Il magnifico viaggio - volume 2

stente, perché priva di tradizione scritta) e del fiorentino del Cinquecento, troppo corrotto dall uso che ne fa il popolo illetterato viene indicata nell impiego della lingua toscana del Trecento: una lingua regolata (perché ha in sé proporzione e misura), pura (perché in essa non compaiono scorie della lingua parlata), nobile, ricca (perché sostenuta dall esempio della più illustre tradizione scritta) e duttile (rispetto a ogni stile, in forza della varietà dei vocaboli). Nel secondo libro, la superiorità del fiorentino letterario viene suffragata da illustri esempi dello scrivere bene: tra questi, eccellono la figura di Petrarca per la poesia e quella di Boccaccio per la prosa. Meno imitabile risulta invece la lingua di Dante, soprattutto a causa dell illimitata estensione del suo vocabolario, troppo anarchico nell accogliere forme e registri disparati, e poco adatto a rimanere dentro gli argini del formalismo classicistico. Il terzo libro si pone, infine, come una sorta di grammatica normativa del toscano, corredata da regole e citazioni, desunte in particolar modo dal Canzoniere e dal Decameron. Un successo immediato Le Prose della volgar lingua riscossero subito un grande successo, come documentano le numerose ristampe e le reazioni di molti scrittori, che adeguarono la propria lingua letteraria al modello indicato da Bembo, assurto a massima autorità letteraria italiana. Il caso più eclatante sarà quello di Ludovico Ariosto, che nella terza e definitiva edizione dell Orlando furioso (1532) eliminerà l originaria patina padaneggiante della sua scrittura per conformarsi ai dettami bembiani. A conclusione del suo poema (XLVI, 15), mentre passa in rassegna i più illustri letterati italiani, Ariosto lo omaggerà così: «Là veggo Pietro / Bembo, che l puro e dolce idioma nostro, / levato fuor del volgare uso tetro, / qual esser dee, ci ha col suo esempio mostro [Là vedo Pietro Bembo, che con il suo esempio ci ha mostrato come deve essere la nostra lingua, pura e dolce, sottratta al misero uso volgare]. E perfino Castiglione, suo avversario nella questione della lingua, deciderà di pubblicare Il Cortegiano non prima di averlo sottoposto al suo autorevole giudizio. Una risposta concreta al particolarismo linguistico Il pregio delle Prose (e il motivo principale della loro fortuna) fu subito colto dai letterati dell epoca. Esso consisteva nell aver definito un modello di lingua letteraria stabile e unitario, capace di opporsi all ibrido sperimentalismo linguistico che aveva dominato la letteratura quattrocentesca. Inoltre tale modello, offrendo a tutti gli italiani la possibilità di servirsi di una lingua comune, poneva un freno decisivo alle tendenze centrifughe degli idiomi municipali. La sua forza stava appunto nella rigidità esemplare della norma, suffragata dal peso di una tradizione illustre, già data, e dunque impermeabile a particolarismi e contaminazioni. Peraltro, si trattava di una soluzione adatta ai tempi, dal momento che si conformava alle esigenze dell industria della stampa, che richiedeva uniformità e certezza delle regole, caratteristiche che non potevano offrire né la ricetta cortigiana, troppo fumosa e astratta, né quella del fiorentino parlato, che non aveva alle spalle una tradizione e un autorità letteraria. I limiti di una soluzione decisa a tavolino D altro canto, il carattere libresco e aristocratico della soluzione di Bembo rese inesorabile la frattura tra lingua scritta e lingua parlata: la prima immobilizzata nella camicia di forza di una grammatica standardizzata e la seconda destinata a modificarsi nell uso quotidiano. La conseguenza di tale divaricazione sarà la creazione di una sorta di bilinguismo in ogni regione d Italia, con il paradosso che la maggioranza della popolazione dovrà apprendere sugli autori la propria lingua nazionale ufficiale come se fosse un idioma straniero. Testo PLUS Dante e Petrarca IL GENERE / LA TRATTATISTICA RINASCIMENTALE / 119

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Il Quattrocento e il Cinquecento