L’antisemitismo di Hitler
Dopo un tentativo, fallito, di colpo di Stato nel 1923, Hitler venne incarcerato per un anno, durante il quale iniziò a scrivere un testo autobiografico intitolato Mein Kampf (La mia battaglia), pubblicato nel 1925. Il tema centrale del libro era l’attribuzione della sconfitta tedesca nella Prima guerra mondiale a una congiura internazionale guidata dalle forze socialiste sotto il controllo e la direzione degli ebrei.
Nel Mein Kampf era espressa anche un’altra idea specifica del movimento nazista: la teoria della “razza ariana” – a cui apparteneva il popolo tedesco – superiore a tutte le altre e quindi nel diritto di dominarle.
In una Germania devastata dalle macerie materiali e morali del dopoguerra, Hitler diede così la risposta al bisogno di trovare un ▶ capro espiatorio cui attribuire tutte le colpe. Con una propaganda martellante e con parole d’ordine come nazione, razza, “spazio vitale”, comunità di popolo, autorità, Hitler rivolse l’attacco alla democrazia parlamentare e al sistema liberale e giustificò la formazione di un grande impero – il Terzo Reich – e l’espansione della Germania verso est.
Il nazismo cominciò così a essere punto di riferimento per soggetti di varia natura: ceti medi (impiegati, artigiani, piccoli commercianti), uomini dell’industria e della finanza, giovani attratti dall’estremismo e dalla violenza.