Le origini e il Duecento – L'opera

Vita nuova

Nella Vita nuova Dante rilegge a posteriori (dopo la morte di Beatrice, avvenuta nel 1290) la propria produzione poetica giovanile. Si tratta di un “racconto autobiografico”, della cronistoria di un amore. Siamo, tuttavia, nell’ottica di un racconto simbolico, ben lontano dai canzonieri degli altri Stilnovisti. La Vita nuova è, sul piano stilistico, ciò che potrebbe dirsi “lo Stilnovo della prosa” e, su quello del contenuto, un’immagine estremamente idealizzata della “vita stilnovistica”.
L’opera si propone di parlare, oltre che di una storia reale, anche di una verità intellettuale a cui l’autore approda: l’amore diventa non più soltanto esperienza privata, relativa all’intimità del poeta, bensì strumento di perfezionamento morale di sé e quasi di ascesi religiosa. Inoltre essa fonda il mito di Beatrice, correlato con quello di Amore, essendo l’amore inteso come slancio conoscitivo, partecipazione della persona all’armonia dell’essere: una dimensione, questa, che verrà poi compiutamente sviluppata nella Divina Commedia.

1 Un’opera per Beatrice

La struttura

La Vita nuova è un’opera in 42 capitoli, composta di 31 poesie (23 sonetti, 2 sonetti doppi, una ballata, una stanza di canzone, una doppia stanza di canzone, 3 canzoni), scelte dall’autore fra quelle scritte tra il 1283 e il 1293 (o, al più tardi, 1295) e collegate da un commento in prosa: si tratta quindi di un prosimetro, cioè un testo misto di prosa e versi (il primo esempio in volgare italiano).

Il commento risponde a due scopi. Da una parte presenta le situazioni narrative all’origine delle poesie, cioè le occasioni, l’ispirazione e l’intimo significato dei testi visti nella continuità di uno svolgimento narrativo. Dall’altra offre una spiegazione dei versi stessi, in quelle che Dante chiama «divisioni», cioè le suddivisioni dei componimenti, che servono a illustrarne lo svolgimento concettuale.

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L’antologia si evolve così in un libro organico, nel racconto e nella meditazione di una vicenda esemplare, dotata di uno sviluppo nel tempo. L’amore per Beatrice diventa infatti, a poco a poco, sempre più disinteressato e svincolato dall’interesse egoistico del possesso (seppure solo di tipo intellettuale) dell’amata; attraverso la lode di lei, creatura «venuta / da cielo in terra a miracol mostrare», il poeta conosce un radicale rinnovamento spirituale, grazie al quale nascono le «nove rime» e la tensione verso una poesia più alta (che presto si concretizzerà nella Divina Commedia).

Il titolo

Il titolo è enunciato nel primo capitolo, dove Dante afferma di trascrivere l’incipit (ovvero l’inizio) di quello che egli chiama il «libro de la mia memoria» (► T6, p. 257), cioè la serie dei ricordi inerenti la propria vita passata. Tale incipit recita, in latino, vita nova, cioè – letteralmente – “vita nuova”. Tra l’altro vita nova è un’espressione usata da sant’Agostino, san Tommaso e altri padri della Chiesa per indicare un’esistenza libera dal peccato.

Un primo significato di “vita nuova” è quello di giovinezza (è questa la cosiddetta “interpretazione cronologica”). Tuttavia per una più corretta interpretazione del titolo occorre cogliere nell’aggettivo “nuova” un senso più profondo. Diversi interpreti vi hanno ritrovato l’eco di una tradizione religiosa che insiste sulla renovatio (“rinnovamento”) spirituale dell’uomo illuminato dalla Grazia divina. Dunque “vita nuova” significherebbe vita rinnovata. Da chi? Da che cosa? Qui non tanto da Dio (colui che rinnova il mondo e il cuore dell’uomo), quanto dall’amore per Beatrice: un amore che peraltro, come vedremo a breve, a Dio conduce.

