INTRECCI STORIA - Combattere per professione

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Combattere per professione

I capitani di ventura

L’importanza delle milizie mercenarie

Anche se il ricorso alle milizie mercenarie si era già diffuso a partire dall’XI secolo, fu però soprattutto nel­l’Italia dei Comuni e delle Signorie che le compagnie di ventura si affermarono come un elemento assai importante nello scacchiere politico-diplomatico. Quando la nobiltà feudale, abituata alla pratica delle armi, fu infatti sostituita come classe dominante dalla borghesia (che preferiva dedicarsi alle attività mercantili), le truppe mercenarie, ingaggiate in blocco come eserciti organizzati, finirono con il soppiantare la milizia cittadina.

La formazione delle compagnie di ventura

A costituire le compagnie di ventura erano soldati di diversa origine e provenienza, solitamente di bassa estrazione sociale, i quali si organizzavano in reparti di cavalieri (i lancieri) sostenuti dalla fanteria (arcieri e balestrieri). Il comando era affidato a un capitano, scelto per le capacità e il valore. Agli stranieri si aggiungevano soldati italiani di varia provenienza: crociati rientrati dall’Oriente, servi della gleba, contadini e artigiani poveri che cercavano di fuggire la miseria.

I capitani avevano talvolta origini oscure (il Carmagnola – al secolo Francesco da Bussone, 1385 ca - 1432 – era di famiglia contadina: lo troveremo come protagonista di una famosa tragedia manzoniana), ma più spesso provenivano dalla nobiltà, esperta per tradizione nell’arte militare. Molti erano figli cadetti (cioè non primogeniti), i quali non potevano ereditare il feudo, che spettava al primo figlio, e cercavano una fonte di reddito nella professione militare. Le compagnie più importanti arrivarono a contare fino a diecimila soldati, assunti dai capitani per il periodo necessario alla campagna di guerra. In tempo di pace le compagnie si mantenevano con saccheggi, minacce, taglieggiamenti e ricatti, per cui erano molto temute dalle popolazioni.

Capitani coraggiosi o furbi mestieranti?

Molti tra i capitani di ventura consideravano l’attività militare solo come un lavoro e non si facevano scrupolo di tradire chi li aveva assunti per passare al servizio di un miglior offerente. La critica di Machiavelli poggiava proprio su questa realtà. Talvolta capitani schierati su fronti opposti si accordavano per ridurre al minimo i rischi: la vita di ogni soldato era un bene da salvaguardare. Dalle cronache dell’epoca sappiamo che molti scontri si trasformarono in battaglie simulate. Tra queste, la più celebre fu quella combattuta ad Anghiari (1440) tra gli eserciti di Milano e di una coalizione capeggiata da Firenze, di cui facevano parte Venezia e lo Stato pontificio. La battaglia fu immortalata da Leonardo da Vinci in una famosa pittura murale, ma anche descritta con sarcasmo da Machiavelli, che ironizzò nelle Istorie fiorentine sul suo magro bilancio di vittime (un solo soldato, e per di più caduto da cavallo!): «E in tanta rotta e in sì lunga zuffa, che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì altri che uno uomo; il quale, non di ferite o d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto espirò».

Le compagnie di ventura italiane scomparvero con l’ondata delle invasioni straniere iniziata nel 1494: gli eserciti delle monarchie nazionali e le armi da fuoco si dimostrarono superiori agli scontri cavallereschi dei condottieri.

Il magnifico viaggio - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento