Qui, come in altre poesie della raccolta, Pavese tende a dissolvere la concreta presenza femminile negli elementi della natura (la terra, la pietra, altrove la collina, il sentiero, la vigna ecc.). Forse in tal modo Pavese esprime la propria intima incapacità di instaurare rapporti positivi con le donne. Se questa è la spiegazione, tale atteggiamento del poeta può essere ricondotto alle difficoltà che egli ebbe, durante tutta la vita, nella relazione con l’altro sesso e che lo portarono a una visione pessimistica del sentimento amoroso.
Già in un appunto del 1937 (riportato nel suo diario, Il mestiere di vivere) troviamo alcune considerazioni che indicano come Pavese non credesse nella possibilità di un amore incondizionato: «Essere innamorato è un fatto personale che non riguarda l’oggetto amato – nemmeno se questo riami. Ci si scambia, anche in questo caso, dei gesti e delle parole simboliche in cui ciascuno legge quanto ha dentro sé e per analogia suppone viga nell’altro. Ma non c’è ragione, non c’è bisogno, che i due concetti combacino. […] Nulla può fare l’uno all’altro se non offrire di questi simboli, illudendosi che la corrispondenza sia reale. […] Bisogna essere così scaltri da prestar loro un significato senza scambiarli con la sostanza vera. Che è la solitudine di ciascuno, fredda e immobile».