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Per decorare le pareti e i pavimenti delle domus private e dei luoghi pubblici, i Romani ricorrono non solo alla pittura, ma anche alla tecnica del mosaico: piccole tessere colorate, in pietra o in pasta di vetro (ma anche in materiali preziosi come marmo, porfido e madreperla), vengono disposte in modo da formare un disegno. Le tessere sono di varie forme e dimensioni, tagliate secondo le esigenze del disegno; più sono piccole, più gli artigiani riescono a riprodurre i dettagli e le sfumature della pittura, ottenendo effetti di profondità e vivacità.
I mosaici qui riprodotti si trovano nella villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia, costruita tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C. per una ricca famiglia romana che vi si recava a caccia e in vacanza. Quasi totalmente sommersa da una valanga di fango caduta dal monte Mangone che la sovrasta, la villa è stata scoperta nel 1881 e riportata del tutto alla luce solo alla metà del secolo scorso. I suoi pavimenti a mosaico, realizzati da artefici provenienti dalle province romane del Nordafrica, sono di una ricchezza e di una varietà tali che l’UNESCO ha inserito la località nell’elenco dei siti protetti. Spesso i soggetti rappresentati sono scelti in base alle funzioni o alle caratteristiche della stanza: nel vestibolo, per esempio, c’è una scena di benvenuto; nelle terme sono raffigurate scene marine e di bagni. In un mosaico con spettacoli ginnici in onore della dea Teti puoi perfino vedere ragazze in bikini moderni!
Il mosaico in alto a destra è un particolare della Grande caccia, che racconta un “safari” africano con la cattura di animali esotici, che vengono poi trasportati su carri tirati da buoi fino al porto e mandati a Roma per gli spettacoli dell’arena. Il mosaico in basso rappresenta invece una scena della cosiddetta Piccola caccia, cioè la caccia al cinghiale con i cani.