Le altre opere letterarie

Le altre opere letterarie

Abbiamo visto con La mandragola che Machiavelli – che pure considera la letteratura uno svago subordinato alla più seria riflessione politica – non disdegna di cimentarsi nella produzione di opere letterarie. Oltre che di un’altra commedia teatrale (Clizia), egli è autore di una produzione, tutt’altro che esigua, di testi, sia in prosa sia in versi.

L’opera poetica di Machiavelli riveste indubbiamente un’importanza secondaria, essendo soprattutto il frutto di motivi occasionali (com’è per la stesura dei Canti carnascialeschi, in cui vengono riproposti i contenuti goliardici e licenziosi tipici dei canti eseguiti a Firenze, tra il XV e il XVI secolo, durante il periodo di carnevale) o delle esperienze amorose dell’autore (alcuni versi sono dedicati alla cantante Barbara Raffacani Salutati).

Più interessanti sono i poemetti Decennale e Decennale secondo (quest’ultimo non concluso), in cui si descrivono in versi gli anni della vita politica fiorentina, dal 1494 al 1509, ma soprattutto i Capitoli in terzine, nei quali vengono sviluppati, sotto forma di riflessioni morali, alcuni temi tipicamente machiavelliani, come quello della fortuna.

Machiavelli lavora al poema in terzine dantesche L’asino tra il 1516 e il 1517, con l’intento di rifarsi al mito omerico della maga Circe e al romanzo L’asino d’oro dello scrittore latino Apuleio (II secolo d.C.). Nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto rappresentare le miserie terrene viste con gli occhi di un uomo trasformato appunto in asino. L’opera però non soddisfa Machiavelli, che la interrompe all’inizio della seconda parte.
Scritta intorno al 1518, la novella Belfagor arcidiavolo ha un contenuto misogino. L’autore racconta infatti di un diavolo che, per provare la perfidia delle donne, scende sulla Terra e ne sposa una, che in men che non si dica lo manda in rovina e gli fa rimpiangere il regno infernale. La visione negativa dell’animo umano degli uomini induce Machiavelli a ritenere che il vero inferno sia sulla Terra.
Come abbiamo visto, anche Machiavelli partecipa al dibattito sulla questione della lingua ( p. 32), sostenendo in quest’opera di incerta datazione (e pubblicata solo nel 1730) la superiorità della lingua parlata a Firenze. Questa opinione, diversa da quella di Bembo – che si rifà anch’egli al fiorentino, ma a quello letterario del Trecento –, contrasta soprattutto con le posizioni dei teorici della “curialità” della lingua, i quali affermano la necessità di modellare una lingua comune alle curie, cioè alle corti d’Italia (Gian Giorgio Trissino e Baldassarre Castiglione sono i principali interpreti di questa tendenza). Da qui nasce la polemica di Machiavelli con Dante, accusato di aver fornito nel De vulgari eloquentia le basi culturali di questa proposta.

La seconda commedia di Machiavelli, dal titolo Clizia, composta nel 1525, rielabora l’argomento di un’opera del commediografo latino Plauto (III-II secolo a.C.), la Casina, e narra l’amore del vecchio Nicomaco per Clizia, una trovatella a cui lui stesso ha dato ospitalità, e che però è innamorata, ricambiata, del figlio di Nicomaco, Cleandro. Per impedire le nozze, Nicomaco cerca di far sposare Clizia al servo Pirro in modo da continuare a essere il suo amante. La moglie Sofronia e il figlio-rivale Cleandro gli giocano un brutto tiro, travestendo il servo Siro con gli abiti della sposa. Quando Nicomaco si trova nel suo letto e scopre il travestimento, la vergogna lo spinge a chiedere perdono alla moglie e a rinunciare alla sua passione senile. Nel frattempo, Clizia viene a sapere di essere figlia di un nobile napoletano: possiede dunque una ricca dote e può finalmente sposarsi con Cleandro.

Il magnifico viaggio - volume 2
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