T10 - Rinaldo vince l’incantesimo della selva

T10

Rinaldo vince l’incantesimo della selva

Gerusalemme liberata, canto XVIII, ott. 18-38

Il mago Ismeno, lanciando un incantesimo sulla selva di Saron, impedisce ai cristiani di prelevare dal bosco il legno necessario a costruire le armi con cui dare l’ultimo, definitivo assalto a Gerusalemme. Solo un cavaliere può spezzare l’incanto: Rinaldo, il quale, reduce dalla prigionia dei sensi a cui l’ha costretto Armida, si sottopone a un rito di purificazione sul monte Oliveto. Dopo aver contemplato il cielo e pregato Dio, si sente pronto ad affrontare l’impresa.


Metro Ottave di endecasillabi con schema di rime ABABABCC.

18

Passa più oltre, ed ode un suono intanto

che dolcissimamente si diffonde.

Vi sente d’un ruscello il roco pianto

e ’l sospirar de l’aura infra le fronde

5      e di musico cigno il flebil canto

e l’usignol che plora e gli risponde,

organi e cetre e voci umane in rime:

tanti e sì fatti suoni un suono esprime.


19

Il cavalier, pur come a gli altri aviene,

10    n’attendeva un gran tuon d’alto spavento,

e v’ode poi di ninfe e di sirene,

d’aure, d’acque, d’augei dolce concento,

onde meravigliando il piè ritiene,

e poi se ’n va tutto sospeso e lento;

15    e fra via non ritrova altro divieto

che quel d’un fiume trapassante e cheto.


20

L’un margo e l’altro del bel fiume, adorno

di vaghezze e d’odori, olezza e ride.

Ei stende tanto il suo girevol corno

20    che tra ’l suo giro il gran bosco s’asside,

né pur gli fa dolce ghirlanda intorno,

ma un canaletto suo v’entra e ’l divide:

bagna egli il bosco e ’l bosco il fiume adombra

con bel cambio fra lor d’umore e d’ombra.


21

25    Mentre mira il guerriero ove si guade,

ecco un ponte mirabile appariva:

un ricco ponte d’or che larghe strade

su gli archi stabilissimi gli offriva.

Passa il dorato varco, e quel giù cade

30    tosto che ’l piè toccato ha l’altra riva;

e se ne ’l porta in giù l’acqua repente,

l’acqua ch’è d’un bel rio fatta un torrente.


22

Ei si rivolge e dilatato il mira

e gonfio assai quasi per nevi sciolte,

35    che ’n se stesso volubil si raggira

con mille rapidissime rivolte.

Ma pur desio di novitade il tira

a spiar tra le piante antiche e folte,

e ’n quelle solitudini selvagge

40    sempre a sé nova maraviglia il tragge.


23

Dove in passando le vestigia ei posa,

par ch’ivi scaturisca, o che germoglie:

là s’apre il giglio e qui spunta la rosa,

qui sorge un fonte, ivi un ruscel si scioglie,

45    e sovra e intorno a lui la selva annosa

tutte parea ringiovenir le foglie;

s’ammolliscon le scorze e si rinverde

più lietamente in ogni pianta il verde.


24

Rugiadosa di manna era ogni fronda,

50    e distillava de le scorze il mèle,

e di nuovo s’udia quella gioconda

strana armonia di canto e di querele;

ma il coro uman, ch’a i cigni, a l’aura, a l’onda

facea tenor, non sa dove si cele:

55    non sa veder chi formi umani accenti,

né dove siano i musici stromenti.


25

Mentre riguarda, e fede il pensier nega

a quel che ’l senso gli offeria per vero,

vede un mirto in disparte, e là si piega

60    ove in gran piazza termina un sentiero.

L’estranio mirto i suoi gran rami spiega,

più del cipresso e de la palma altero,

e sovra tutti gli arbori frondeggia;

ed ivi par del bosco esser la reggia.

26

65    Fermo il guerrier ne la gran piazza, affisa

a maggior novitate allor le ciglia.

Quercia gli appar che per se stessa incisa

apre feconda il cavo ventre e figlia,

e n’esce fuor vestita in strana guisa

70    ninfa d’età cresciuta (oh meraviglia!);

e vede insieme poi cento altre piante

cento ninfe produr dal sen pregnante.


27

Quai le mostra la scena o quai dipinte

tal volta rimiriam dèe boscareccie,

75    nude le braccia e l’abito succinte,

con bei coturni e con disciolte treccie:

tali in sembianza si vedean le finte

figlie de le selvatiche corteccie;

se non che in vece d’arco o di faretra,

80    chi tien leuto, e chi viola o cetra.


28

E cominciàr costor danze e carole,

e di se stesse una corona ordiro

e cinsero il guerrier, sì come un sòle

esser punto rinchiuso entro il suo giro.

85    Cinser la pianta ancora, e tai parole

nel dolce canto lor da lui s’udiro:

«Ben caro giungi in queste chiostre amene,

o de la donna nostra amore e spene.


29

Giungi aspettato a dar salute a l’egra,

90    d’amoroso pensiero arsa e ferita.

Questa selva che dianzi era sì negra,

stanza conforme a la dolente vita,

vedi che tutta al tuo venir s’allegra

e ’n più leggiadre forme è rivestita».

95    Tale era il canto; e poi dal mirto uscia

un dolcissimo tuono, e quel s’apria.


30

Già ne l’aprir di un  rustico sileno

meraviglie vedea l’antica etade,

ma quel gran mirto da l’aperto seno

100 imagini mostrò più belle e rade:

donna mostrò ch’assomigliava a pieno

nel falso aspetto angelica beltade.

Rinaldo guata, e di veder gli è aviso

le sembianze d’Armida e il dolce viso.

31

105 Quella lui mira in un lieta e dolente:

mille affetti in un guardo appaion misti.

Poi dice: «Io pur ti veggio, e finalmente

pur ritorni a colei da chi fuggisti.

A che ne vieni? a consolar presente

110 le mie vedove notti e i giorni tristi?

o vieni a mover guerra, a discacciarme,

che mi celi il bel volto e mostri l’arme?


32

giungi amante o nemico? Il ricco ponte

io già non preparava ad uom nemico,

115 né gli apriva i ruscelli, i fior, la fonte,

sgombrando i dumi e ciò ch’a’ passi è intrico.

Togli questo elmo omai, scopri la fronte

e gli occhi a gli occhi miei, s’arrivi amico;

giungi i labri a le labra, il seno al seno,

120 porgi la destra a la mia destra almeno».


33

Seguia parlando, e in bei pietosi giri

volgeva i lumi e scoloria i sembianti,

falseggiando i dolcissimi sospiri

e i soavi singulti e i vaghi pianti,

125 tal che incauta pietade a quei martìri

intenerir potea gli aspri diamanti;

ma il cavaliero, accorto sì, non crudo,

più non v’attende, e stringe il ferro ignudo.

34

Vassene al mirto; allor colei s’abbraccia

130 al caro tronco, e s’interpone e grida:

«Ah non sarà mai ver che tu mi faccia

oltraggio tal, che l’arbor mio recida!

Deponi il ferro, o dispietato, o il caccia

pria ne le vene a l’infelice Armida:

135 per questo sen, per questo cor la spada

solo al bel mirto mio trovar può strada».


35

Egli alza il ferro, e ’l suo pregar non cura;

ma colei si trasmuta (oh novi mostri!)

sì come avien che d’una altra figura,

140 trasformando repente, il sogno mostri.

Così ingrossò le membra, e tornò oscura

la faccia e vi sparìr gli avori e gli ostri;

crebbe in gigante altissimo, e si feo

con cento armate braccia un Briareo.


36

145 Cinquanta spade impugna e con cinquanta

scudi risuona, e minacciando freme.

Ogn’altra ninfa ancor d’arme s’ammanta,

fatta un ciclope orrendo; ed ei non teme:

raddoppia i colpi a la difesa pianta

150 che pur, come animata, a i colpi geme.

Sembran de l’aria i campi i campi stigi,

tanti appaion in lor mostri e prodigi.


37

Sopra il turbato ciel, sotto la terra

tuona: e fulmina quello, e trema questa;

155 vengono i venti e le procelle in guerra,

e gli soffiano al volto aspra tempesta.

Ma pur mai colpo il cavalier non erra,

né per tanto furor punto s’arresta;

tronca la noce: è noce, e mirto parve.

160 Qui l’incanto fornì, sparìr le larve.


38

Tornò sereno il cielo e l’aura cheta,

tornò la selva al natural suo stato:

non d’incanti terribile né lieta,

piena d’orror ma de l’orror innato.

165 Ritenta il vincitor s’altro più vieta

ch’esser non possa il bosco omai troncato;

poscia sorride, e fra sé dice: «Oh vane

sembianze! e folle chi per voi rimane!».

 >> pagina 562 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Il brano mostra i caratteri peculiari del meraviglioso in Tasso. La magia svela la propria origine demoniaca, tentando di esercitare il suo fascino perverso e sfruttando l’arma della sessualità, come sempre in Tasso, seducente e peccaminosa.

Allettamenti e lusinghe tentano ancora di frenare l’impeto e il valore del paladino cristiano. Davanti a lui si apre infatti uno spettacolo naturale degno di un paradiso terrestre: l’immagine di Armida, uscita dal tronco di un mirto (l’albero sacro a Venere), e visioni voluttuose di ninfe ripropongono in chiave magica la tentazione paralizzante della bellezza. Questa volta però Rinaldo non cede: l’eroe ha raggiunto quell’equilibrio e quella saggezza che lo rendono indifferente agli incantesimi diabolici e al fascino dell’amore sensuale.

 >> pagina 563

Tasso descrive di nuovo le lusinghe della passione carnale: la falsa Armida provoca il paladino invitandolo esplicitamente all’eros (v. 119). Rinaldo però non è più quello che abbiamo visto irretito nel giardino delle delizie: è ormai il guerriero purificato, consapevole degli errori commessi e della finzione celata dietro le apparenze. Dunque non ha un attimo di incertezza anche quando il fantasma della maga si muta in un mostro, le ninfe si trasformano in ciclopi e il paesaggio assume i connotati di un terribile cataclisma (v. 155).

Il duello ha un esito scontato: Rinaldo taglia il mirto, che si rivela finto (è un noce, l’albero che rappresenta l’inganno). L’incantesimo è sconfitto: all’incubo delle presenze infernali subentra la serenità, che avvolge la natura, tornata alla normalità e pacificata anch’essa, come l’animo dell’eroe che ora, finalmente trionfante sull’errore e sul peccato, può riflettere sull’umana follia che si lascia sedurre da vane sembianze (vv. 167-168).

Le scelte stilistiche

La natura attraente della selva viene resa dal poeta con un registro delicato e suadente, che esprime con efficacia le sensazioni visive, uditive e olfattive provate dal paladino. Immagini ed espressioni concorrono a creare l’effetto dell’idillio, già sperimentato da Tasso in molti brani dell’Aminta e nel passo del giardino di Armida. Il campo semantico prevalente è quello della dolcezza e dell’evanescenza (il roco pianto del ruscello, il sospirar de l’aura, il flebil canto del cigno ecc., vv. 3, 4 e 5), con rimandi evidenti al lessico petrarchesco: il pianto dell’usignolo al v. 6 richiama esplicitamente il verso iniziale di un sonetto di Petrarca, Quel rosignuol, che sì soave piagne (Canzoniere, 311); l’ottava 23 rie­cheggia la prima quartina di Come ’l candido pie’ per l’erba fresca (Canzoniere, 165).

Ben diverso è lo stile quando si passa allo scontro. Qui il lessico utilizzato è quello tipico dell’epica classica: non a caso, oltre ai riferimenti mitologici (Briareo, i ciclopi, i campi stigi), si colgono soprattutto echi virgiliani (i vv. 153-154 sono il calco dei vv. 693-695 del V libro dell’Eneide). La sentenza finale, con cui il paladino sorridendo depreca le debolezze umane, fa invece tornare alla memoria una simile esclamazione dantesca («Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!», Purgatorio, II, 79).

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 È possibile dividere il brano in cinque parti: individuale e assegna un titolo a ognuna.

Analizzare

2 Quali sono le caratteristiche della selva che la rendono così allettante?


3 Che cosa simboleggiano le ninfe che cantano e che danzano?


4 Che significato ha la trasformazione di Armida e delle ninfe in esseri mostruosi?

Interpretare

5 È possibile affermare che, nel corso della sua traversata della selva, Rinaldo subisca un processo di crescita morale e intellettuale? perché?


6 Quale significato ideologico può essere attribuito all’esclamazione finale di Rinaldo?

scrivere per...

commentare

7 Leggendo molte delle ottave antologizzate sembra di vedere dei quadri. Scegline alcune particolarmente “pittoriche” e abbina a ognuna, spiegandone il motivo, l’opera di un pittore contemporaneo di Tasso (potresti iniziare, per esempio, da quest’opera della Scuola di Paolo Veronese).

Il magnifico viaggio - volume 2
Il magnifico viaggio - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento