Il Principe
Un trattato di attualità politica
Il Principe è un libro breve, scritto forse in un arco temporale molto ridotto, stimolato dalla solitudine, dalla meditazione, ma anche da un’energia che i fallimenti della vita politica non avevano scalfito. A dispetto delle sue esibizioni di modestia, Machiavelli lo considerava un vero e proprio trattato politico, dotato di coesione e sistematicità.
La composizione: datazione, dedica e obiettivi dell’opera
La composizione del Principe (in origine, il titolo latino era De principatibus, per riferirsi ai diversi tipi di principato al centro dell’indagine) è tuttora oggetto di controversie critiche. Per la maggior parte degli studiosi è stato scritto da Machiavelli nel periodo di forzata inattività, nel 1513, tra luglio e dicembre, nei primi mesi vissuti in esilio nella casa di campagna nei pressi del borgo di San Casciano. Altri invece datano la stesura dell’opera in varie fasi, fino al 1515. La prima pubblicazione, postuma, risale al 1532.
Inizialmente l’opera doveva essere indirizzata a Giuliano de’ Medici, ma dopo la sua morte (avvenuta nel marzo 1516) è dedicata a Lorenzo di Piero de’ Medici, nipote del Magnifico, sul quale si appuntano le speranze della casata.
L’argomento e la dedica ai Medici aiutano a capire le finalità con cui il trattato è composto: Machiavelli intende mettere a frutto tutte le esperienze degli anni precedenti, sia quelle del politico, protagonista in prima persona della scena fiorentina di inizio Cinquecento, sia quelle dello studioso, conoscitore della storia antica. Non è però un trattato di scienza pura, ma un libro di attualità politica: le riflessioni in esso contenute non sono infatti figlie di un’analisi accademica, ma costituiscono proposte concrete e operative per risollevare la penisola da quella rovina a cui l’ha abbandonata l’insipienza dei governanti a capo dei diversi Stati italiani.
Allo stesso tempo, l’ex segretario della Repubblica pone la propria candidatura come collaboratore dei nuovi signori di Firenze per la realizzazione di un principato forte e duraturo. La posizione repubblicana e antimedicea di Machiavelli era nota; tuttavia, con l’opera dedicata ai Medici, egli spera di rientrare nel gioco politico, riacquistando un ruolo importante come esperto consigliere al di sopra delle parti e delle fazioni.
La speranza viene presto disillusa: il libro, che circola manoscritto a partire almeno dal 1517, è accolto freddamente e il suo autore è costretto a rimanere ancora ai margini della vita politica fiorentina e a dedicarsi ad altri interessi, meno politici e più letterari.
La struttura e i contenuti
Il Principe si compone di una Dedica e di 26 capitoli, tutti piuttosto brevi, preceduti da titoletti in latino, che ne riassumono il contenuto.
I tre capitoli conclusivi riguardano la situazione politica dell’Italia contemporanea, la cui rovina non dipende dalla fortuna avversa, ma dall’incapacità dei suoi principi. Dopo aver riflettuto sull’incidenza della fortuna sulla vita degli uomini e sulla capacità della virtù di controllare la metà delle vicende umane (▶ T8, p. 388), Machiavelli chiude l’opera con un’esortazione ai Medici affinché si facciano promotori di un’impresa capace di riscattare l’Italia e di affrancarla dal dominio straniero (▶ T9, p. 394).
LA STRUTTURA E I CONTENUTI DEL PRINCIPE |
|||
Prima parte: capitoli I-XI |
|||
I vari tipi di principato |
ereditari |
||
misti (in parte ereditari e in parte nuovi) |
|||
nuovi |
come fondare e governare un principato nuovo |
con la violenza |
|
con il consenso dei sudditi (principato civile) |
|||
ecclesiastici |
|||
Seconda parte: capitoli XII-XIV |
|||
L’ordinamento delle milizie |
inaffidabilità delle milizie mercenarie |
||
necessità di milizie proprie |
|||
Terza parte: capitoli XV-XXIII |
|||
Le qualità del principe |
parsimonioso più che generoso |
||
temuto più che amato |
|||
spergiuro più che leale |
|||
capace di usare la forza e la frode |
|||
Quarta parte: capitoli XXIV-XXVI |
|||
La situazione italiana |
la crisi contemporanea |
||
la fortuna arginata dalla virtù di uomini forti |
|||
l’esortazione a un «principe nuovo» a restituire la libertà agli italiani |
I temi
Un ritratto nuovo
Machiavelli non è certo il primo a proporsi l’obiettivo di ragionare sulle qualità necessarie al principe per raggiungere e consolidare il potere. Nel Medioevo, infatti, assai fiorente era stata la trattatistica sulle caratteristiche del perfetto principe. Si trattava di opere finalizzate a creare un modello ideale, ispirato chiaramente all’etica cristiana: il perfetto principe era colui che sapeva tradurre nello svolgimento delle proprie mansioni le virtù più nobili della morale religiosa.
Anche nell’Umanesimo il fine della trattatistica politica era stato quello di elencare le virtù necessarie alla realizzazione del buon governo. Non erano più virtù attinte dalla teologia, ma dalla morale laica, insegnata dalle fonti classiche. Tali opere delineavano il cosiddetto speculum principis, cioè “lo specchio del principe”, in cui si riflettevano i tratti del sovrano esemplare, dotato di sensibilità e cultura, lealtà e moderazione, secondo il prototipo del saggio antico.
La distanza di Machiavelli e della sua opera da tale impostazione moralistica è nettissima. Egli non si propone più di offrire una sintesi di valori etici: a suo giudizio, la morale non deve interferire con l’efficace gestione dello Stato e del potere, per mantenere i quali sono in certi casi necessari comportamenti che il buon senso comune, la morale religiosa ma anche quella laica giudicano intollerabili e spregevoli. I concetti di bene e male non rientrano più nella riflessione di Machiavelli, poiché essi non sono sufficienti per rappresentare fedelmente, cioè senza intenti idealizzanti, la verità spesso brutale della lotta politica.
Sulla base di questa impostazione, il profilo delle qualità del principe risulta spregiudicato e scandaloso. La gerarchia dei comportamenti essenziali per il principe «virtuoso» non contempla più sentimenti e costumi morali: ciò che conta è soltanto il successo dell’azione, cioè l’interesse dei sudditi e dello Stato, da realizzare con qualsiasi mezzo, anche il più crudele, se le circostanze lo richiedono. La «saviezza» del principe non è più legata quindi alla lealtà e alla rettitudine, ma alla capacità di simulare e dissimulare, di alternare il bene e il male, il positivo e il negativo.
Un metodo rivoluzionario
Il cardine centrale del pensiero di Machiavelli è rappresentato dal realismo, cioè dalla volontà di analizzare il presente nella sua effettiva materialità, da verificare in pratica e non sulla base di assiomi teorici. La sua visione dello Stato è interamente laica e i processi utili a comprendere la verità dei fatti devono essere aderenti a ragioni terrene e concrete, mentre le valutazioni di ordine religioso e morale non fanno altro che offuscare o mistificare la realtà, alterandola con princìpi astratti.
L’unica realtà riconosciuta come utile per analizzare l’azione politica è l’esperienza, perché ogni costruzione teorica deve partire dall’osservazione empirica dei dati concreti. Con questo approccio alla conoscenza, Machiavelli applica alle scienze umane lo stesso metodo di indagine che sarà sperimentato nel Seicento da Galileo nell’ambito delle scienze naturali. La conoscenza dei casi singoli, ricavati dalla Storia e dalla realtà contemporanea, permette, grazie al metodo induttivo, di desumere una norma valida sempre. Dal particolare, insomma, all’universale, dal fatto concreto al principio generale: il procedimento sperimentato da Machiavelli poggia sulla ricerca di fatti ed esperienze che pur nella loro specificità si rivelino capaci di fissare regole costanti e immutabili nella Storia, nella politica e nella condotta individuale.
Va detto però che alcuni studiosi hanno individuato nel metodo logico di Machiavelli un procedere deduttivo, che trae origine da un assunto generale per trovarvi conferma nel particolare. Secondo questa interpretazione, l’enunciato di carattere universale è preesistente e l’autore si incarica di suffragarlo con gli esempi, che ne confermino la fondatezza.
Al di là delle divergenti interpretazioni critiche, resta fondamentale il fatto che l’obiettivo di Machiavelli sia seguire la «verità effettuale della cosa»: fare cioè della realtà, senza sovrastrutture etiche o religiose, l’unico dato a cui attenersi.
Questo approccio realistico e pragmatico, che cogliamo in tutte le sue opere, fa della politica un territorio a sé, non più condizionato dalla morale, laica o cristiana che sia. Proprio perché autonoma, la politica è una scienza con leggi specifiche e con necessità che richiedono talvolta la violazione delle norme etiche precostituite.
Il carattere militante della riflessione machiavelliana
Il pensiero di Machiavelli non procede in modo astratto né si struttura secondo uno schema sistematico, come nella trattatistica politica del tempo. Il suo scopo infatti non è delineare una figura ideale di principe né i tratti di un governo valido in assoluto. Sotto l’apparenza fredda e scientifica della sua trattazione, si agita il tono appassionato di chi vuole incidere nella propria epoca, al tempo stesso elaborando una teoria della politica fondata su leggi applicabili di volta in volta alle differenti situazioni concrete nelle quali il politico può trovarsi.
Questa soluzione, l’unica praticabile in quanto favorita dalle circostanze, è contenuta nell’ultimo capitolo del Principe, nel quale Machiavelli esorta i Medici a prendere le armi e a mettersi alla guida di un fronte unitario composto dai principi italiani per cacciare gli stranieri dall’Italia (▶ T9, p. 394).
Gli storici hanno sottolineato il carattere utopico di questo progetto di “redenzione”: a dispetto del realismo e del rigore scientifico che caratterizzano tutta la sua opera, l’invito di Machiavelli sarebbe stato irrealizzabile, viste le condizioni politiche in cui esso veniva espresso. Tuttavia, proprio auspicando un tale scenario il pensatore fiorentino conferma la natura militante e profondamente coinvolta della sua indagine. A Machiavelli non bastava fornire a un aspirante principe la scienza e gli strumenti del potere: la sua opera doveva invece proporsi come un manifesto operativo, indicando uno scopo da realizzare, per quanto lontano esso potesse essere. Per questo, Il Principe non è il risultato delle riflessioni di un disincantato specialista della politica: c’è invece uno sguardo profetico e appassionato rivolto al presente; ma soprattutto c’è il desiderio di contribuire a trasformare l’Italia, nel momento in cui essa vive uno tra i momenti più rovinosi della sua storia. Proprio questa tragica condizione può però rappresentare l’«occasione» tanto attesa, il momento del riscatto grazie all’azione forte e determinata di un «principe nuovo».
Il magnifico viaggio - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento