FINESTRA SUL ’900 - Tasso & Franco Fortini, Le inquietudini di un letterato senza certezze

FINESTRA SUL ’900

Tasso & Franco Fortini

LE INQUIETUDINI DI UN LETTERATO SENZA CERTEZZA

Un poeta civile

L’irrisolta polarità tra il bene e il male, il rapporto difficile con la realtà, l’oscillare inquieto tra ortodossia ed eterodossia, l’aspirazione a una felicità che non sembra di questo mondo e al tempo stesso un desiderio irrinunciabile di agonismo poetico e ideologico: i poeti che nei secoli hanno amato Tasso ne hanno spesso condiviso contraddizioni e inquietudini, rivivendo, in contesti e forme naturalmente diversi, le stesse ambiguità ma soprattutto i medesimi conflitti. Perciò non sorprende che il letterato italiano contemporaneo che ha risentito maggiormente della sua lezione sia molto più che un semplice poeta: è invece una complessa figura di intellettuale, incline a interrogarsi sui rapporti tra letteratura e politica, arte e società.

A questo impegno civile è legata tutta la produzione di Franco Fortini. Nato a Firenze nel 1917, si chiama in realtà Franco Lattes: figlio di un avvocato livornese di origini ebraiche, assume il cognome della madre, una cattolica non praticante, dopo la promulgazione delle leggi razziali, alla fine degli anni Trenta. Laureatosi in Giurisprudenza, nel 1939 riceve il battesimo presso la Chiesa valdese di Firenze per poi laurearsi anche in Storia dell’arte, mentre comincia a collaborare con alcune riviste culturali fiorentine. Chiamato alle armi nel 1941, dopo l’8 settembre 1943 si rifugia in Svizzera, dove entra in contatto con alcuni intellettuali antifascisti e matura la sua conversione ideologica al socialismo. All’indomani della Liberazione, nel 1945, si stabilisce a Milano e inizia a collaborare con una delle più importanti riviste culturali italiane del dopoguerra, “Il Politecnico”, fondata e diretta dallo scrittore Elio Vittorini. L’anno successivo, Fortini esordisce con la prima raccolta poetica, Foglio di via e altri versi, edita da Einaudi, e si dedica sempre più attivamente alla traduzione di autori francesi e tedeschi.

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L’impegno ideologico di un uomo libero

La concezione militante della cultura che Fortini va elaborando in questi anni e alla quale sarà fedele per tutta la vita lo porta a confrontarsi con i grandi problemi e con i conflitti della Storia: legato alla sinistra, egli esprime però un modello di intellettuale perennemente in conflitto, mai organico ad ambienti e istituzioni, ostile alle posizioni ufficiali degli apparati, sia del potere sia dei partiti di opposizione. Devoto alla chiesa della poesia e a quella della rivoluzione, egli fa i conti con una società e un mondo che sente estranei e di cui contempla le rovine con occhio torvo e mai pacificato. La sua costante insofferenza lo rende irriducibile agli schemi, inafferrabile e a tratti sdegnoso: nel confezionare un fedele autoritratto, Fortini si definisce «un ragazzo ebreo con gli occhiali sotto il corruccio severo del professore», testimone austero di un mondo che gli appare sempre offeso, costantemente in bilico sulla catastrofe.

D’altro canto, la letteratura significa per lui compromissione, impegno personale, critica inflessibile, a costo di patire solitudine e incomprensione. Per questo Fortini rifiuta la poesia intesa come sublime religione e linguaggio elitario rivolto a pochi, per farne, al contrario, uno strumento per riflettere sulle trasformazioni sociali dovute allo sviluppo capitalistico.

Una forte tensione morale

A caratterizzare i versi di Fortini sono una costante ricerca della verità e una travagliata tensione morale, che spesso si scontrano con le certezze dell’ideologia, anche di quella a cui aderì, sia pure in modo critico: il marxismo. Il suo amore per Tasso nasce appunto dal confronto comune con la sfera della passione e dell’ambiguità, dell’antitesi e del dubbio: un’inclinazione che si traduce anche a livello stilistico nella ricerca di una sintesi di forme diverse da ridurre all’unità e in un gusto per la classicità che tuttavia una sensibilità quasi manieristica rende inevitabilmente disarmonico, astratto, inappagato.

Tasso viene definito da Fortini un «simbolo della dissidenza» paragonabile a Martin Luther King, archetipo di un’umanità sofferente e strenuamente impegnata nel conflitto contro le ipocrisie e le ambiguità della Storia. Nessuno sbocco positivo o almeno consolatorio si intravede in fondo alla sua esperienza intellettuale e ideologica: «in Tasso non c’è dialettica, non c’è soluzione in avanti. È una dinamica bloccata», scrive Fortini. Ed è proprio tale condizione irrisolta a influenzare la scrittura del poeta e a connotarla formalmente: «si direbbe che il moto mentale e morale del Tasso sia questo “sì, ma”, una clausola psicologica che diventa sigla stilistica». Non può esserci pace nei suoi versi tanto meno l’olimpica serenità venata di ironia che alleggerisce l’ispirazione di Ariosto: «il linguaggio della Liberata aggiunge Fortini tende all’insieme simultaneo e spesso contraddittorio di effetti» al punto che «è questa, talvolta sconcertante, contraddittorietà di livelli la sua massima ricchezza».

Il legame di parentela tra i due poeti risiede appunto in questa condizione perennemente conflittuale, nel rifiuto di ogni idillio, nella disarmonia che transita dall’ideologia alla letteratura. Al pari di Fortini, anche Tasso rifiuta di smorzare o neutralizzare le contraddizioni, sottovalutando le fratture e gli antagonismi: nel suo poema le simmetrie e le asimmetrie sono «senza equilibrio»: non danno vita alla ludica combinazione di «destini incrociati» ma si configurano come veri e propri «crocicchi del destino: un manto sonoro su un angoscia latente» che opprime gli itinerari esistenziali degli individui.

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Un omaggio ideologico e stilistico

L’autore della Gerusalemme liberata viene chiamato in causa direttamente da Fortini in una poesia intitolata Imitazione del Tasso, pubblicata sul “Politecnico” nel 1945 e poi nella sezione Altri versi della raccolta di esordio. L’imitazione dichiarata dal poeta è intanto realizzata sul piano metrico: il componimento alterna settenari (vv. 1, 2, 4, 5, 7, 8, 10) ed endecasillabi (vv. 3, 6, 9, 11), secondo una struttura che mima quella dei madrigali; le rime sono baciate, ma non disposte secondo un ordine rigoroso (amarvi : mirarvi, vv. 2-3; accanto : canto, vv. 5-6; brilla : oscilla, vv. 10-11); i vv. 8-9, invece, sono in quasi-rima (volsi-rimorsi).


Fummo un tempo felici.

Io credevo d’amarvi

e voi d’essere amata, se mirarvi

se sperare di voi

5      era amore, se accanto

a voi fioriva ogni mia pena in canto.

Ora penso, e non tremo

all’errore che volsi

lungo, in me stesso; e posano i rimorsi.

10    Posa anche il vento, brilla

cadendo il giorno; e un ramo appena oscilla.

Tra dolore pubblico e privato

L’anno di composizione della poesia non è un anno qualunque: siamo nel 1945; il secondo conflitto mondiale è appena terminato lasciando dietro di sé, in Italia, la scia del sangue versato in una tragica guerra civile. Fortini accompagna i versi con la seguente nota:

«Per taluno la poesia era un esercizio rischioso, avventuroso, anche quando la si voleva portare con l’umiliato orgoglio di un mestiere. Poi diventò un dovere. Stava per aprirsi la scena di un ultimo atto di tragedia – una vita, una guerra al di della pena personale. Gli anni della guerra ci trascinavano, come pietre nel torrente, senza scampo, e dicevamo a noi stessi che saremmo stati egualmente dannati, dopo, alla fatica silenziosa e umile di vivere, al lavoro, che era la sola dignità dei disperati».

Eppure, al dolore collettivo qui subentra l’amarezza per la dissoluzione di un amore: sebbene non sia evocata direttamente, la guerra rappresenta l’occasione storica con la quale l’io modifica stesso riconoscendo i passati errori, a partire da quello amoroso. Volgendosi indietro, al poeta pare di aver vissuto come in una condizione di sonnambulo, che lo costringeva a chiudersi in una dimensione autoreferenziale, tutta interiore (l’errore che volsi / lungo, in me stesso, vv. 8-9). La felicità di un tempo ormai trascorso lo aveva però spinto al narcisismo: la passione per la creatura amata era in realtà semplice infatuazione estetica (se mirarvi, v. 3) o vago sentimento di speranza (se sperare di voi, v. 4). Ora invece l’amore, con le sue contraddizioni e le sue pene, costituisce esclusivamente occasione della scrittura poetica: la psiche si è liberata di ogni fardello e i turbamenti del passato appaiono solo come un ricordo di un angoscioso conflitto interiore (lungo, in me stesso, v. 9). La quiete della natura, con la staticità dei suoi elementi (il vento che posa, v. 10; il giorno che brilla / cadendo e il ramo che appena oscilla, vv. 10-11), sembra simboleggiare l’equilibrio che il soggetto lirico ha finalmente raggiunto.

Il tormento del dubbio

La necessità di uscire dalla propria individualità per incontrare gli altri, la vita, la società, il mondo è una costante che affiora puntualmente nella produzione di Fortini. Si tratta di una ricerca non semplice, vissuta con difficoltà, a tratti con frustrazione. Proprio come per l’amato Tasso, il bisogno di appartenenza si scontra con i sensi di colpa, con le miserie dell’umanità, con la violenza e con la repressione che egli coglie dappertutto, in primo luogo nei meccanismi schiaccianti del sistema capitalistico. Scrive di sentirsi in una sorta di zona psicologica intermedia, «fra progressione e regressione, sonno e veglia, speranza e autonegazione»: e da tale condizione di esclusione e di isolamento si sviluppa una personalità ombrosa, priva di sicurezze e appigli, incline alla riflessione e all’amaro sarcasmo, ma determinata a non rinunciare mai ai propri doveri di uomo e di pensatore. Come fa intendere il titolo di un diario pubblicato nel 1966, L’ospite ingrato, Fortini si sente ai margini, esule in patria, recluso: «La mia prigione vede più della tua libertà», scrive, non senza veleno polemico, in Diario linguistico, componimento dedicato a Pier Paolo Pasolini, poeta da lui mai amato, simbolo dell’intellettuale sicuro di sé, forte di convinzioni granitiche e certezze mai messe in discussione.

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Nella gabbia del conformismo

Anche questo nesso tra prigionia e libertà lega la riflessione di Fortini all’esperienza di Tasso. Essere ristretti, condannati cioè alla gabbia imposta dai vincoli, dalle norme e dai conformismi può per paradosso rappresentare una condizione che permette di vedere spazi più larghi. Nella raccolta Passaggio con serpente, edita nel 1984 (dieci anni prima della sua morte), Fortini inserisce un altro omaggio all’autore della Liberata: il titolo della poesia è Monologo del Tasso a Sant’Anna.


Grazie a Dio e alla Vergine Santa. Qui non vedo

nessuno, le finestre hanno una inferriata

nuova murata, le porte catenacci

fortissimi anche se sono solo anche se

5      a evadere neanche penso. Ringrazio

il Signore che mi ha voluto restringere.


Mi hanno detto che il Duca vuole concedermi

di vedere persone amiche e di discutere

con loro di letteratura e di cose religiose.

10    È chiaro che ho paura di parlare e di sapere.


Mi dicono che il mio poema ha successo

e che nei paesi stranieri è letto e cantato.

Il dolore che ho nel petto

sarebbe più terribile quando gli ospiti se ne andassero.

La forza della letteratura

Recluso dagli Estensi nel manicomio ferrarese di Sant’Anna, Tasso appare a Fortini come l’esemplare figura dell’ostaggio: la violenza che si abbatte su di lui non ne ha cancellato la forza, la lucidità, la capacità di conoscere l’esperienza del trauma e della lacerazione e affrontarla con vigore e consapevolezza. La restrizione della libertà lo ha condannato alla solitudine (qui non vedo / nessuno, vv. 1-2; sono solo, v. 4). Tra il poeta e il mondo c’è una barriera invalicabile: eppure al di di essa una voce anonima (Mi hanno detto, v. 7; Mi dicono, v. 11) informa il recluso del suo successo. La poesia lo mette in comunicazione con ciò che non può vedere, con presenze occulte in un altrove che dà senso alla sua esistenza (nei paesi stranieri è letto e cantato, v. 12).

Il contatto con la realtà, dunque, è ancora possibile grazie alla letteratura, che sa vincere i limiti del tempo o di una condizione contingente e soggettiva per scoprire gli altri, accogliere gli ospiti dentro di sé, nella propria solitaria intimità. Come per Tasso, anche per Fortini la letteratura rimane il più sicuro e inviolabile appiglio all’esistenza: una forma di vita che garantisce il contatto con il mondo, anche se quel mondo è ostile e lontano.

Il magnifico viaggio - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento