D3 - Un capro che accusa gli uomini (La Circe)

DOCUMENTO 3 Un capro che accusa gli uomini Giovan Battista Gelli, La Circe, dialogo quarto Giovan Battista Gelli, nato a Firenze nel 1498, esercita per tutta la vita il mestiere di calzolaio, nonostante la sua fama di accademico, lettore e filosofo. autore di volgarizzamenti, rime, commedie e operette moraleggianti (tra cui i dialoghi, incentrati su vari temi e aneddoti, intitolati I capricci del bottaio, composti tra il 1541 e il 1546). La Circe (1549), di cui riportiamo un estratto, rappresenta il suo capolavoro, per originalità di contenuto e limpidezza di stile. Gelli muore a Firenze nel 1563. L autore Nella civiltà umanistico-rinascimentale l individuo, considerato al centro dell universo, veniva esaltato come forza attiva, capace di capire il mondo e piegarlo alle proprie esigenze. In questo brano egli è invece una creatura così fragile e indifesa da essere compatita dalle bestie. L autore immagina un dialogo tra Ulisse e gli uomini trasformati dalla maga Circe in animali, ai quali viene conferita la parola. A eccezione dell elefante (che era in vita un filosofo e si ostina a difendere la dignità umana), gli altri si rifiutano di tornare nella condizione di uomini, perché ciò significherebbe affrontare nuovamente infermità, guai e debolezze insopportabili. Leggiamo in questo breve passo l intervento del capro, che sottolinea la precarietà e l insicurezza insite nel solo fatto di vivere. Il quadro pessimistico della natura umana inizia con la denuncia delle sue capricciose ambizioni. L autore rimpiange qui la condizione animale, semplice e innocente, che l umanità ha perduto per sempre. La civiltà umana è una fitta relazione di inganni, egoismi e ipocrisie. La condizione umana è segnata dall incertezza: per questo la vita è una continua lotta, una sofferenza senza tregua. La libertà che io mi godo in questo stato mi è tanto dolce, rispetto a la moltitudine delle servitù1 che avete voi (de la maggior parte de le quali è cagione2 la pazzia e l ambizione vostra, che vi ha legato le mani a di molte cose a le quali ve l aveva sciolte la Natura), che io non solamente non vo 3 tornare uomo, ma io non vo praticar4 con loro, sapendo che voi non obbligate solamente voi a queste vostre leggi, ma ancora tutti quegli animali di chi voi vi servite e che vivon dimesticamente con voi. [...] De la qual cosa dovereste esser gastigati voi, avendo fattovi particulare,5 mediante il tuo e il mio, quello che la Natura vi aveva fatto comune; onde ne6 nasce fra voi tutto il giorno tante fraude,7 tanti inganni, liti e inimicizie, che voi non potete conversare sicuramente insieme, come facciam noi, e continuamente temete di perdere quel che voi avete o d incorrere in qualche futuro male. Sì che godi pur tu questo vostro stato così infelice e ripieno di tante miserie; che io vo quel poco di vita che mi avanza, senza timor di morte o d altro, consumarmelo in questo.8 1 servitù: desideri, che rendono l uomo schiavo. 2 cagione: motivo, origine. 3 vo : voglio. 4 praticar: avere dimestichezza, familiarità. 5 avendo fattovi particulare: avendo reso individuale. 6 onde ne: da ciò. 7 tante fraude: tanti raggiri. 8 consumarmelo in questo: trascorrerlo in questa condizione (di capro). Dosso Dossi, Maga Circe, 1520 ca. Roma, Galleria Borghese. L EPOCA E LE IDEE / 485

Il magnifico viaggio - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento