Carlo Emilio Gadda

I GRANDI TEMI

1 Lo stile espressionistico

Quando ci si accosta a Gadda per la prima volta, ciò che colpisce è una certa difficoltà di lettura, sostanzialmente a causa di due fattori di ordine stilistico. Dal punto di vista sintattico, la costruzione della frase è spesso stravolta, con soggetto, predicato e complemento collocati in posizioni diverse da quelle consuete, e con la frequente presenza di incisi, digressioni, commenti. Dal punto di vista lessicale, la scrittura offre un’impressionante varietà di elementi linguistici: tecnicismi di diverse discipline (ingegneria, filosofia, matematica, medicina ecc.), arcaismi e vocaboli presi dai diversi repertori letterari del passato, inserti in lingua straniera, citazioni latine e greche, lemmi dialettali e neologismi.

La lingua di Gadda mescola aulico e comico, alternando momenti lirici a espressioni sconce e oscene: per tale contaminazione essa si inserisce all’interno della tradizione maccheronicache annovera autori come Folengo e Rabelais, e in quella più ampia linea espressionistica che si fa risalire fino a Dante. Attraverso questo filtro linguistico Gadda intende rappresentare la realtà in modo deformato, osservandola da punti di vista molteplicispesso contraddittori, perché la complessità del mondo si può rendere solo con pari complessità di stili e registri. Egli stesso, parlando in terza persona, scrive che la sua scrittura è la riproduzione del ridondante disordine della realtà: «Barocco è il mondo, e il Gadda ne ha percepito e ritratto la baroccaggine».

La forma più efficace per esprimere il caos e la molteplicità del reale è – agli occhi dello scrittore lombardo – quella dell’elenco. Egli procede infatti per accumulazione, giustapponendo nomi, aggettivi, verbi. Questo impulso alla catalogazione può talvolta risultare eccessivo e forzato, ma Gadda non intende rinunciare mai all’obiettivo di cogliere “enciclopedicamente” la totalità degli aspetti, convinto che la comprensione delle cose possa avvenire solo all’interno di una sintesi ideale di tutto il sapere. La sua scrittura tende in tal modo a procedere dall’enumerazione all’onnicomprensività o, per usare i termini del critico Gian Carlo Roscioni, dal singula enumerare (enumerare i singoli elementi uno per uno) all’omnia circumspicere (abbracciare tutte le cose con lo sguardo): la smania di registrare e inventariare i segni, anche minimi, del mondo significa impossessarsene linguisticamente, accatastando tutte le possibili forme nelle quali esso si manifesta. In questo contesto, assume un significato profondo la propensione ai dettagli, alle digressioni, alle note, a tutto ciò che a una prima lettura appare come secondario e poco rilevante.
Al contrario, l’attenzione ossessiva per il particolare significa per Gadda cercare di sbrogliare un groviglio di relazioni, di contatti, di somiglianze, nella convinzione che un qualsiasi fatto non sia conoscibile nella sua interezza se non dopo averlo scomposto negli elementi che lo costituiscono e averlo messo in rapporto con altri fatti, altri contesti, altre realtà.

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2 Il groviglio psicanalitico

Gadda è stato un autore molto prolifico, avendo scritto tanto, al limite della grafomania, sia per la pubblicazione della sua produzione narrativa e saggistica sia per motivi privati (i diari e i moltissimi carteggi). Ancor prima della letteratura, si può affermare che sia l’atto dello scrivere in sé ad assumere per lui un ruolo particolare. Già prima di comprendere la propria natura di letterato, per esempio, durante l’esperienza della Prima guerra mondiale, egli sembra utilizzare la scrittura per cercare di ritrovare un ordine nella realtà che lo circonda, o meglio per opporre al caos dominante sequenze razionali di pensieri, descrizioni, concetti o persino operazioni di analisi matematica che egli traccia sulla pagina. Il rapporto di Gadda con il mondo è dettato infatti da un’esigenza conoscitiva finalizzata a restituire razionalità al groviglio delle cose e a dare loro un senso. Tale tentativo di ricostruzione concettuale viene applicato dall’autore sia alla sfera dell’esteriorità sia a quella dell’interiorità, e – per quanto concerne quest’ultima – all’essere umano in generale e a sé stesso.
La critica ha sottolineato, a più riprese, come l’irrefrenabile impulso di Gadda all’autobiografismo si traduca nei suoi scritti nella proiezione costante delle proprie nevrosi e ossessioni: tale processo svela i suoi sforzi di psicanalizzare, spiegare, comprendere la propria vita e dare un senso ai traumi che l’hanno così fortemente condizionata. È in questo impegno gnoseologico che la sua scrittura prova a farsi terapia, in quanto si pone l’obiettivo di scavare a fondo nei disturbi psicologici del proprio io (l’autore allude a un «male oscuro» che lo attanaglia) e nel labirinto di un mondo degenerato e insensato.

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In particolare, il centro di gravità della nevrosi dello scrittore è rappresentato dal conflitto con la madre, a sua volta tristemente condizionato dalla morte del fratello Enrico. Gadda percepisce in lei una “carenza affettiva”, un’incapacità a donarsi a lui che è il figlio sopravvissuto, quello meno bello, meno energico, meno vitale; ciò lo induce a considerare sé stesso una «prova difettiva di natura», come se egli non fosse idoneo a meritare l’amore e le carezze della madre. Parla a più riprese, in molti saggi e articoli dedicati ad altre figure emblematiche della Storia o della letteratura (Baudelaire, Leopardi, Rimbaud ecc.), di esempi di «delusione filiale», di madri che verso i figli mostrano una «certa ritenutezza»; e legge in questo rapporto la base di «quell’aggrovigliato complesso di cause e concause biologiche e mentali che Freud ha tentato appunto di sgrovigliare» (Psicanalisi e letteratura). Un verso virgiliano, tratto dalla IV egloga, torna con frequenza nelle sue dissertazioni a suggellare e dare forza a questo discorso: Cui non risere parentestradotto da lui stesso come «colui a cui i genitori non hanno potuto sorridere».

Dalla negazione affettiva deriva un sentimento aspramente conflittuale verso quella figura che viene vista come «madre sbagliata», «castrante». Durante tutta la vita, l’immagine di questa donna austera e severa permane nell’immaginario dello scrittore lombardo; anche se nel periodo successivo alla sua morte si scatena in lui un assillo diverso ma altrettanto doloroso: il rimorso. La distanza e l’odio provati in vita vengono trasfigurati in colpa, come se le ragioni di quella negazione e di quella morte fossero da addossarsi a lui, alla sua imperfezione, alle sue incapacità. Gadda si sente allora completamente solo; ed è anche per questo, per provare a lenire quella ferita, che dedica alla madre un capolavoro assoluto come La cognizione del dolore.

Il magnifico viaggio - volume 6
Il magnifico viaggio - volume 6
Dalla Prima guerra mondiale a oggi