(Voleva dire «un po’ più di rispetto» verso le elezioni oppure «un po’ più di
rispetto» verso la carne che soffre? Non lo specificò).
Si aspettava che le sue parole suscitassero una battaglia. Invece niente. Nessuno
protestò. Con un sospiro, scuotendo il capo, guardavano l’uomo rattratto.8 – Certo,
135 è peggiorato, – convenne il prete, a bassa voce. – Ancora due anni fa, votava.
Il presidente mostrò il registro ad Amerigo: – Cosa si fa: lasciamo in bianco o
facciamo un verbale a parte?
– Lasciamo. Lasciamo perdere, – fu tutto quello che seppe dire Amerigo; pensava
a un’altra domanda: se era più umano aiutarli a vivere o a morire, e anche a
140 quella non avrebbe saputo dare una risposta.
Così, aveva vinto la sua battaglia: il voto del paralitico non era stato estorto. Ma
un voto, cosa contava un voto? Questo era il discorso che gli faceva il «Cottolengo»
con i suoi gemiti e i suoi gridi, vedila la tua volontà popolare che scherzo diventa, qua
nessuno ci crede, qua ci si vendica dei poteri del mondo, era meglio lasciarlo passare
145 anche quel voto, era meglio che quella parte di potere guadagnata così restasse incancellabile,
inscindibile dalla loro autorità, che se la portassero su di loro per sempre.
– E il 27? E il 15? – chiese la Madre. – Gli altri che dovevano votare, votano?
Il prete, data un’occhiata all’elenco, s’era avvicinato a un letto. Tornò scuotendo
il capo: – Anche quello là, sta male.
150 − Non riconosce? – fece la scrutatrice, come ci s’informa d’un parente.
− È peggiorato. Peggiorato, – fece il prete. – Non se ne fa niente.
− Anche questo, allora, lo depenniamo, – fece il presidente. – E il quarto? Dov’è
il quarto?
Ma il prete ormai l’aveva capita, voleva solo tagliar corto. – Se non può uno
155 non possono neanche gli altri; andiamo, andiamo, – e spingeva per il braccio il
presidente che cercava di controllare i numeri dei letti e a un certo momento si
fermò davanti al gigante immobile dalla testa enorme, e cercò nell’elenco come
per verificare se il numero del quarto votante era quello lì, ma il prete lo spingeva
via: – Andiamo, andiamo, vedo che qui sono tutti mal messi…
160 − Gli altri anni glielo facevano fare, – diceva la Madre, come se parlasse di
iniezioni.
− Eh, adesso sono peggiorati, – concluse il prete. – Si sa, il malato, o guarisce,
o peggiora.
− Non tutti sono in grado di votare, si capisce, poveretti, – disse la scrutatrice
165 come scusandosi.
− Oh, poveri noi! – rise la Madre. – Ce n’è che non possono votare, ce n’è. Vedesse
lì nella veranda…
− Si possono vedere? – chiese la scrutatrice.
− Ma sì, venite di qua, – e aperse una porta a vetri.
170 − Se sono di quelli che fanno impressione, io ho paura, – disse il segretario.
Anche Amerigo s’era tirato indietro.
La Madre sorrideva sempre: – Ma no, perché paura, buoni figli…
La porta dava su una terrazza, una specie di veranda; e c’era un semicerchio
di seggioloni con seduti tanti giovanotti, rapati in testa e incolti di barba, con le
175 mani poggiate sui braccioli. Portavano vestaglie a righe blu i cui lembi scendevano
a terra nascondendo il vaso che era sotto a ogni seggiolone, ma il puzzo e rivoli di
trabocco si perdevano sul pavimento, tra le loro gambe nude dai piedi calzati in
zoccoli. Anche tra loro c’era quella somiglianza fraterna che regna al «Cottolengo»
e anche l’espressione era simile, nelle bocche aperte, senza forma, maldentate:
180 d’uno sghignazzare che poteva anche essere un piangere; e lo strepito che mandavano
si fondeva in uno spento blaterio9 di risa e pianti. In piedi davanti a loro, un
assistente – uno di quei ragazzi brutti ma bravi – teneva l’ordine, con in mano una
canna, e interveniva quando uno voleva toccarsi, o alzarsi, o attaccava briga con
gli altri, o faceva troppo strepito. Sui vetri della veranda brillava un po’ di sole, e i
185 giovanotti ridevano ai riflessi o passavano mutevoli all’ira vociando contro l’uno
o l’altro, e poi subito dimenticavano.