La lettura di Baudelaire
Quasi trent’anni dopo (1864) a rappresentare la prigione di Tasso – attraverso la mediazione di Delacroix – è il poeta francese Charles Baudelaire (1821-1867), anch’egli costretto a sopportare l’isolamento e l’emarginazione. Nella poesia Sul “Tasso in prigione” di Eugène Delacroix il protagonista è descritto come malato, derelitto, nella sua cella troviamo terrore, abisso di vertigine, assurdo, orrore, oscuri sogni. Lo spazio della reclusione si riempie di stridule risate, urli, smorfie, fantasmi. Qui il poeta, solo, può attingere alla sua infinita immaginazione, senza condizionamenti né obblighi, immerso esclusivamente negli abissi della propria anima. Sottratto ai vincoli della realtà, egli diventa per Baudelaire la metafora dell’artista che vive fino in fondo la dimensione drammatica di un’arte irriducibile al potere.
Il poeta nella cella, malato, derelitto,
con il piede convulso gualcendo un manoscritto,
mira con occhio acceso dal fuoco del terrore
l’abisso di vertigine dove affonda il suo cuore.
Le stridule risate ch’empiono la prigione
allo strano e all’assurdo spingon la sua ragione;
l’avvolge stretto il Dubbio, e la Paura immonda,
multiforme, ridicola, soffiando lo circonda.
Quel genio rinserrato in un tugurio infame,
quegli urli, quelle smorfie, quei fantasmi che a sciame
turbinando in rivolta tormentano il suo udito,
quel dormiente svegliato dall’orrore del sito,
è ben questo il tuo emblema, Anima dagli oscuri sogni,
tu che il Reale soffoca fra i suoi muri!