La pittura romana, elogiata anche dagli antichi scrittori, vanta una lunga tradizione. Purtroppo ne conosciamo solo una minima parte. Sappiamo che i Romani avevano l’abitudine di esporre nei cortei, per celebrare le vittorie, grandi tavole di legno su cui erano dipinte le vicende delle campagne militari, ma di queste immagini niente è giunto fino a noi. Sono sopravvissute invece diverse pitture murali che decoravano le case private di Pompei ed Ercolano. Queste bellissime decorazioni si sono salvate, paradossalmente, perché coperte dalla cenere e dalla lava dell’eruzione del Vesuvio che, nel 79 d.C., aveva distrutto le due città della Campania. Quelle di Roma e di altri centri dell’Impero, invece, sono andate perse per la maggior parte a causa del logorio del tempo e dell’incuria umana.
Le tecniche
Da ciò che è rimasto delle pitture murali pompeiane siamo in grado di stabilire che, nella maggioranza dei casi, i pittori lavoravano sull’intonaco asciutto, mescolando la cera calda ai colori per rendere brillanti i dipinti (tecnica dell’encausto), oppure lucidando le pitture con cera liquida (tecnica dell’encausticare). Nel caso dell’arte romana non si può dunque parlare di affreschi veri e propri, che si ottengono invece dipingendo sull’intonaco ancora fresco.
Gli stili
Nella pittura romana si riconoscono quattro stili diversi, che si sono sviluppati fra il II secolo a.C. e il I secolo d.C. Nelle loro opere gli artisti romani si sono ispirati certamente alla pittura greca, di cui, come già sai, sono rimaste solo descrizioni. Per evidenziare il volume delle figure i Romani hanno ripreso dai Greci l’uso del chiaroscuro, che consiste in un gioco di luci e ombre e di riflessi, ottenuto con gradazioni di colore che variano dai toni più chiari a quelli più scuri. Alcune pitture romane, a seconda dello stile, mostrano figure e architetture di scorcio, che danno l’illusione della profondità dello spazio.