiori,
66  quasi rubin che oro circunscrive;

       poi, come inebrïate da li odori,
       riprofondavan sé nel miro gurge;
69  e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il breve episodio tratto dal canto XXII dell’Inferno (T13) mette in scena un litigio tra due diavoli, Calcabrina e Alichino. Il primo artiglia il secondo e, così uniti, piombano entrambi nel fossato di pece bollente, finché Barbariccia manda altri quattro demòni in loro soccorso.
È un episodio in sé comico, quanto al contenuto, ma – come ha notato la critica – è un comico senza sorriso e senza gioia. L’Inferno è infatti il regno dell’odio e della divisione (questo significa, del resto, il termine greco diàbolos: “colui che divide”), e tali sentimenti negativi riguardano anche gli stessi demòni: tra loro non c’è accordo né amicizia, bensì feroce violenza e cieca aggressività.

Il brano del canto II del Purgatorio (T14) descrive l’incontro tra Dante e un amico di gioventù, Casella. Si tratta di un musico (insieme musicista-compositore ed esecutore-cantore), ma di questo personaggio non sappiamo molto: all’incirca contemporaneo del poeta, dovette morire prima della primavera del 1300, cioè prima del viaggio dantesco immaginato nella Commedia. È possibile (ma non certo) che Casella avesse musicato i versi di Dante.

 >> pag. 302 

Il loro è un incontro tutto improntato a sentimenti di amicizia e di tenerezza. Il sorriso di Casella, così discreto, mostra l’affetto nei confronti del poeta. Egli parla con pacatezza di voce e di gesti: si notino la dolcezza e la premura che vibrano nell’avverbio soavemente (v. 85). Il canto di Casella si innalza dolce e consolatore per l’angoscia di Dante. Ed egli canta così piacevolmente, suscitando tanta commozione, che tutti fanno cerchio attorno a lui, dimentichi di ogni cosa, della morte e della stessa necessità di espiazione. Subito dopo, infatti, le anime verranno richiamate dal guardiano Catone al dovere del cammino.

Nel canto XXX del Paradiso (T15) Dante e Beatrice passano dal Primo Mobile all’Empireo, il cielo immateriale di pura luce che è sede di Dio ed è quindi fuori dal tempo e dallo spazio. La luce intellettüal, piena d’amore del v. 40 è la luce di Dio, motore e ordinatore dell’universo; l’anima che vi penetra è investita dalla grazia illuminante. Beatrice spiega al poe ta che quella grande luce è il modo consueto con cui l’Empireo accoglie coloro che vi entrano, per prepararli alle visioni che li attendono. Dante vede così un fiume di luce che sembra scorrere tra due rive fiorite; ne è abbagliato, ma riesce comunque a scorgere miriadi di scintille che prima si posano sui fiori delle rive e poi ritornano nel fiume.

Le scelte stilistiche

Nel rappresentare i diavoli del canto XXII dell’Inferno (T13), Dante si attiene all’immaginario medievale sui demòni, basato su una lunga tradizione iconografica: gli angeli caduti erano rappresentati come esseri mostruosi e dai caratteri animaleschi. Dante vi aggiunge però altri elementi grotteschi, come una certa deformazione caricaturale che ne connota i gesti e i movimenti. Quanto alle scelte lessicali, possiamo notare vocaboli bassi (qui, nello specifico, legati alla terra e al mondo animale) e di uso quotidiano, come zuffa (v. 135), artigli (v. 137), fosso (v. 138), sparvier grifagno (v. 139), bogliente stagno (v. 141), inviscate (v. 144), raffi (v. 147), cotti e crosta (v. 150). Molti di essi, inoltre, sono termini dalle sonorità aspre (si noti l’insistenza sui fonemi r e s).

Rispetto al brano dell’Inferno, in quello del canto II del Purgatorio (T14) è possibile notare un deciso innalzamento del tono poetico. In tale direzione va un preciso rimando classico: il tentativo, fallimentare, di abbracciare Casella compiuto da Dante richiama un celebre passo dell’Eneide di Virgilio (VI, 700-701), dove Enea inutilmente cerca di abbracciare l’ombra del padre Anchise: Ter conatus ibi collo dare bracchia circum, / ter frustra comprensa manus effugit imago (“Tre volte cercò di circondargli il collo con le braccia, / tre volte invano afferrata l’immagine sfuggì dalle mani”).
Non è ancora la tonalità sublime (che troveremo soprattutto nel Paradiso), ma quella media o elegiaca. Essa è funzionale alla resa dei temi prettamente purgatoriali, come quelli della memoria del passato e dell’amicizia. Il lessico dolce rimanda all’esperienza comune che aveva unito, nella giovinezza, Dante e Casella, lo Stilnovo: abbracciarmi e affetto (v. 77), soavemente (v. 85), amai (v. 88), amo (v. 89), amoroso canto (v. 107), dolcemente (v. 113), dolcezza (v. 114).

 >> pag. 303 

Il tono del brano tratto dal canto XXX del Paradiso (T15) è solenne e lo stile si innalza al massimo delle possibilità espressive. Il poeta, trovandosi a dover descrivere l’indescrivibile e l’ineffabile (cioè l’indicibile, quali sono le realtà ultime del Paradiso), decide di utilizzare tutti gli strumenti che l’arte retorica gli mette a disposizione. Numerose sono le figure retoriche: si notino ai vv. 39-42 l’anadiplosi* (cioè la ripresa, all’inizio di ogni verso, del termine finale del verso precedente: luce/luce; amore/amor; letizia/letizia), ai vv. 52-54 la metafora* della candela (l’anima è come una fiamma che accostandosi a Dio, fonte della luce, trae da lui la forza per ardere più vivamente al suo cospetto) e al v. 62 l’allitterazione* fulvido di fulgore. Al v. 42 dolzore per “dolcezza” è voce dotta, ricorrente nella poesia provenzale, e al v. 61 rivera è un gallicismo (si vedano il francese rivière e il provenzale ribiera).
Sono presenti anche diversi latinismi: per esempio discetti (v. 46) dal verbo disceptare (“sgominare”, “disperdere”) e la giuntura miro gurge (v. 68) (mirus gurges; il sostantivo è presente anche nell’Eneide, I, 118 e VI, 296). Sempre un latinismo è il verbo circunfulse (v. 49), che sembra trovare un diretto antecedente nel racconto neotestamentario del miracolo sulla via di Damasco, all’origine della vocazione di san Paolo (Atti degli Apostoli, 22, 6: subito de caelo circumfulsit me lux copiosa, “all’improvviso dal cielo mi sfolgorò intorno una grande luce”). Insomma, sono diversi gli elementi che cooperano a elevare il più possibile il livello stilistico del canto.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Perché ai vv. 133-135 di Inferno, XXII (T13) si dice che Calcabrina desidera che Ciampolo di Navarra (quei) riesca a sottrarsi al controllo dei diavoli?

  •   A   Per potergli correre dietro e riacciuffarlo.
  •     Per poterlo poi punire molto severamente.
  •     Perché sa che, tuffandosi nella pece, Ciampolo si scotterà assai dolorosamente.
  •     Per avere un pretesto per attaccare briga con il diavolo Alichino, che aveva garantito sul controllo del dannato.

2 Perché ai vv. 110-111 di Purgatorio, II (T14) Dante afferma che la sua anima è tanto affannata?

  •   A   Perché deve trascinarsi il corpo che è pesante.
  •     Perché dopo aver visto l’Inferno teme di dovervi tornare.
  •     Perché l’esperienza dell’attraversamento dell’In fer no è stata dolorosa sul piano morale e spirituale.
  •     Perché all’Inferno non ha incontrato amici, ma solo nemici.

3 Nell’episodio riportato da Paradiso, XXX (T15) la vista di Dante viene investita da un’ondata di luce

  •   A   affinché venga bruciato in lui ogni residuo di peccato.
  •     affinché sia poi pronto a vedere Dio.
  •     affinché la sua vista si rafforzi per quando dovrà tornare sulla Terra.
  •     perché i suoi occhi possano dimenticare le visioni infernali.

ANALIZZARE

4 Al v. 142 di Inferno, XXII (T13) Lo caldo sghermitor sùbito fue c’è una figura retorica. Quale?


5 Al v. 115 di Purgatorio, II (T14) chi è Lo mio maestro? E perché viene chiamato così?


6 Al v. 52 di Paradiso, XXX (T15) quale figura retorica è queta questo?

INTERPRETARE

7 Nella metafora presente ai vv. 52-54 di Paradiso, XXX (T15) che cosa rappresenta la candela? Perché il poeta sceglie questo oggetto?


8 I nomi dei diavoli di Inferno, XXII (T13) riflettono anche il loro carattere: in che modo?


9 Perché al v. 89 di Purgatorio, II (T14) Casella parla di sé al femminile?

PRODURRE

10 Trasforma ciascuno dei tre brani antologizzati in un racconto di circa 20 righe in italiano moderno. Per ogni racconto usa un registro diverso: basso (Inferno), medio (Purgatorio), alto (Paradiso).


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Dalle origini al Trecento