2 La trama

Gli incontri con Beatrice e la sofferenza di Dante

Dopo il proemio, rappresentato dal primo, brevissimo capitoletto (► T6, p. 257), la vicenda si apre con un tono quasi sacrale. «Nove» è la prima parola: un numero simbolico e sacro (è tre, che rimanda alla Trinità, al quadrato; cioè la perfezione divina al massimo grado), destinato a conferire, con le sue nove ricorrenze nel libro, un carattere di predestinazione e di miracolo agli eventi.
Alla fine del nono anno di vita Dante vede per la prima volta Beatrice, che ne ha da poco compiuti otto. Ne consegue una prima rivelazione d’amore (capitolo 2, ► T7, p. 258). Nove anni più tardi Dante rivede Beatrice accompagnata da «due gentili donne». Essa gli rivolge il saluto e poco più tardi il poeta, tornato nella sua camera, sogna, in una «maravigliosa visione», Amore divenuto signore della sua anima (capitolo 3, ► T8, p. 261). Egli scrive così il primo sonetto dell’opera, A ciascun’alma presa e gentil core, che invia ai «fedeli d’Amore», cioè ai poeti del circolo stilnovistico.

Amore toglie ogni vigore a Dante, tanto che gli amici si preoccupano per lui, che però non svela il nome dell’amata. In una chiesa, durante una funzione religiosa, si accorge che tra sé e Beatrice c’è una «donna di molto piacevole aspetto» che lo guarda, convinta che l’attenzione del poeta sia per lei (mentre il suo sguardo, in realtà, è rivolto a Beatrice). I presenti immaginano che sia questa donna l’oggetto dell’amore di Dante, il quale non smentisce tale opinione, per fare di lei «schermo de la veritate» e proteggere così Bea trice dai pettegolezzi (secondo un topos della lirica provenzale).

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Di questa “donna dello schermo” il poeta si servirà per alcuni anni, dedicandole anche delle poesie. Tempo dopo, Amore gli suggerisce di fare ricorso anche a una seconda donna dello schermo (capitolo 9): la figura della donna dello schermo rinvia a un testo famoso, il trattato De amore (L’amore) del letterato francese Andrea Cappellano (XII secolo), già fonte di spunti tematici per la poesia provenzale, siciliana e siculo-toscana ( ►  Doc. 5, p. 37).

A questo punto, però, Beatrice nega il saluto a Dante (capitolo 10), in seguito alle voci che lo accusano di essere «noioso», cioè privo di cortesia, a causa del rapporto instaurato con la seconda donna dello schermo: dunque non perché Beatrice sia “gelosa”, ma perché disapprova la leggerezza morale che Dante manifesta nel trasferire di frequente il proprio interesse da una donna all’altra. La negazione del saluto determina nel poeta una grande sofferenza, l’«amore doloroso» dei capitoli 11-16, in cui più evidente appare l’influsso di Guido Cavalcanti.
Nel capitolo 12 Amore, apparsogli di nuovo in sogno, invita Dante ad abbandonare ogni finzione. Così hanno finalmente inizio le rime rivolte a Beatrice, anche se, fino al capitolo 16, esse sono espressione di un amore tormentoso e inappagato. La situazione giunge a un culmine drammatico con la scena del “gabbo”, cioè della canzonatura, della presa in giro (capitolo 14): a una festa nuziale a cui partecipano sia Beatrice sia Dante, quest’ultimo, alla vista dell’amata, viene colto da tremore e smarrimento. Le altre donne, accorgendosi del suo stato, sorridono maliziosamente.

La nuova poetica della lode e la morte di Beatrice

Dopo un breve capitolo di transizione (il 17), nel capitolo 18 alcune donne rimproverano a Dante di non esprimere nei suoi versi le lodi dell’amata. Attraverso il colloquio con queste donne che hanno «intelletto d’amore» – cioè che sono in grado di comprendere tale sentimento e che divengono d’ora in poi le destinatarie del messaggio poetico – viene enunciata la nuova invenzione lirica: la beatitudine del poeta, quella che non può essergli negata neanche dall’indifferenza di Beatrice, sta nelle parole che lodano la sua donna. È il passaggio a un sentimento verso la persona amata per ciò che essa è in sé, non per ciò che può donare all’amato.
La poetica della lode – novità fondamentale della poesia d’amore dantesca e sua specifica invenzione lirica – si esplica nei capitoli 18-27: temi centrali sono la dolcezza che si sviluppa nell’animo a partire dal sentimento amoroso e la gioia che deriva dall’esaltazione disinteressata della donna, superando ogni forma di egoismo e di istintività passionale. La claritas, lo splendore di Beatrice, esprime un’idea della bellezza come luce intellettuale e sembra alludere a quella «luce intellettüal, piena d’amore» (Paradiso, XXX, 40), cioè a Dio stesso, che rappresenterà, nella Commedia, l’approdo conclusivo del poeta. Ma già ora, nella Vita nuova, sono prodigiosi gli effetti operati dalla presenza della donna: far nascere nei cuori di coloro che la contemplano una dolcezza onesta e soave che induce alla perfezione, far sorgere amore dove esso è allo stato latente (come si diceva nel linguaggio della filosofia scolastica, in potenza e non ancora in atto). Questi concetti verranno mirabilmente espressi nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare (capitolo 26, ► T11, p. 269).

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Tuttavia, nel momento dell’esaltazione più intensa di un amore e di una creatura perfetti, comincia a profilarsi la percezione della sua precarietà di persona mortale. Nel capitolo 22 muore il padre di Beatrice e già nel capitolo 8 era morta una sua amica: tali presentimenti funebri culminano nella visione apocalittica, in una sorta di delirio del poeta durante una malattia, della morte di Beatrice, accompagnata dagli stessi sconvolgimenti naturali che accompagnarono quella di Cristo (capitolo 23).

La visione anticipatoria della dipartita di Beatrice si concretizza nel capitolo 28, con la morte effettiva della donna. Per distrarsi dal pensiero angoscioso della scomparsa dell’amata, Dante scrive e dipinge, finché, nell’anniversario del trapasso di Beatrice, una «donna gentile» sembra avere pietà di lui (capitolo 35). Egli però prova presto rimorso per essersi lasciato distogliere dal pensiero dell’amata, componendo versi che lodavano la pietà di quest’altra donna (capitolo 37). Ancora una volta è un improvviso evento interiore a sciogliere la situazione: Beatrice torna nell’animo del poeta come era apparsa la prima volta e lo spinge verso un intimo recupero della memoria (capitolo 39).

L’ultimo sonetto, Oltre la spera che più larga gira (capitolo 41), accosta Beatrice a uno sfondo di eternità celeste: essa è ormai irraggiungibile per l’intelletto, anche se il suo ricordo resta indelebile nel cuore. Da qui l’annuncio dell’ultimo capitolo (► T12, p. 271): la «mirabile visione» potrà essere ritratta soltanto da una poesia più alta, da una nuova maturazione d’arte e di pensiero. Con questa tensione verso un ideale, ancora una volta insieme etico e poetico, si chiude “il libro della memoria”.

  I fatti salienti della Vita nuova
 capp. 1-9  • nel nono anno di vita il primo incontro tra Dante e Beatrice
 • a diciotto anni, il secondo incontro
 • il saluto concesso: gioia
 • «maravigliosa visione» di Amore: composizione del primo sonetto
 • le due “donne dello schermo” (convenzione dell'amore cortese)
 capp. 10-16  • il saluto negato da Beatrice (non per gelosia, ma per l'apparenza non virtuosa della relazione con la seconda “donna dello schermo”): disperazione
 • il “gabbo” ai danni del poeta (scherzo-schermo a una festa nuziale)
 capp. 17-27  • la nuova poetica: tema sarà non più la sofferenza del poeta, ma la lode della donna
 capp. 28-42  • la morte di Beatrice
 • la tentazione dell'amore per la «donna gentile»
 • l’apparizione in sogno di Beatrice e il superamento della tentazione
 • la «mirabile visione» e il proposito di non parlare di Beatrice finché non si saprà «più degnamente trattare di lei»

Al cuore della letteratura - volume 1
Al cuore della letteratura - volume 1
Dalle origini al Trecento