La mandragola

La mandragola

Scritta quasi sicuramente nei primi mesi del 1518, La mandragola è da tutti riconosciuta come il capolavoro del teatro comico del Cinquecento italiano. Ma dobbiamo subito precisare che comico è solo il tema. Sulla scena si muove infatti un’umanità bassa e volgare, descritta dall’autore nella sua cinica immoralità senza l’intento di far ridere. Se il riso c’è, non nasce da un’esplosione liberatoria di divertimento, ma dall’amaro sarcasmo con cui Machiavelli ci invita a riflettere sull’ipocrisia che guida i comportamenti umani.

Per la natura riflessiva dell’opera, possiamo facilmente cogliere l’influenza del commediografo che più ha ispirato l’autore, cioè il latino Terenzio (di cui Machiavelli ha tradotto l’Andria), anch’egli più interessato a illuminare i tipi umani che a inscenare le situazioni comiche, le battute e i lazzi disimpegnati che caratterizzavano, per esempio, l’opera dell’altro mae­stro della commedia latina, Plauto.

Tuttavia, nella commedia di Machiavelli non manca il gusto della beffa e dello sberleffo, esercitato ai danni dello sciocco o del credulone di turno. In questo ambito, Machiavelli è degno continuatore di una florida tradizione toscana che ha in Boccaccio il suo interprete più famoso, e che continua nelle forme più ludiche dell’Umanesimo mediceo (si pensi a Pulci, ma anche a una parte della produzione dello stesso Lorenzo de’ Medici).

La vicenda, sviluppata in 5 atti secondo i canoni classici, è ambientata a Firenze, dove il vecchio e sciocco messer Nicia è sposato con la bella e virtuosa Lucrezia. A innamorarsi della donna è il giovane Callimaco che, grazie ai suggerimenti del parassita Ligurio, mette in atto un inganno per conquistare il proprio oggetto del desiderio. I due sposi, infatti, non riescono ad avere figli e Callimaco, fingendosi medico e sfruttando la dabbenaggine del credulone Nicia, gli propone un rimedio contro la sterilità di Lucrezia. Il rimedio è un infuso di erba mandragola, che però ha una drammatica controindicazione: il primo uomo che si unirà alla donna dopo l’assunzione del medicamento morirà. Per risolvere il problema, basterà che un «garzonaccio» preso casualmente per la strada giaccia prima di lui con Lucrezia e ignaro muoia al posto suo. Il «garzonaccio» altri non è che Callimaco, che può quindi realizzare il proprio desiderio di giacere con Lucrezia, la quale, riluttante, si è convinta al grande passo in seguito ai consigli della madre Sostrata e all’assoluzione preventiva da parte del suo confessore, fra’ Timoteo. Alla fine Lucrezia, scoperta la verità, accoglie sotto il suo tetto Callimaco e decide di averlo come amante per il resto dei suoi giorni: «E quel che ’l mio marito ha voluto per una sera voglio ch’egli abbia sempre».
Come si vede, in questo gioco delle parti è difficile salvare qualcuno. Con i propri mezzi, ogni personaggio insegue uno scopo e per raggiungerlo non esita a servirsi dei più abietti stratagemmi. Per alcuni critici, solo Lucrezia sarebbe indenne da una condanna senza appello. La donna appare infatti a prima vista passiva e facilmente manipolabile. Tuttavia, accettando quello che tutti (in primo luogo il marito) le chiedono, dà prova di una positiva capacità di adattarsi alle circostanze. All’inizio tenta di difendere la purezza dei propri princìpi, poi però, con disinvoltura, cambia partito e, evitando compromessi e situazioni ambigue, finisce per cedere, riscoprendo il piacere dei sensi. Mostrandosi così duttile davanti alla fortuna, Lucrezia potrebbe dunque incarnare il modello di “virtù” esaltato da Machiavelli nelle sue opere politiche.
La lingua della Mandragola realizza appieno la soluzione teorica proposta da Machiavelli: il fiorentino vivo, non quello trecentesco. In effetti, è soprattutto il parlato, con le sue cadenze vernacolari, a essere riprodotto dall’autore, il quale adatta a ogni personaggio un’espressività coerente con la sua personalità. Il furbo Ligurio si esprime spesso in modo allusivo, con battute e doppi sensi, tipici di chi la sa lunga; Nicia, da quel concentrato di conformismo che è, si produce in un’infinità di luoghi comuni, che vorrebbe intelligenti, ma che in realtà non sono altro che la spia della sua mediocrità; Callimaco e Lucrezia parlano, rispettivamente, la lingua dell’irruenza giovanile e quella della seria compostezza. Il personaggio linguisticamente più interessante è però fra’ Timoteo: la sua prosa ricca di malizia e tendenziosità ne fa un vero, cinico artista della parola, piegata con scaltrezza ai propri interessi.
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T12

Il vittorioso assedio di fra’ Timoteo all’innocenza di Lucrezia

La mandragola, atto III, scene IX-XI

Queste tre scene hanno un antefatto, che è opportuno ricordare. Per indurre Lucrezia all’adulterio, Ligurio ha bisogno della mediazione di un aiutante autorevole. Chi meglio di un sacerdote? Fra’ Timoteo sembra l’uomo giusto, ma occorre provarne la disponibilità. Per questo, Ligurio gli chiede se è disposto, dietro lauto compenso, a fare abortire una fanciulla, e Timoteo accetta. La storia non è vera, ma non importa: ciò che conta è che ora Ligurio può confidare sulla scaltra amoralità di Timoteo, oltre che sulla complicità della madre di Lucrezia, Sostrata, per portare il piano a compimento.

SCENA IX

Fra’ Timoteo solo

FRATE Io non so chi si abbi giuntato l’uno l’altro.1 Questo tristo di Ligurio ne venne

a me con quella prima novella,2 per tentarmi, acciò, se io li consentivo quella3,

5      m’inducessi più facilmente a questa; se io non gliene consentivo, non mi

arebbe detta questa, per non palesare e disegni4 loro sanza utile, e di quella che

era falsa non si curavano. Egli è vero che io ci sono suto giuntato; nondimeno,

questo giunto è con mio utile.5 Messer Nicia e Callimaco sono ricchi, e da

ciascuno, per diversi rispetti, sono per trarre assai;6 la cosa convien stia secreta,

10    perché l’importa così a loro, a dirla, come a me.7 Sia come si voglia, io non me

ne pento. È ben vero che io dubito non ci avere dificultà,8 perché madonna

Lucrezia è savia e buona: ma io la giugnerò in sulla bontà.9 E tutte le donne

hanno alla fine poco cervello; e come ne è una sappi dire dua parole, e’ se ne

predica,10 perché in terra di ciechi chi vi ha un occhio è signore.11 Ed eccola con

15    la madre, la quale è bene una bestia,12 e sarammi uno grande adiuto a condurla

alle mia voglie.

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SCENA X

Sostrata, Lucrezia

SOSTRATA Io credo che tu creda, figliuola mia, che io stimi l’onore ed el bene tuo

20    quanto persona del mondo,13 e che io non ti consiglierei di cosa14 che non stessi

bene. Io ti ho detto e ridicoti, che se fra’ Timoteo ti dice che non ti sia carico di

conscienzia,15 che tu lo faccia sanza pensarvi.

LUCREZIA Io ho sempremai dubitato che la voglia, che messer Nicia ha d’avere

figliuoli, non ci facci fare qualche errore;16 e per questo, sempre che lui mi ha

25    parlato di alcuna cosa,17 io ne sono stata in gelosia e sospesa,18 massime poi che

m’intervenne quello che vi sapete, per andare a’ Servi.19 Ma di tutte le cose, che

si son tentate, questa mi pare la più strana, di avere a sottomettere el corpo mio

a questo  vituperio,20 ad esser cagione che uno uomo muoia per vituperarmi:

perché io non crederrei, se io fussi sola rimasa nel mondo e da me avessi a risurgere

30    l’umana natura,21 che mi fussi simile partito concesso.22

SOSTRATA Io non ti so dire tante cose figliuola mia. Tu parlerai al frate, vedrai

quello che ti dirà, e farai quello che tu dipoi sarai consigliata da lui, da noi,

da chi ti vuole bene.

LUCREZIA Io sudo per la passione.23

35    SCENA XI

Fra’ Timoteo, Lucrezia, Sostrata

FRATE Voi siate le ben venute. Io so quello che voi volete intendere da me perché

messer Nicia m’ha parlato. Veramente, io sono stato in su’ libri più di dua ore a

studiare questo caso; e, dopo molte essamine,24 io truovo di molte cose che, ed

40    in particulare ed in generale, fanno per noi.25

LUCREZIA Parlate voi da vero26 o motteggiate?27

FRATE Ah, madonna Lucrezia! Sono, queste, cose da motteggiare? Avetemi voi a

conoscere ora?28

LUCREZIA Padre, no; ma questa mi pare la più strana cosa che mai si udissi.

45    FRATE Madonna, io ve lo credo,29 ma io non voglio che voi diciate più così. E’ sono

molte cose che discosto30 paiano terribili, insopportabili, strane, che, quando

tu ti appressi loro, le riescono31 umane, sopportabili, dimestiche;32 e però33 si

dice che sono maggiori li spaventi che e mali: e questa è una di quelle.

LUCREZIA Dio el34 voglia!

50    FRATE Io voglio tornare a quello, ch’io dicevo prima. Voi avete, quanto alla conscienzia,

a pigliare questa generalità,35 che, dove è un bene certo ed un male

incerto, non si debbe mai lasciare quel bene per paura di quel male. Qui è un

bene certo, che voi ingraviderete, acquisterete una anima a messer Domenedio;

el male incerto è che colui che iacerà, dopo la pozione, con voi,36 si muoia; ma

55    e’ si truova anche di quelli che non muoiono.37 Ma perché la cosa è dubia, però

è bene che messer Nicia non corra quel periculo. Quanto allo atto, che sia peccato,

questo è una favola, perché la volontà è quella che pecca, non el corpo,

e la cagione del peccato38 è dispiacere al marito, e voi li compiacete; pigliarne

piacere, e voi ne avete dispiacere. Oltr’a di questo, el fine si ha a riguardare in

60    tutte le cose: el fine vostro si è riempiere una sedia in paradiso, e contentare el

marito vostro. Dice la Bibia che le figliuole di Lotto, credendosi essere rimase

sole nel mondo usorono con el padre; e, perché la loro intenzione fu buona,

non peccorono.39

LUCREZIA Che cosa40 mi persuadete voi?

65    SOSTRATA Làsciati persuadere, figliuola mia. Non vedi tu che una donna, che non ha

figliuoli, non ha casa? Muorsi41 el marito, resta come una bestia, abandonata

da ognuno.

FRATE Io vi giuro, madonna, per questo petto sacrato,42 che tanta conscienzia43 vi

è ottemperare44 in questo caso al marito vostro, quanto vi è mangiare carne el

70    mercoledì, che è un peccato che se ne va con l’acqua benedetta.45

LUCREZIA A che mi conducete voi, padre?

FRATE Conducovi a cose, che voi sempre arete cagione di pregare Dio per me; e più

vi satisfarà questo altro anno che ora.46

SOSTRATA Ella farà ciò che voi volete. Io la voglio mettere stasera al letto io.

75    [A Lucrezia]

Di che hai tu paura, moccicona?47 E’ ci è cinquanta donne, in questa terra, che

ne alzerebbono le mani al cielo.48

LUCREZIA Io sono contenta:49 ma io non credo mai essere viva domattina.

FRATE Non dubitar, figliuola mia: io pregherrò Iddio per te, io dirò l’orazione

80    dell’Angiolo Raffaello,50 che ti accompagni. Andate, in buona ora, e preparatevi

a questo misterio,51 che si fa sera.

SOSTRATA Rimanete in pace, padre.

LUCREZIA Dio m’aiuti e la Nostra Donna,52 che io non capiti male.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

La morigerata Lucrezia, senza alternativa, finisce per sostituire la virtù con l’astuzia, soggiacendo alle leggi dominanti e facendo buon viso a cattivo gioco.

L’artefice principale della sua metamorfosi è fra’ Timoteo. Lo conosciamo già dal suo monologo; solo, sulla scena, lo vediamo analizzare con acutezza ciò che è accaduto in precedenza, l’inganno ordito da Ligurio: un inganno che, però, lo ha visto non vittima, ma, diremmo, complice (questo giunto è con mio utile, r. 8). Per la sua disinvolta morale, questo basta e avanza. L’unica contromisura necessaria è il silenzio. Così chiede il mondo; e al mondo e ai suoi pseudo-valori, ipocrisia e malafede, il frate sceglie di adeguarsi con cinico opportunismo e, soprattutto, senza scrupoli di sorta.

Il suo nome, che in greco significa “colui che onora Dio”, concorre anch’esso a mistificare la realtà. Ciò che il frate onora è tutt’altro: il denaro e il guadagno. Il ruolo che le convenzioni sociali gli hanno attribuito è quello di confessore e dispensatore di consigli: un ruolo che il frate piega ai propri interessi. Ma Lucrezia non vuole sottomettere il proprio corpo a questo vituperio (r. 28) ed essere responsabile della morte di un uomo: non è nemmeno convinta che l’adulterio sarebbe eticamente lecito se fosse la sola rimasa nel mondo e da lei avessi a risurgere l’umana natura (rr. 29-30).

A questo punto entra in gioco la dialettica untuosa del frate, che ha vita facile nello smontare le obiezioni morali di Lucrezia, utilizzando sapientemente la propria cultura teologica, unita a un’astuta retorica avvocatesca: non si deve rinunciare a un bene certo (dare un’anima a Dio e rendere felice il marito) per paura di un danno incerto (la morte probabile, ma non sicura, di un uomo). La figura di questo frate ricorda il don Abbondio di Manzoni, che nei Promessi sposi raggira con il suo latinorum il povero Renzo: analogamente Timoteo si serve in modo insinuante della propria dottrina e della religione, che diventa un tendenzioso strumento di corruzione. I riferimenti biblici (le figlie di Lot che si congiungono carnalmente al padre, la guida dell’arcangelo Raffaele) sono platealmente manipolati per conferire al consiglio quella sacralità religiosa di cui ha bisogno la pudica Lucrezia.
Lucrezia non è in grado di controbattere alle argomentazioni pronunciate da una tale autorità, anche perché alle considerazioni teologiche del frate si uniscono, su un altro fronte, quelle di buon senso della madre. Da navigata donna di mondo, Sostrata distilla perle di accomodante saggezza: la donna ne fa una questione di praticità (non è forse una sciagura per una moglie, una volta diventata vedova, rimanere senza casa e senza soldi?) e non sa rinunciare ad accennare al privilegio toccato in sorte alla figlia (E’ ci è cinquanta donne, in questa terra, che ne alzerebbono le mani al cielo, rr. 76-77). Combattuta su due fronti, Lucrezia è quindi messa all’angolo dalle argomentazioni del frate e della madre: il suo destino è segnato.
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Le scelte stilistiche

Nella scena XI, le abilità linguistiche del frate vengono rese da Machiavelli in modo magistrale. Lingua e carattere coincidono infatti alla perfezione. Da vero artista della parola, Timoteo si esercita abilmente nel raggiro facendo appello alle sue qualità di ipocrita affabulatore. Il suo linguaggio è una sapiente miscela di malizia e dottrina all’acqua di rose. Ora vanta la propria esperienza del mondo (E’ sono molte cose che discosto paiano terribili, rr. 45-46), ora se ne esce con proverbi popolareschi alla buona (sono maggiori li spaventi che e mali, r. 48). Allo stesso tempo, enfatizza il proprio ruolo di uomo di Chiesa citando la Bibbia senza curarsi di profanarla e promettendo a Lucrezia di intercedere per lei con le proprie preghiere.

Il tono e le parole da predicatore sortiscono alla fine l’effetto sperato. Dopo aver attenuato la gravità del peccato (la volontà è quella che pecca, non el corpo, r. 57), il frate può celebrare il proprio trionfo, chiudendo in bellezza la sua capziosa strategia dialettica: mistificando la realtà fino alla fine, trasforma il subdolo espediente studiato per far congiungere Lucrezia con uno sconosciuto in un sacro misterio (r. 81) da officiare con religiosa obbedienza.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Perché all’inizio fra’ Timoteo dice Io non so chi si abbi giuntato l’uno l’altro (r. 3)?


2 Messer Nicia non è presente alla discussione, ma viene spesso citato: che figura ne emerge dalle parole degli altri?

ANALIZZARE

3 Elenca gli argomenti usati dal frate per convincere Lucrezia a unirsi con Callimaco.


4 Quale registro stilistico e quali appigli culturali sostengono le argomentazioni di fra’ Timoteo?

INTERPRETARE

5 Nelle scene proposte e nell’intera commedia fra’ Timoteo è il personaggio che più di tutti esemplifica la concezione utilitaristica dell’esistenza descritta da Machiavelli. Rifacendoti anche alle battute pronunciate dal frate, illustra la mentalità su cui egli fonda la propria visione del mondo e dei rapporti umani.


6 Indica, di ciascun personaggio, gli aspetti positivi e quelli negativi secondo il tuo personale punto di vista.

scrivere per...

rielaborare

7 Trasformati in regista, teatrale o cinematografico, e affianca alle battute salienti delle scene antologizzate le movenze e la gestualità che chiederesti ai tuoi attori per rendere la loro recitazione efficace e rispondente alla caratterizzazione machiavelliana dei personaggi.

Il magnifico viaggio - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento